Il sito estero Siliconera ha avuto il piacere di intervistare Kenji Kimura, director del peculiare Ghostwire: Tokyo, con domande mirate sulla recente esclusiva Sony e sul folklore giapponese, elemento fondamentale alla base del gioco e dei suoi sviluppi. Di seguito riportiamo una traduzione dell'intervista e, se vi interessa il gioco, vi invitiamo a leggere la nostra recensione dedicata.
Data la natura della collaborazione tra Akito e K.K., i giocatori vedono solo quel poco che basta del passato dei due protagonisti per spingerli ad avanzare. Ad un certo punto c'è stato l'interesse di mostrare di più o più nel dettaglio la backstory dei due?
- Le leggende folkloristiche giapponesi lasciano spesso a chi le ascolta il compito di comprendere e interpretare a proprio modo i personaggi coinvolti, con Ghostwire abbiamo voluto mantenere questo aspetto. Abbiamo volontariamente strutturato il gioco in modo che fosse godibile così, anche senza sapere molto di Akito e K.K. Detto questo, abbiamo ricevuto molti feedback dai fan che chiedevano maggiori informazioni su Akito e K.K. perciò ci piacerebbe molto in futuro poter tornare su di loro.
Con così tante creature dal folklore giapponese e leggende metropolitane, c'è un qualche motivo particolare per cui buona parte dei Visitatori (i nemici, le creature contro cui si combatte ndr;) hanno forma umanoide mentre gli yokai coprono ruoli diversi?
- In generale, i Visitatori sono ispirati dalle leggende metropolitane e dal folklore giapponese. Le leggende giapponesi non tendono ad avere il mostro che salta fuori dal nulla e ti attacca. Questo genere di storie trattano più di creature che si muovo furtivamente nell'oscurità e quando ti ci avvicini scopri che dove sembrava non esserci nulla invece c'è qualcosa, qualcosa di familiare ma che è allo stesso tempo innaturale, inquietante.
Queste creature sono fuori dall'ordinario ma si muovono in contesti molto vicini alle persone. Volevamo che questo aspetto venisse avvertito dai giocatori e per questo abbiamo optato per creature umanoidi. D'altro canto gli yokai sono un qualcosa con cui il giapponese medio è cresciuto a stretto contatto: li conosciamo dai manga, dagli anime e dai libri, ne sentiamo parlare spesso con storie che li riguardano e coinvolgono per spiegare fenomeni naturali. Abbiamo voluto mantenere questo loro aspetto come forma di rispetto per la loro immagine ma allo stesso tempo li abbiamo aggiornati per renderli più calzanti nel mondo di Ghostwire.
A quali yokai avete dato la precedenza quando è arrivato il momento di decidere? Come avete affrontato il processo di scrittura per renderli più adatti al mondo di Ghostwire: Tokyo?
- Abbiamo cominciato includendo quelli più famosi. Il primo in assoluto è stato il Kappa perché ci sembrava il più conosciuto di tutti. Esiste anche una novel scritta da Ryunosuke Akutagawa intitolata Kappa e il contenuto di quel racconto è molto vicino all'immagine che avevamo di Akito e della sua esperienza. Nel libro un uomo insegue un Kappa e finisce per addentrarsi in un mondo dai valori molto diversi da quelli umani. I giocatori possono trovare la novel nell'Archivio in-game.
Il modo in cui Ghostwire: Tokyo usa il DualSense è fantastico. Dai diversi tipi di vibrazione all'audio che esce dagli speaker, sono tutti dettagli che immergono il giocatore nell'avventura, sembra davvero che K.K. sia un'entità al tuo fianco. Sfruttare in questo modo tutte le peculiarità del DualSense era già parte del design iniziale del gioco o sono stati accorgimenti aggiunti in un secondo momento?
- Sono stati aggiunti durante lo sviluppo del gioco, circa a metà del lavoro. Stavamo già lavorando sulla creazione di K.K., il combattimento etereo e la parte di estrazione del nucleo prima che il gioco diventasse esclusiva Playstation 5. Dopo che abbiamo provato i dev kits e le prime versioni del DualSense siamo rimasti affascinati da come le sue potenzialità si sposavano alla perfezione con il gioco. Da quel momento ci siamo impegnati per rendere il DualSense uno strumento per rendere l'esperienza di gioco ancora più immersiva.
