Warhammer 40.000 Dawn of War III - Recensione PC
Si torna a combattere per la terza volta nel quarantunesimo millennio
di Utente52535
Nel 2004, Relic Entertainment (già conosciuta per la mai troppo apprezzata serie Homeworld) firmò un titolo destinato a fare la storia delle trasposizioni di Warhammer 40K su pixel: il primo Dawn of War fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno, capace di coniugare l’attenzione verso la fonte di partenza a tante piccole innovazioni mirate nel campo della strategia in tempo reale, come la conquista di punti strategici al posto della più tradizionale raccolta di risorse. Ne risultò un titolo di culto, una vetta eccellente degli RTS su PC, capostipite di una serie che, tra alti e bassi, si è sempre contraddistinta per la sua continua voglia di rielaborazione e miglioramento delle meccaniche più stantie del genere.
Tra un Dark Crusade che introdusse per la prima volta nel franchise una campagna tattica in forma libera alla Total War e un Dawn of War II che enfatizzava l’aspetto più squisitamente RPG, Relic non ha certamente mai smesso di sperimentare con la sua creatura prediletta, rimescolando suggestioni eterodosse provenienti da più generi diversi. Dawn of War III rappresenta, in un certo senso, la summa di tale filosofia, un miscuglio di influenze che cerca di trovare la sua strada all’interno di un genere che negli ultimi anni ha visto affermarsi il predominio dei MOBA. Con tutto ciò che ne consegue.
Perché se c’è una cosa che contraddistingue questo terzo Dawn of War è l’ecletticità delle sue meccaniche: in massima parte, Dawn of War III cerca di recuperare la perduta arte dell’RTS vecchia scuola, con classicismi quali raccolta di risorse, costruzione delle truppe e cattura di obiettivi strategici. Gli elementi preferiti del genere ci sono tutti, tra armate da gestire, se lo si vuole, tramite gruppi di comando e una certa enfasi posta su un ben poco originale sistema di carta-forbice-sasso che gestisce i rapporti di forza tra le armi combinate. Il riferimento ai MOBA, però, non è casuale, dato che l’altra metà del titolo è rappresentata dalle unità élite: si tratta di potenti eroi, unici per ogni fazione, capaci da soli di rovesciare le sorti di una battaglia; e in realtà, non parliamo semplicemente di mere unità speciali da gettare nella mischia per dare un vantaggio tattico in più, bensì di veri e propri pilastri tattici fondamentali, con tanto di importanti abilità attivabili gestite tramite cooldown, attorno ai quali è necessario costruire l’interità della propria strategia. Ciò che ne risulta è una commistione di generi, tra l’attenzione alla microgestione degli eroi tipica dei MOBA e il senso tattico in grande scala degli RTS meno recenti. Un “pastiche” che, quando funziona, non può fare a meno di ricordare simili sperimentazioni tematiche come Warcraft III.
Blizzard ha fatto scuola in più di un senso, in quanto – proprio come un certo titolo fantascientifico di successo della casa di Irvine - il gioco presenta tre fazioni caratterizzate da una distinta asimmetricità: da una parte gli Space Marines, o Adeptus Astartes, guerrieri umani geneticamente modificati in armatura potenziata, zeloti a metà fra il soldato e il monaco guerriero; dall’altra gli Eldar, che altro non sono che elfi dello spazio, tanto enigmatici quanto mistici; in ultimo gli Orki, che come vuole la tradizione del setting si contraddistinguono tanto per la ferocia e la sete di sangue quanto per l’umorismo nero che permea ogni loro azione e parola. I paragoni con uno StarCraft a caso si sprecano, perché sebbene le meccaniche di base non si discostino di tanto da razza a razza – basandosi sempre sulla costruzione di strutture e la produzione di soldati – ognuna di esse presenta profonde differenziazioni tattiche, e saperle sfruttare adeguatamente rappresenta la chiave di volta per ottenere il successo sperato in battaglia: e allora, gli Space Marine potranno mettere sul piatto una vasta scelta di solide truppe e un esercito bilanciato in ogni sua componente, gli Orki prediligeranno la mischia e le ondate numerose, mentre gli Eldar sfrutteranno a dovere imboscate e tattiche mordi e fuggi, rivelandosi però deboli nei combattimenti prolungati.
