The Legend of Heroes: Trails from Zero - Recensione
Approda finalmente in occidente il Crossbell Arc, ad alleviare l'attesa dei nuovi capitoli
di TWINKLE
Uscito originariamente in Giappone nel 2010, Eiyuu Densetsu: Zero no Kiseki è il primo RPG Falcom realizzato specificatamente per una console, la PSP, interrompendo la tradizione della compagnia che l’ha sempre vista, fin dai suoi albori negli anni ‘80, sviluppare i suoi giochi in primo luogo per home computer; questo è il nuovo corso voluto dall’allora neo presidente Toshihiro Kondo, con la trilogia Trails in the Sky la serie vide aumentare le sue vendite proprio grazie alla diffusione della portatile di casa Sony, fu quindi naturale per Falcom spostare il proprio target di riferimento verso una console che in Giappone aveva raggiunto un successo notevole. Tuttavia la situazione in occidente era diversa, Bandai Namco, che aveva distribuito negli Stati Uniti senza troppa convinzione le riedizioni per PSP della trilogia Garghav, molla la presa passando la palla a Xseed, piccolo publisher fondato nel 2004 da alcuni ex membri di Square Enix USA, che si prende carico di tradurre i due nuovi Ys (Seven e Oath in Felghana) e soprattutto Trails in the Sky, che giungerà in occidente nel 2011, quando i giapponesi si stavano già godendo il nuovo arco narrativo ambientato a Crossbell.
Tra rapporti con Falcom altalenanti e un team di traduttori contenuto costretto a far fronte ad una quantità di testo quasi insostenibile (per maggiori informazioni consiglio di vedere questo video), i ritardi si accumulano e Trails in the Sky SC uscirà solo nel 2015, quattro anni dopo il precedente capitolo e con una PSP nei nostri territori ormai fuori mercato, Xseed decise quindi di saltare a piè pari Zero no Kiseki e Ao no Kiseki (mentre l’ultimo Trails in the Sky arriverà nel 2017 solo su PC) e passare direttamente a Trails of Cold Steel, il primo realizzato totalmente in grafica 3D, per PlayStation Vita. I nuovi capitoli della serie, passati nel frattempo a NISA e che arriveranno successivamente su PS4, PC e Switch, pur non raggiungendo la fama di altre serie come Tales o Persona, vedono aumentare il proprio bacino di fan nella scena dei jrpg, sempre più giocatori si appassionano alla storia dell’impero Ereboniano, della Classe VII e ad uno scenario geopolitico narrato nei minimi particolari. Tuttavia, per una serie che fa della sua continuity e l’importanza degli eventi il suo punto cardine, il buco lasciato dalla duologia di Crossbell si fa sentire, in particolare in Trails of Cold Steel IV e nel successivo Trails into Reverie, i capitoli che più di tutti accorpano un numero di personaggi provenienti dai precedenti archi narrativi. La richiesta di poter giocare in inglese anche le avventure della Special Support Section inizia a farsi pressante, dalle parti di NISA, e l’uscita nel 2020 delle versioni “Kai” di Zero no Kiseki e Ao no Kiseki per PS4 sono un ulteriore assist per il loro approdo in occidente, che si concretizza, finalmente, tra il 2022 e la primavera del 2023.
Certo l’appassionato occidentale degli RPG di Falcom non ha che due opzioni, imparare il giapponese oppure essere molto, molto paziente, considerando che in questo momento in patria si stanno godendo Kuro no Kiseki II, ciò significa che stanno tre giochi avanti rispetto all’ultimo uscito qui, Trails of Cold Steel IV, appunto; in un’epoca in cui persino Atelier o una nuova ip totalmente sconosciuta quale Relayer hanno un’uscita worldwide, possiamo dirlo senza dare addosso a nessuno nello specifico che è una situazione quella dei Trails anacronistica e demoralizzante anche da parte di chi ha vissuto l’epoca dei jrpg negli anni ‘90, quando i giochi di questo genere ne arrivavano pochi, in ritardo o tradotti con estrema superficialità. D’altro canto l’uscita occidentale di Trails from Zero, frutto della perseveranza del publisher unito alla passione del gruppo di fan-translation Geofront, non può che essere accolta con un certo entusiasmo, in primis per il suo valore simbolico, dato che non tutti i giorni debutta sul mercato retail un jrpg così “datato” (per quanto comunque esteticamente più gradevole di qualsivoglia Pokémon) e in secondo luogo, ma non meno importante, per la qualità indiscussa di questi due capitoli, spesso definiti il punto più alto della serie Falcom.
I vari stati di cui si compone il continente di Zemuria risultano un rimando a nazioni e popoli del nostro passato. Laddove il Regno di Liberl, ambientazione della trilogia di Trails in the Sky, è dichiaratamente ispirato alla Thailandia (dove Toshihiro Kondo ha passato parte della sua gioventù), mentre l’Impero di Erebonia ha come riferimento l’impero germanico di fine ‘800, la città-stato di Crossbell trova la sua ispirazione in Hong Kong, o per essere più attuali in Taiwan e in generale tutte quelle nazioni geograficamente piccole ma storicamente contese da grandi potenze, per motivi economici e strategici. In questa fase della storia Crossbell è ancora formalmente indipendente, ma le influenze di Erebonia come di Calvard si insinuano nelle sue ricchezze e nel suo contesto politico, in uno scenario di spionaggio, infiltrazioni mafiose, corruzione, mettendo in atto giochi di potere operanti sotto la patina di una relativa tranquillità e di un benessere apparentemente incurante delle tensioni internazionali, tra sfavillanti spettacoli teatrali dell’ Arc en Ciel e la recente inaugurazione del parco giochi di Mishelam.
