Biomutant - Recensione
Il pazzo e ambizioso open world di Experiment 101 e THQ Nordic è finalmente disponibile.
di Revil-Rosa
Tutto questo preambolo farcito di ovvietà semi-filosofiche serviva per prendere tempo rispetto ad un titolo davvero difficile da valutare: Biomutant. Il gioco di Experiment 101 e THQ Nordic sta facendo parlare molto di sé, in pochi giorni ha diviso critica e pubblico in egual misura, portando persino il publisher a ironizzare di come da una parte i recensori elogiassero il mondo di gioco, buttando giù il gameplay, e dall’altra decantassero il gameplay affossando invece il mondo. Cosa si nasconderà davvero dietro questo misterioso Biomutant, ironicamente mutevole come il suo titolo e sperimentale come il nome dei suoi sviluppatori?
Biomutant divide critica e pubblico: un open world decisamente fuori dalle righe che è riuscito a confondere, affascinare e disorientare esperti di tutto il mondo!
Sullo sfondo di un mondo in pezzi dove la negligenza di una multinazionale ha portato alla contaminazione e mutazione irreversibile della vita, finendo per generare il contesto post-apocalittico in cui si svolgono le vicende, un cucciolo perde la sua famiglia a causa della malvagità di chi detiene un enorme potere. Il perfido Lupa Lupis mette a ferro e fuoco il villaggio del protagonista, cercando in tutti i modi di eliminarne la madre, nonché capo della felice comunità votata all’equilibrio della vita con la natura e, ovviamente, maestra suprema del Wung-Fu.Grazie al drammatico sacrificio dei genitori, il cucciolo riesce a salvarsi scappando nelle terre selvagge. Armato solo della propria determinazione e delle proprie capacità di Wung-Fu, il piccolo cresce sano e forte, dimenticando parzialmente il trauma subito, finché un giorno non torna nei pressi della sua città natale.
I ricordi tornano, ma ad aspettarlo non ci sono gli amici e la tranquillità di un tempo, bensì un contesto di guerra e caos dove i fedeli discepoli della madre si fanno guerra tra loro come capi tribù, lasciando in secondo piano la terribile catastrofe che Lupa Lupis ha scatenato, ignorando i danni che le scorie radioattive del vecchio mondo stanno causando all’eco-sistema, consumando poco alla volta l’Albero della Vita che rende florido il mondo. Il mondo sta affrontando un momento di grande cambiamento e l’ago della bilancia sarà proprio quel ormai non più così piccolo cucciolo: seguirà i dettami di equilibrio della madre, seguendo un percorso di luce riunificando i clan e purificando il mondo oppure sceglierà le tenebre, sottomettendo gli ex-discepoli e votandosi alla vendetta contro il perfido Lupa Lupis?
La storia di Biomutant si rifà molto alle classiche storie di kong-fu, riprendendone i dilemmi morali più iconici e le filosofie più affascinanti, ma ripensando il tutto in un contesto decisamente atipico e dalle atmosfere originali per questa tipologia di storie. Il solenne lascia spazio all’esagerato, alternando sequenze d’azione fortemente “epic-trash” ad altre inaspettatamente drammatiche, riuscendo in tutto questo nel difficile compito di non scadere mai nel patetico né tanto meno nel tragicomico, riuscendo di fatto a mettere in piedi una efficace storia di crescita e vendetta. Nomi di armi, luoghi, personaggi e oggetti inoltre sono stati tradotti in italiano mantenendo lo scherzoso spirito originale, ci troveremo quindi alla ricerca dei Patatoidi nella Valle del Ciuff Ciuff mentre stiamo seguendo le tracce di una belva per diventare degli ammozzamustri.
Le scelte dei giocatori influenzano in modo più o meno importante gli sviluppi sia lato trama che lato gameplay, ma la grossa peculiarità di Biomutant è che spesso una strada non ne preclude realmente un’altra. Libertà e sperimentazione sono senza dubbio le parole chiave dietro il gioco di Experiment 101, difatti entrambi i concetti si ritrovano in quasi tutti gli elementi del gioco: sta al giocatore scegliere se e con quale delle 6 tribù stringere un’alleanza, è lui che può decidere quando e come affrontare i boss, è lui che può accettare di seguire indicazioni e consigli o se lanciarsi in solitaria alla scoperta del mondo così come è sempre invitato ad assemblare, smontare e ricostruire armi, equipaggiamenti e, in un certo senso, anche lo stile di gioco. Difficilmente le armi si trovano pronte, su Biomutant il giocatore assembla il proprio arsenale con i tanti pezzi che trova in giro e ha a disposizione altrettanti elementi per potenziare e personalizzare le proprie creazioni. In questo modo è virtualmente improbabile che due armi siano uguali, sia dal punto di vista estetico che lato statistiche ed effetti.
Per rimarcare la libertà lasciata da Biomutant basti dire che l’aspetto del protagonista e le sue relative statistiche iniziali, legate a doppio filo durante la creazione del personaggio all’inizio del gioco, possono venire modificate in un secondo momento accedendo ad una certa zona. Anche la “classe” scelta all’inizio non è in alcun modo vincolante, una classe infatti non è che un set di abilità ed oggetti con cui iniziare, ma non preclude nulla: nel corso dell’avventura è possibile sbloccare ogni tecnica così da ricreare una qualsiasi delle classi proposte all’inizio e, ovviamente, crearne di nuove. La questione non è se potrete usare un qualcosa, ma quando si potrà usare poiché tutte le abilità si possono sbloccare e tutte le tipologie di armi si possono costruire.