C’è però un rovescio della medaglia: gli eroi e le dottrine vanno sbloccati con un sistema di punti, chiamati “teschi”, ottenuti completando le missioni della campagna a giocatore singolo oppure i match in multiplayer. Appare chiaro fin da subito che sbloccare tutti i contenuti disponibili si rivela un’impresa decisamente poco allettante, data la scarsa quantità di teschi ottenibili per ogni partita, forzando il giocatore (almeno all’inizio) ad operare delle scelte oculate nei propri acquisti e sacrificando, magari, quella voglia di sperimentare che tale meccanica invece suggerirebbe. Si tratta, a tutti gli effetti, di uno scomodo quanto banale grinding che, di fatto, viene già malvisto dalla stragrande maggioranza della community online. Non aiuta, in tutto questo, un sistema di punti esperienza per ogni singolo eroe che diventa presto banale e poco approfondito.
Un aiuto per i giocatori meno pazienti può arrivare dalla campagna single-player, che permette di accumulare nel corso delle sue 17 longeve missioni un discreto numero di teschi e punti esperienza per gli eroi. La trama, tuttavia, si rivela ben presto incapace di tenere incollato il giocatore allo schermo: il plot centrale è ordinaria amministrazione, con le tre razze protagoniste alla ricerca di un misterioso artefatto, la Lancia di Khaine; tra tradimenti telefonati, pathos non pervenuto e personaggi tagliati con l’accetta (anche se i fan della saga saranno senza dubbio lieti di rivedere vecchie conoscenze come Gabriel Angelos e la veggente Eldar Macha), la trama non si discosta nemmeno di un millimetro dal tipico intreccio di qualsiasi romanzo di Warhammer 40K, né per tematiche né per tono. Di buono c’è la sempre attenta ed encomiabile ricostruzione dell’universo originale da parte di Relic, sia nel design estetico che in quello sonoro, ma dagli sceneggiatori dello studio, capaci come sono visto il loro portfolio, ci si aspettava indubbiamente qualcosa di più.
Se c’è una cosa che la modalità storia di Dawn of War III è però capace di offrire è ecletticità e dinamismo: ogni missione incarica il giocatore di assumere il comando di una fazione diversa, alternando continuamente tra le tre disponibili, mentre il level design offre continuamente spunti strategici inediti, presentando di continuo nuovi obiettivi e rovesciamenti di fronte. Nonostante la lunga durata dei singoli scontri – le missioni più lunghe possono durare anche fino a due o tre ore – i momenti di noia sono assai rari, a dispetto dell’esilità dell’intreccio. Considerando la mediocrità con la quale, solitamente, vengono confezionate le campagne in solitaria in un normale RTS, è senza dubbio piacevole vedere una tale attenzione riposta nella strutturazione degli stage e nel modellare un’esperienza che sia qualcosa di un più che un mero anticipo del multiplayer.
Proprio la modalità online sarebbe, nelle intenzioni degli sviluppatori, il fulcro centrale dell’esperienza di Dawn of War III: dato che i giocatori raccolgono risorse conquistando i punti di controllo sparsi lungo la mappa, i match risultano quasi sempre particolarmente votati all’attacco, invitando costantemente all’azione in prima linea e ad uno stile di gioco aggressivo e audace, pena la carenza di risorse necessarie per proseguire. In particolare nelle partite con più giocatori (sono presenti modalità 1v1, 2v2 e 3v3) adottare un tale comportamento è assolutamente necessario. Per quanto Relic abbia concentrato gran parte dei propri sforzi sull’offerta multigiocatore di Dawn of War III, tuttavia, la scarsa varietà di mappe e modalità di gioco non gioca a favore del titolo, poiché le 8 mappe presenti sono completamente dedicate ad una specifica modalità incentrata sulla cattura del nucleo della fazione avversaria, in maniera non dissimile da quanto avviene in un qualsiasi MOBA. E in effetti, le suggestioni provenienti da tale genere hanno radici ben profonde un po’ in tutta la struttura di gioco.
Uno strano esperimento, questo Dawn of War III, costantemente in bilico tra tradizione e innovazione, tra rispetto del passato e tendenze da novello Esport sulla scia degli esponenti di più ampio successo. La struttura di base è buona, anzi ottima, ed è impossibile non esaltarsi di fronte all’eccellente caratterizzazione delle fazioni in gioco, ai poderosi eroi disponibili e al puro fragore di scontri capaci di far tremare la terra; la voglia costante di ibridazione rappresenta, tuttavia, anche il punto più debole del titolo, con frequenti sbilanciamenti, semplificazioni davvero non necessarie e a una certa mancanza di rifinitura nei suoi meccanismi. C’è, se Relic si dimostrerà sufficientemente operosa, un gran potenziale per diventare un classico del genere, grazie al carisma del setting e all’ampio spazio visibile per modifiche, raffinamenti ed espansioni quantomai necessarie. Nel frattempo, non rimane che godersi un titolo volenteroso che trova la sua forza in un design che sfida le convenzioni degli RTS, eterogeneo a sufficienza per soddisfare numerosi palati.