Da qui la scelta di metterci nei panni di un gruppo di neoassunti poliziotti, rimarcando le differenze con i Bracer della precedente trilogia, nei metodi come nella gestione dei ruoli, pur presentandosi in una struttura ancora una volta molto schematica, nella sua rigida divisione in capitoli. Come consuetudine per il primo capitolo di un nuovo arco narrativo, Trails from Zero si prende i suoi tempi, tramite una prima metà dalla forte, quanto inedita per la serie, connotazione da detective story, atta a farci conoscere nel migliore dei modi Crossbell e i suoi innumerevoli segreti; al costo di rinunciare a viaggi in aeronave e avventure tipiche del genere, questo The Legend of Heroes ci immerge nel suo tessuto sociale come pochi altri JRPG. Tale risultato è possibile anche grazie ad un cast di personaggi principali che rimane contenuto (specie se comparato alle scorpacciate all-star degli ultimi Trails of Cold Steel), ai protagonisti viene di conseguenza dedicato tutto lo spazio necessario per emergere, permettendoci di conoscere a fondo i propositi di Elie, figlia di un politico Calvardiano e di una Crossbelliana, i turbolenti trascorsi di Randy nei Jaeger e il drammatico passato di Tio, che si incrocia con quello di Renne. Proprio il culto D∴G, con il suo lato oscuro di rapimenti ed esperimenti che coinvolgono bambini, sono il principale motivo per cui l’arco di Crossbell viene considerato più maturo nelle sue tematiche, rispetto agli altri The Legend of Heroes (non a caso si è beccato un inedito Pegi-18), insieme all’età stessa dei protagonisti, tutti maggiorenni (eccetto Tio), in controtendenza con il contesto scolastico/accademico, con tutto ciò che comporterà, del successivo Trails of Cold Steel.
Il sistema di combattimento rimane quasi invariato rispetto a quanto visto nella trilogia Trails in the Sky, che vede gli scontri svolgersi in un’area isometrica nella quale è possibile, a turni, muoversi entro un certo raggio ed effettuare azioni, che si compongono di attacco, Craft (abilità dei personaggi) e magie tramite equipaggiamento Orbment. Novità di questo capitolo sono gli attacchi di mischia, che consentono di attaccare i nemici con l’intero gruppo, e i Craft combinati tra due personaggi, meccaniche comunque già familiari per coloro che hanno giocato i Trails of Cold Steel.
Successivamente il suo debutto su PSP, Falcom ha convertito Zero no Kiseki prima su PlayStation Vita, con la versione Evolution, e più recentemente su PS4 con la versione Kai, aggiungendo dialoghi doppiati e apportando altre piccole migliorie come la Speed Mode. L’edizione occidentale pubblicata da NISA aggiunge le versioni PC e Switch, le quali giovano delle migliorie grafiche operate da PH3 Games, lo studio del leggendario modder Peter “Durante” Thoman, che riguardano un nuovo anti-aliasing, fondali più rifiniti (in particolare nelle insegne) e funzionalità dell'interfaccia utente, di contro la versione PS4 è un semplice porting dell’edizione giapponese Kai del 2020. La traduzione come noto è frutto di un impegno congiunto tra NISA e Team Geofront, il gruppo di fan-translation che aveva tradotto il gioco già diversi anni fa (a cui si aggiunse quella di Azure arrivata ad un buon punto), l’adattamento è buono, anche se non mancano typo e qualche errore lasciato per strada. A tal proposito vale la pena menzionare i molteplici messaggi ironici che si possono leggere quando si controlla una seconda volta i bauli dei tesori vuoti, una “tradizione” di licenza poetica da parte dei traduttori, che tuttavia nulla toglie all’originale (sostituisce un semplice “the chest is empty”), iniziata da Xseed ai tempi di Trails in the Sky per alleviare lo stress, e portata avanti anche per questa occasione.
Non scopriamo certo oggi la prolificità e le abilità descrittive del team di Toshihiro Kondo, l’immenso scenario geopolitico allestito nel corso di quasi vent’anni non perde colpi ma anzi la sua etichetta di serie jrpg di nicchia dovrebbe stargli stretta e trovare maggior spazio. Il plot narrativo getta lo sguardo sui giovani protagonisti in questa città-stato dalle molteplici sfumature e strati sociali, il tema tremendamente attuale della presa di posizione imperialista, attraverso il quale Trails from Zero si colloca perfettamente quale tassello di congiunzione tra la saga di Liberl e quella di Erebonia, trova la sua esaltazione in un gioco che mescola sapientemente gli stilemi della scuola Falcom con l’investigativo. Si prova a rimanere contenuti sul giudizio solo alla luce del fatto che il successivo Trails to Azure ha tutte le carte in regola per superare questo già ottimo primo atto della lunga attesa mini-saga di Crossbell.