Final Fantasy XIV: Shadowbringers - Recensione
La nuova espansione di Final Fantasy XIV è il successo sperato dalla Square Enix?
di Horus
"If history must be unwritten, let it be unwritten. Become what you must, become the warrior of darkness"
Ecco proprio partendo dalla trama, va subito detto che Shadowbringers è probabilmente, anzi sicuramente, l’espansione del gioco più ricca sotto tale aspetto e ciò anche perché, mentre Heavensward e Stormblood hanno segnato il ciclo narrativo conclusosi con la riunificazione di Eorzea sotto la bandiera di un’unica alleanza, questa nuova avventura porta con sé non solo un cambio totale dell’ambientazione, ma anche un affascinante viaggio nel passato (e nel futuro) di Hydaelyn e del suo campione, nel corso del quale progressivamente prende forma la minaccia degli Ascian, da sempre antagonisti del guerriero della luce, ma costantemente rimasti in penombra insieme all’alea di mistero sulle loro origini e sui loro scopi.
Senza svelare più del dovuto, visto che persino i fatti immediatamente antecedenti all’espansione costituirebbero uno spoiler per chi non ha mai avuto modo di provare il gioco, Shadowbringers prende avvio nel pieno della guerra tra l’alleanza di Eorzea e l’impero di Garlemand, una lotta senza quartiere che, proprio quando sembra avvicinarsi l’inevitabile epilogo, viene improvvisamente interrotta con il ritiro delle armate imperiali e la scomparsa del guerriero della luce, ovvero il personaggio interpretato dal giocatore.
Il main theme creato da Masayoshi Soken è decisamente esaltante
Quest’ultimo, con suo sommo stupore viene misteriosamente trasportato in un altro mondo, un mondo apparentemente diverso da Hydaelyn i cui cieli, avvolti da una luce eterna che non lascia spazio alcuno all’oscurità, sono segnati dalle conseguenze di una calamità avvenuta cento anni prima. Da qui prende avvio l’ennesima impresa del guerriero della luce, che inizierà a percorrere una strada pericolosa che lo porterà a scoprire la storia e l’origine di Hydaelyn, a ritrovare personaggi già incontrati (e che ora ricompaiono annodando i fili di una trama iniziata con l’uscita di A Realm Reborn), ma anche ad affrontare temibili nemici ed eventi provanti tali da condurlo sull’orlo della disperazione e costringerlo a diventare, come detto nella frase finale del trailer, ciò che deve essere.
Più di questo credo sia impossibile dire senza svelare particolare in grado di rovinare la sorpresa, ma, per quanto di interesse di questa recensione, quel che conta è che la trama di Shadowbringers è senza ombra di dubbio una storia ben riuscita, ma anche e soprattutto ben narrata, grazie al ritmo imposto della diverse missioni che compongono la main quest che porta al progressivo sviluppo dei numerosi intrecci narrativi creati da Naoki Yoshida e dal suo team, sino a giungere ad un finale emozionante degno della tradizione della serie di Final Fantasy e segnato da un'antagonista veramente ben caratterizzato.
In ciò, e forse questa è la principale differenza rispetto alle precedenti espansioni, un ruolo primario è rivestito dagli Scions of the Seventh Dawn, con quel percorso già iniziato in Stormblood con Lyse, che in Shadowbringers viene esteso a tutti i compagni di avventura del guerriero della luce, la cui spiccata caratterizzazione porta alla graduale creazione di quel legame empatico del giocatore che forse prima mancava.
La magia di Il Megh, ma attenti alle fate perché sono dei tipetti particolari
Ovviamente dato che stiamo parlando pur sempre di un mmorpg ciò che interessa maggiormente i giocatori sono i contenuti e da questo punto di vista Shadowbringers segue la formula vincente delle precedenti espansioni, usando il collaudato schema già visto in esse (8 nuove istance, 3 nuove trial e 1 nuovo raid da otto), attorno a cui ruotano le molteplici novità/modifiche introdotte a partire dal quelle relative alle classi di gioco (i jobs).