Ho notato che su Ghostwire: Tokyo ci sono opzioni per cambiare font, bilanciamenti di colore per daltonici ed è anche possibile regolare il motion blur. Quanto è stato importante per il team implementare queste funzionalità?
- Volevamo che il gioco fosse accessibile a molte persone, a più persone possibile, in modo che tanti giocatori potessero divertirsi nell'esplorare la Tokyo paranormale che abbiamo creato. E' stato importante tanto quanto tutti gli altri aspetti del gioco riguardanti l'accessibilità. All'interno del team avevamo una persona con una punta di daltonismo e alcuni con una predisposizione verso la camera sickness. Grazie al loro supporto e a quello del personale Sony siamo riusciti ad aggiungere queste opzioni chiave.
Parte del processo di design racchiude necessariamente la rimozione di alcune parti, vuoi perché non si sposano bene con il resto o magari perché non si ha abbastanza tempo. C'è stato qualche elemento in particolare che il team avrebbe voluto inserire e che alla fine è stato tagliato? Esiste la possibilità di vedere dei DLC per Ghostwire: Tokyo?
- Durante lo sviluppo è importante tenere in considerazione la qualità dell'esperienza che si vuole costruire, insieme al tempo a disposizione per crearla. Ci sono momenti in cui forti prese di posizione o cambi di direzione sono necessari, ma per il lancio del gioco, dal punto di vista degli sviluppatori, sono davvero soddisfatto di quello che abbiamo creato. Penso che il team abbia fatto il meglio che ha potuto e non c'è nulla che mi venga in mente in questo momento che avrei voluto aggiungere in più. Abbiamo sentito feedback della comunity che chiedevano maggiori informazioni sui personaggi. Penso che sarebbe bello in futuro poter aggiungere qualcosa che approfondisca il loro background.
Con questo termina l'intervista di Siliconera a Kenji Kimura, director del gioco. Se siete incuriositi da Ghostwire: Tokyo vi invitiamo nuovamente a leggere la nostra recensione perché, come si evince dai toni usati nel nostro scritto, reputiamo sia un titolo che vale davvero la pena di essere giocato.
Data la natura della collaborazione tra Akito e K.K., i giocatori vedono solo quel poco che basta del passato dei due protagonisti per spingerli ad avanzare. Ad un certo punto c'è stato l'interesse di mostrare di più o più nel dettaglio la backstory dei due?
- Le leggende folkloristiche giapponesi lasciano spesso a chi le ascolta il compito di comprendere e interpretare a proprio modo i personaggi coinvolti, con Ghostwire abbiamo voluto mantenere questo aspetto. Abbiamo volontariamente strutturato il gioco in modo che fosse godibile così, anche senza sapere molto di Akito e K.K. Detto questo, abbiamo ricevuto molti feedback dai fan che chiedevano maggiori informazioni su Akito e K.K. perciò ci piacerebbe molto in futuro poter tornare su di loro.
Con così tante creature dal folklore giapponese e leggende metropolitane, c'è un qualche motivo particolare per cui buona parte dei Visitatori (i nemici, le creature contro cui si combatte ndr;) hanno forma umanoide mentre gli yokai coprono ruoli diversi?
- In generale, i Visitatori sono ispirati dalle leggende metropolitane e dal folklore giapponese. Le leggende giapponesi non tendono ad avere il mostro che salta fuori dal nulla e ti attacca. Questo genere di storie trattano più di creature che si muovo furtivamente nell'oscurità e quando ti ci avvicini scopri che dove sembrava non esserci nulla invece c'è qualcosa, qualcosa di familiare ma che è allo stesso tempo innaturale, inquietante.
Queste creature sono fuori dall'ordinario ma si muovono in contesti molto vicini alle persone. Volevamo che questo aspetto venisse avvertito dai giocatori e per questo abbiamo optato per creature umanoidi. D'altro canto gli yokai sono un qualcosa con cui il giapponese medio è cresciuto a stretto contatto: li conosciamo dai manga, dagli anime e dai libri, ne sentiamo parlare spesso con storie che li riguardano e coinvolgono per spiegare fenomeni naturali. Abbiamo voluto mantenere questo loro aspetto come forma di rispetto per la loro immagine ma allo stesso tempo li abbiamo aggiornati per renderli più calzanti nel mondo di Ghostwire.
