Daymare 1998 - Recensione
Quando l'horror è made in Italy
di Klarth Curtiss
I più informati nel settore del gaming si ricorderanno di un piccolo gruppo italiano che si era prefisso un grande obiettivo: creare un remake fanmade di Resident Evil 2, tuttavia, quando Capcom stessa annunciò di essere al lavoro su quel progetto, decisero di cambiare direzione, formarono uno studio sotto il nome di Invader Studios e finalmente, dopo anni di lavoro, ci portano loro primo titolo: Daymare 1998, proprio quel progetto che sarebbe dovuto essere un remake è diventato ora un gioco a sé stante, ma sarà stato comunque in grado di essere all'altezza delle sue fonti di ispirazione?
Andiamo con ordine e partiamo dal principio: Daymare 1998 è ambientato durante l'agosto del medesimo anno, nella cittadina di Keen Sight, dove una strana epidemia nota come "sindrome di Daymare" ha iniziato a colpire gli abitanti, trasformandoli un po' alla volta in orrendi zombie senza volontà propria, in questo contesto apocalittico noi vestiremo i panni di 3 differenti personaggi: Liev, un soldato della compagnia militare H.A.D.E.S con un losco segreto alle spalle, Raven, soldato dello stesso plotone di Liev che cercherà di fare luce sul ciò che sta accadendo ed infine Samuel Walker, un guardiaboschi che soffre di allucinazioni e si ritroverà a suo malgrado coinvolto negli eventi della tetra cittadina, nel tentativo di scoprire la verità sulla morte di sua moglie.
I tre protagonisti godranno di storie separate che si intrecceranno verso la fine ma tutti con un solo obiettivo in comune: svelare il mistero di Keen Sight e debellare la sindrome di Daymare e gli aborti che ha generato una volta per tutte.
Inutile girarci troppo attorno: se avete giocato ad uno dei titoli del franchise Capcom prima della svolta iniziata con il quarto capitolo vi sentirete subito a casa, nonostante la visuale in terza persona, Daymare mantiene tutte le caratteristiche di gameplay tipiche della serie, tra le quali la necessità di controllare manualmente il proprio stato di salute, fondere oggetti curativi per crearne di più potenti e ricaricare le proprie armi direttamente dai menù, tuttavia sarebbe un peccato non citare la minuzia con cui gli sviluppatori hanno gestito i metodi di ricarica delle armi: infatti, per tutte le armi che prevedono l'utilizzo di caricatori (quindi escludendo, per esempio, i fucili a pompa), potremo inserire le munizioni direttamente nell'arma in uso oppure nei caricatori che abbiamo da parte per utilizzarli in un secondo momento, questo perchè, tenendo premuto il tasto della ricarica, non ci limiteremo a ricaricare la bocca da fuoco come in un qualsiasi sparattutto, bensì cambieremo totalmente caricatore, mettendo da parte quello appena sostituito lasciandoci dentro tutti i proiettili non utilizzati, se al contrario decidessimo di limitarci a premere il tasto apposito, il nostro personaggio lascerà immediatamente a terra il caricatore attuale, meccanica che consentirà di essere nuovamente pronti allo sparo ma ci costringerà a recuperare in seguito il caricatore lasciato a terra (meccaniche che ricordano molto Escape from Tarkov); un'ottima differenziazione che consente ai giocatori un approccio diverso per diversi tipi di situazioni.
La gestione dell'inventario e la visualizzazione della mappa e del nostro stato di salute avverrà tramite un comodo palmare attaccato al nostro braccio destro, tuttavia utilizzarlo non fermerà l'azione circostante, quindi dovremo sempre tenere gli occhi aperti per un possibile agguato.
Magistralmente orchestrati anche gli enigmi ambientali, che più di una volta ci costringeranno a spremere per bene le nostre meningi.
Purtroppo non è tutto oro quel che luccica e nonostante il valore del titolo sia encomiabile per una software house indipendente, bisogna sottolineare alcuni difetti del titolo, in primis sicuramente la modellazione dei visi dei personaggi principali, che lasciano alquanto a desiderare, in secondo luogo la semplicità spiazzante delle boss fight, che apparte quella finale prevederanno semplicemente di girare in tondo e fermarsi ogni tanto a sparare, fino a quando il nostro bersaglio non sarà morto (spiace anche vedere come quelli che fino a poco prima erano boss, si ripresenteranno come nemici base dopo non troppo tempo).
La durata del titolo è più che adeguata e si attesta tra le 12 e 15 ore, in base alla difficoltà a cui lo giocherete, noi lo abbiamo testato in modalità "Daymare" (quella consigliata dal gioco) e la sfida è stata ardua ma mai ingiusta, ci siamo spesso ritrovati con poche munizioni a causa di momenti di panico che ci hanno portato a sparare più del dovuto e ci siamo dovuti ingegnare, ma nulla di infattibile, ogni proiettile conta.
Daymare 1998 è una piccola perla del panorama indie, che mescola sapientemente le meccaniche dei primi Resident Evil con un gameplay ed una grafica più al passo con i tempi, senza rinunciare alla sua vena horror; se cercate un buon survival che possa darvi le stesse sensazioni del brand Capcom e non temete un discreto livello di sfida non cercate oltre, il titolo Invader Studios vi darà pane per i vostri denti.