Proprio in relazione a tale aspetto l’elemento principale da affrontare è costituito dall’insieme delle modiche riguardanti i tank e gli healer che hanno portato ad una profonda modifica del meta consolidatosi in Heavensward e Stormblood. Mossi dalla volontà di rendere più attraenti i tank (classe da sempre poco utilizzata) e di ridare centralità alle cure (ormai i curatori erano diventati dei dps), Yoshida e i suoi hanno ridisegnato completamento il sistema di tank, semplificando notevolmente la gestione dell’aggro, eliminando i tp (cosa che ha ovviamente toccato anche le altre classi), e aumentando al contempo i danni subiti dal gruppo, con conseguente maggior impegno dei curatori, chiamati anche a gestire i mana point, stabiliti nella misura fissa di 10.000, e a far i conti con un sostanziale nerf degli incantesimi di cura.
Il risultato finale di questa piccola rivoluzione è a mio avviso apprezzabile e se, lato tank, la semplificazione consente di concentrare l’attenzione soprattutto sulla mitigazione del danno, nel caso dei curatori le modifiche hanno portato al superamento di quello che ho sempre ritenuto essere un equivoco, ovvero quel meta in cui l’elemento centrale per valutare gli healer non risiedeva nella capacità di cura (le cure erano abbastanza semplici da gestire e a volte si poteva anche guarda la tv per quanta attenzione serviva), ma nel danno generato, cosa che aveva portato ad un graduale aumento del numero complessivo dei curatori (molti incapaci persino di curare), attratti dal fatto che, dati alla mano, premendo un tasto (la spell di danno aoe) si poteva addirittura superare il danno prodotto dai dps (cosa che il White Mage è comunque in grado di fare anche ora).
Meno rivoluzionarie sono state le modifiche per i dps, che, pur con l’eliminazione dei tp, hanno mantenuto bene o male lo stesso gameplay, con l’aggiunta di nuove abilità, bilanciate dalla ‘pulizia’ di quelle precedenti scarsamente usate, e varie modifiche, in alcuni casi di lieve entità, in altri più marcate, ma, ovviamente, in questa sede non è possibile entrare nei dettagli visto che parliamo pur sempre di 17 classi.
Si parte dalla foresta lilla di Lakeland
Il dancer è un dps ranged fisico veramente divertente da usare, che unisce all’elevata mobilità un gameplay legato non all’uso di una rotazione mnemonica di skill, quanto alla reattività del giocatore e alla sua capacità di sfruttare i meccanismi di sblocco delle varie abilità, che, ad esempio, usati in un certo modo consentono un burst damage unico. Insomma, il dancer è ben lontano dai problemi di skill bloat (eccesso di skill) che in misura variabile hanno afflitto e affliggono ancora alcune classi, ma non per questo è banale da usare, poiché tanto la meccanica, quanto le skill di supporto, tendono a premiare il gioco ragionato.
Più complicato è invece il giudizio sul gunbreaker, un tank dedito all’uso della gunblade e modellato sullo stile di Squall Leonhard, di suo molto affascinante da giocare, ma anche non proprio immediato da utilizzare, non tanto per la meccanica di gauge (piuttosto semplice), quanto per il numero elevato di abilità, 35 in totale (niente di impossibile, anzi, ma bisogna farci la mano). Sicuramente è una classe che deve essere un attimo affinata, soprattutto per limitare un'oggettiva ridondanza di alcune abilità, ma, tutto sommato, il suo esordio è stato certamente migliore se paragonato a quello del Dark Knight, che all'inizio richiedeva un'abilità che ben pochi avevano.
A chiudere la sequenza di novità è infine l'introduzione di nuove razze, a partire dalle tanto attese (e invocate) Viera, donne con alcuni tratti somatici dei conigli (come le orecchie), di cui la più nota agli appassionati della serie è Fran (Final Fantasy XII). A 'bilanciare' il lato maschile sono invece i Hrothgar con il loro imponente aspetto leonino che ricorda tanto i Ronso di Final Fantasy X.