A quali yokai avete dato la precedenza quando è arrivato il momento di decidere? Come avete affrontato il processo di scrittura per renderli più adatti al mondo di Ghostwire: Tokyo?
- Abbiamo cominciato includendo quelli più famosi. Il primo in assoluto è stato il Kappa perché ci sembrava il più conosciuto di tutti. Esiste anche una novel scritta da Ryunosuke Akutagawa intitolata Kappa e il contenuto di quel racconto è molto vicino all'immagine che avevamo di Akito e della sua esperienza. Nel libro un uomo insegue un Kappa e finisce per addentrarsi in un mondo dai valori molto diversi da quelli umani. I giocatori possono trovare la novel nell'Archivio in-game.
Il modo in cui Ghostwire: Tokyo usa il DualSense è fantastico. Dai diversi tipi di vibrazione all'audio che esce dagli speaker, sono tutti dettagli che immergono il giocatore nell'avventura, sembra davvero che K.K. sia un'entità al tuo fianco. Sfruttare in questo modo tutte le peculiarità del DualSense era già parte del design iniziale del gioco o sono stati accorgimenti aggiunti in un secondo momento?
- Sono stati aggiunti durante lo sviluppo del gioco, circa a metà del lavoro. Stavamo già lavorando sulla creazione di K.K., il combattimento etereo e la parte di estrazione del nucleo prima che il gioco diventasse esclusiva Playstation 5. Dopo che abbiamo provato i dev kits e le prime versioni del DualSense siamo rimasti affascinati da come le sue potenzialità si sposavano alla perfezione con il gioco. Da quel momento ci siamo impegnati per rendere il DualSense uno strumento per rendere l'esperienza di gioco ancora più immersiva.
Ho notato che su Ghostwire: Tokyo ci sono opzioni per cambiare font, bilanciamenti di colore per daltonici ed è anche possibile regolare il motion blur. Quanto è stato importante per il team implementare queste funzionalità?
- Volevamo che il gioco fosse accessibile a molte persone, a più persone possibile, in modo che tanti giocatori potessero divertirsi nell'esplorare la Tokyo paranormale che abbiamo creato. E' stato importante tanto quanto tutti gli altri aspetti del gioco riguardanti l'accessibilità. All'interno del team avevamo una persona con una punta di daltonismo e alcuni con una predisposizione verso la camera sickness. Grazie al loro supporto e a quello del personale Sony siamo riusciti ad aggiungere queste opzioni chiave.
Parte del processo di design racchiude necessariamente la rimozione di alcune parti, vuoi perché non si sposano bene con il resto o magari perché non si ha abbastanza tempo. C'è stato qualche elemento in particolare che il team avrebbe voluto inserire e che alla fine è stato tagliato? Esiste la possibilità di vedere dei DLC per Ghostwire: Tokyo?
- Durante lo sviluppo è importante tenere in considerazione la qualità dell'esperienza che si vuole costruire, insieme al tempo a disposizione per crearla. Ci sono momenti in cui forti prese di posizione o cambi di direzione sono necessari, ma per il lancio del gioco, dal punto di vista degli sviluppatori, sono davvero soddisfatto di quello che abbiamo creato. Penso che il team abbia fatto il meglio che ha potuto e non c'è nulla che mi venga in mente in questo momento che avrei voluto aggiungere in più. Abbiamo sentito feedback della comunity che chiedevano maggiori informazioni sui personaggi. Penso che sarebbe bello in futuro poter aggiungere qualcosa che approfondisca il loro background.
Con questo termina l'intervista di Siliconera a Kenji Kimura, director del gioco. Se siete incuriositi da Ghostwire: Tokyo vi invitiamo nuovamente a leggere la nostra recensione perché, come si evince dai toni usati nel nostro scritto, reputiamo sia un titolo che vale davvero la pena di essere giocato.
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