Riflessioni redazionali è una rubrica in cui ciascun redattore esprime opinioni personali su un dato tema.

Yosuke Matsuda, presidente di Square Enix, durante il recente resoconto annuale della società ha rilasciato le seguenti affermazioni: "Sono finiti i giorni in cui i giochi single player erano di primaria importanza e quelli multiplayer secondari. Ultimamente i giochi multiplayer hanno preso il comando ed è diventato normale progettare i giochi perché durino a lungo." Da questo possiamo intuire la volontà molto chiara di creare giochi destinati a durare a lungo nel tempo, proprio come sta accadendo per Final Fantasy XV insomma per riassumere il concetto in breve, da questo momento in avanti aspettiamoci meno esperienze classiche e più giochi come servizio. Come potete ben immaginare i giocatori sono prontamente insorti verso queste parole difendendo la componente in singolo, soprattutto nei confronti di una società che ha fatto la storia dell’esperienza in solitaria e fortemente basata sulla narrazione. Prima di affrontare la questione in generale, vorrei soffermarmi sulle dichiarazioni di Square Enix, se il modello che hanno in mente di progettazione a lungo termine corrisponde a quello di Final Fantasy XV allora non ci siamo proprio. Recentissima è la notizia di un season pass per il 2018 che riguarderà contenuti legati strettamente alla storia del titolo in questione, il problema in tutto ciò e che orami siamo arrivati al punto di rottura con questo supporto, c’è stata sì l’introduzione di una serie di contenuti gratuiti per chiarire la trama ma sono arrivati troppo tardi ed inoltre lasciano ancora più domande di quante ne risolvano. Trovo inaccettabile che a quasi un anno dall’uscita determinati punti non siano stati chiariti, per non parlare dei pezzi di storia fondamentali inseriti nei DLC a pagamento.


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Non è la prima volta che si parla di giochi come servizio

Phil Spencer durante un intervista al The Guardian, rilasciata il 29 Aprile del 2017 si è espresso sul tema dei videogiochi come servizio. Esponenti illustri di questa categoria sono giochi come Destiny, The Division o Final fantasy XV, titoli dove il supporto delle software house è continuato nel tempo tramite DLC. Tale pratica viene utilizzata per far fronte ai costi di sviluppo sempre più altri richiesti per lo sviluppo dei giochi tripla A, più si riesce a far rimanere i giocatori su un titolo investendo nello stesso più saranno i ricavi. Pensiamo a Destiny e a The Division: entrambi i titoli hanno mantenuto basi di utenza enormi per molto tempo, il solo Destiny ai tempi dell’intervista aveva 30 milioni di giocatori attivi. Riassumendo il gioco come servizio sul lungo periodo e più redditizio permettendo di ammortizzare meglio i costi di sviluppo, mentre l’utilità di giochi come, Uncharted o The Last of Us termina con l’acquisto, una volta completato molti giocatori rivendono il titolo e la sua utilità termina lì. L’utilizzo dei giochi come servizio uccide anche il mercato dell’usato perché i giocatori tenderanno a possedere il titolo per più tempo. Ma ovviamente c’è il rovescio della medaglia in quanto questo modello potrebbe dar vita a delle forzature e Phil Spencer lo sa bene: Ciò che temo è che un gioco non basato sulle transazioni debba necessariamente inserirle per sopravvivere in questo mondo. Sono preoccupato per l’innaturalità di queste cose. Fifa Ultimate Team è un successo e la gente lo adora. L’utilizzo delle card e il modo creativo in cui è stata inserita la monetizzazione hanno convinto il pubblico. Di conseguenza, milioni di persone pagano per continuare a giocare. Se però mi trovo davanti a un gioco single-player e tutto d’un tratto devo pagare per proseguire nella campagna, penso “Un attimo, non è quel tipo di gioco”. Vogliamo aprire la possibilità agli sviluppatori di fare ciò che vogliono fare. Ma penso anche che dobbiamo essere in grado di sostenere, come industria, tutti i tipi di giochi. Sento dai giocatori “Non voglio microtransazioni in tutti i miei giochi”, e hanno tutto il diritto di dirlo. Ci sono modelli in cui le transazioni hanno senso, e ci sono modelli in cui non lo hanno.


E i titoli Classici?