Le montagne rocciose di Amh Araeng
Chiuso il discorso sulle classi, per quanto riguarda i contenuti, intesi come attività da fare, Shadowbringer offre una discreta varietà di opzioni a disposizione del giocatore con nuove istance, trial e raid. Ovvio poi che la durata dei contenuti sia sempre legata al tempo che si dedicata al gioco, ma con dei ritmi normali è possibile godersi svariate ore di gioco nel fase di exp per arrivare all’80 (che non ho trovato per niente pesante, anzi) e poi partire con i contenuti di alti livello che andranno progressivamente ad aumentare con l’uscita delle varie patch.
Passando al lato tecnico, Shadowbringer non porta con sé modifiche al motore grafico, che resta lo stesso concepito all’epoca di A Realm Reborn con i suoi pregi, buona grafica non troppo pesante, e i suoi difetti, soprattutto in termini di textures. Come ammesso da Yoshida prima o poi ci dovranno mettere mano, ma non era questo il momento e d’altronde il Crystal Tools non manca di fornire alcuni scorci decisamente suggestivi: dalle foresta a tinte di lilla di Lakeland alla terra incantata di Il Megh, passando per la splendida decadenza di Eulmore.
Ad arrivare ad un livello semplicemente superlativo è invece la colonna sonora. Masayoshi Soken è probabilmente il più talentuoso compositore della Square Enix dai tempi di Nobuo Uematsu (che quest’anno per motivi di salute non ha curato il main theme) e con Shadowbringers ha dimostrato tutta la sua abilità con delle musiche stupende a partire dal main theme, che nel finale trasmette un’emozione unica, passando per alcune perle come il tema della foresta di Rak'tika che, forse esagero, ma ritengo essere uno dei sottofondo musicali più belli che mi sia mai capitato di ascoltare in un videogioco.
Per il resto il doppiaggio (in lingua inglese) è ben fatto e le voci dei personaggi scelte con cura (a me è piaciuta molto la voce di Y'shtola), anche se come al solito sarebbe stato preferibile aumentare il numero dei dialoghi doppiati. I testi del gioco sono in inglese e sono piuttosto facili da comprendere con la sola eccezione delle frasi pronunciate da Urianger che, per motivi di lore, usa un registro stilistico piuttosto particolare, quasi arcaico, che in alcuni punti risulta ostico persino per i madrelingua.
Ecco un esempio del talento di Masayoshi Soken
Final Fantasy XIV: Shadowbringers è un’espansione riuscita e se ad oggi è il Final Fantasy che ha ricevuto i migliori voti dalla critica negli ultimi 13 anni un motivo ci deve essere. Naoki Yoshida si conferma il re Mida della Square Enix, portando nuova linfa ad un gioco che sembra destinato a durare ancora per parecchi anni e che di certo non soffre problemi di carenza di giocatori. Spesso vi è una certa diffidenza nei confronti dei mmorpg, ma, paradossalmente, Final Fantasy XIV è molto più ‘Final Fantasy’ dei titoli della serie usciti recentemente e Shadowbringers con la sua trama sta lì a dimostrarlo, per cui se siete timorosi di giocare ad un mmorpg è giunta l'ora di mettete da parte la vostra diffidenza, perché Final Fantasy XIV vale ogni minuto di gioco e vi ripagherà ampiamente del tempo speso.
Note:
La recensione è stata scritta provando sia la versione per PC che quella per PlayStation 4, testando tutte le classi ed in particolare l'astrologian, il paladino e il dancer. Infine, se non avete mai giocato a Final Fantasy XIV vi ricordo che è possibile provare la trial gratuita sino al livello 30 e che in caso di uso della versione per PlayStation 4 non serve il PlayStation Plus.