Altro passo di questa interessantissima intervista riguarda le avventure single player: “Giochi come Zelda o Horizon Zero Dawn stanno riscuotendo un enorme successo. Tuttavia non hanno lo stesso impatto che avrebbero avuto prima, perché i videogiochi come servizio stanno catturando un’enorme quantità di pubblico. Le software-house principali di Sony producono molti di questi giochi; è una decisione aziendale difficile. Come industria, vorrei assicurarmi che sia i giochi single-player sia i giochi come servizio abbiano la possibilità di riuscire nel loro intento.” Le parole di Spencer sono verissime, infatti se osserviamo i dati di vendita nel breve periodo questi titoli si piazzano altissimi nelle classifiche di vendita, ma nel momento in cui guardiamo i dati complessivi dell’anno purtroppo la situazione non è rosea.

Questa è la situazione complessiva del 2016

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Invece se guardiamo i dati di vendita fin ora del 2017 la situazione è diversa

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I dati mostrati confermano effettivamente le parole di Spencer. Le parole del capo della divisione Xbox sono molto incoraggianti, perché ammette la necessità di assecondare l’esigenza di giochi come servizio ma senza abusare dei DLC.

E i giocatori cosa ne pensano?

I giocatori su questa spinosissima questione si dividono in due categorie: da un lato chi ripugna ardentemente il multiplayer in tutte le sue forme, dall’altra parte troviamo i sostenitori della componente multigiocatore online. I primi sostengono che proprio l’apertura alle feature online abbia portato carenze nel modo di raccontare la storia nei videogames, dovute alla necessita dei team di focalizzarsi: sulla componente multigiocatore (divenuta quasi un must al giorno d’oggi), la previsione di DLC e microtransazioni per lucrare il più possibile. I secondi invece difendono l’online poiché fa durare il titolo più a lungo ma soprattutto elimina ogni forma di narrazione cinematrogafica, garantendo maggior gameplay puro. Come al solito la ragione sta nel mezzo, è da sciocchi opporsi al mutare delle cose, con l’arrivo delle console collegate ad internet è cambiato il modo di fruire il videogame. Oggi abbiamo: patch, DLC, microtransazioni e il multiplayer online cooperativo o competitivo. Questi elementi non sono sempre un male anzi, ci sono titoli che dimostrano come ci possa essere un perfetto connubio tra narrazione classica ed elementi online, pensiamo agli Uncharted o anche a The last of Us. I DLC quando sono usati con criterio donano al gioco delle aggiunte di qualità, prendete come esempio i Batman Arkham o The Witcher, ambedue titoli fortemente legati alla narrativa ma che presentano ottimi DLC che non sono frutto di privazioni della trama. Certo è anche vero che in molti casi si utilizzano questi mezzi al solo scopo di lucro, però queste distorsioni nascono principalmente perché noi stessi foraggiamo tali elementi meschini, acquistando ciecamente ogni contenuto ci venga propinato sul titolo di cui siamo fan, senza fare dei distinguo. Assurda è anche la posizione di chi vorrebbe solo titoli multiplayer perché più longevi, è vero che un gioco online ha pressochè una durata infinita, ma è anche vero che anche titoli story drive che durano 10-20 ore e lasciano qualcosa al giocatore valgono il prezzo del biglietto, inoltre ci sono tanti generi e tra questi troviamo anche solo quelli competitivi online, quindi non vedo perché non ci possa essere una coesistenza di giochi. Volendo rispondere alla domanda del titolo, la modalità in singolo non scomparirà mai. Se i videogame oggi sono considerati un medium estremamente maturo lo dobbiamo a titoli come: The Last of Us, Uncharted, Metal Gear, Assassin’s creed, Kingdom Hearts, Bioshock e etc. Esperienze visive e narrative che hanno dimostrato, che il videogioco può andar ben al di là del cinema o di altri medium. Tutte esperienze legate al single player, solo la modalità in singolo può dimostrare a chi non abbia mai nemmeno visto di striscio una console cosa possono lasciarti dentro i videogame. Titoli come Overwatch, Rainbow Six , Player Unknow e altri solo online, (per quanto famosi e più giocati siano) purtroppo tutto questo non possono realizzarlo. Quindi i videogames come servizio non vanno visti come il male assoluto, bisogna essere solo in grado di capire se in quel determinato caso si tratta di una forzatura o di una aggiunta valida e ben integrata.