Notare però che prima di costruire una certa arma è necessario trovarne una di quel tipo già pronta, scovandola in giro o acquistandola in un negozio. L’unico elemento di gameplay apparentemente limitante è l’inclinazione del personaggio, rappresentata dal colore della sua Aura. Come è giusto che sia, il protagonista non può essere contemporaneamente sia buono che cattivo e, sebbene ci siano degli step intermedi tra i due estremi, alcune abilità sono limitate all’inclinazione. Un Aura puramente bianca può comunque trasformarsi in puramente nera se si persevera in azioni malvagie dunque anche lì diventa solo questione di tempo e dedizione. Detto questo, nonostante la grandissima libertà e le numerose opzioni disponibili, le differenze tra le diverse tipologie di armi da mischia e da distanza non sono poi così marcate se non giusto nei danni inflitti e nella frequenza dei colpi.
Come ogni open world che si rispetti, il vasto e variegato mondo di Biomutant offre tonnellate di aree da esplorare, oggetti da raccogliere, missioni da scoprire e mostri da sconfiggere, il tutto con una grafica ottima, uno stile unico e soprattutto coerente con sé stesso -aspetto non scontato in produzioni dal budget non così alto- sebbene qualche proporzione di dimensioni-altezze tra oggetti e personaggi faccia sorridere, e un’ottima attenzione per nomi e dettagli di oggetti e luoghi, sebbene ad uno sguardo più attento non manchino ricicli di asset.
Nulla di eccessivamente fastidioso comunque, anzi, il perché molte rovine siano uguali in tutto il mondo è spiegato dalla storia, così come sono spiegati i passaggi narrativi e le tradizioni locali, lasciando poco al caso e aiutando il giocatore ad immergersi in un modo molto distante dal nostro, ma con un punto di partenza a noi comune. Da notare che il mondo aperto di Biomutant non segue la ormai apparentemente collaudata e condivisa visione mappone aperto a 360° gradi, riempito poi di eventi e punti di interesse.
Biomutant si pone piuttosto come una serie di macro-aree sapientemente collegate tra loro, caratterizzate da uno stile che muta gradualmente mentre si avanza verso la successiva. Tale impostazione limita il concetto di open world inteso come “vado dove voglio” in favore di una esplorazione più “guidata” ma proprio per questo più ricca. L’impressione è che il mondo di Biomutant non è una enorme mappa disseminata di eventi e punti di interesse, bensì un insieme coerente di livelli, concettualmente più vicina al continente di Dragon Quest VIII o ad un mondo di Kingom Hearts III che non ad un, per dire, Assassin’s Creed Valhalla. Ad assistere il giocatore per tutta la sua avventura del mondo di gioco sarà l'onnisciente e onnipresente voce narrante, una calda voce maschile che tradurrà gli incomprensibili versi dei personaggi e commenterà buona parte delle azioni del giocatore.
Il narratore usato in questo modo è una scelta originale che dona all’avventura un tocco fiabesco decisamente affascinante, tocco che fa contrasto con i toni fortemente action del gioco, ma che proprio per questo generano un’atmosfera davvero originale che mantiene il fascino delle storie di kong-fu. La frequenza di commenti della voce narrante può essere regolata così come si possono limitare i versi incomprensibili degli animali, simpatici all’inizio ma alla lunga snervanti.
Lato gameplay Biomutant offre tantissime opzioni al giocatore, il quale può davvero sbizzarrirsi con innumerevoli stili diversi: dalla build melee fatta di lenti attacchi pesanti a quella agile dove veloci colpi si alternano per letali combo, dal personaggio che combatte a distanza con due mini-uzi o magari con lenti ma potenti fucilate, passando ovviamente per tutto quello che ci sta in mezzo. A tutto questo si aggiungono i numerosi poteri speciali psionici e di mutazione, per un approccio alla battaglia davvero libero e votato alla sperimentazione, proprio come vuole essere lo spirito di Biomutant.
In tutta questa marea di libertà e sperimentazione però manca una rifinitura finale, probabilmente da imputare alle ridotte dimensioni del team di sviluppo e al budget usato, decisamente lontano da quello dei tripla A. Biomutant prende gli elementi che rendono gli action e le avventure open world divertenti e le reinventa alla propria maniera portando alla nascita di un prodotto valido e originale, tuttavia il risultato finale non sempre è dei migliori ed è così che innumerevoli buone idee perdono fascino a causa di movenze goffe, bilanciamenti non proprio ottimali e tanti piccoli bug che ne intaccano irrimediabilmente la magia.
Poter aggiungere al proprio zaino una borchia che ne aumenta il valore di difesa è bello, ma il fatto che nel menù sembri appesa al nulla non da una buona impressione. Biomutant è un gioco più che valido a cui mancano però i dettagli che fanno la differenza tra un fantastico The Legend of Zelda e un’occasione sprecata quale Ary and the Secret of Seasons; quei dettagli apparentemente inutili che però danno spessore al gioco come la scalata con le mosse di parkour dei primi Assassin’s Creed rispetto ai salti da Hulk degli ultimi capitoli. Attenzioni inutili? Forse, ma come dice Bugo: il superfluo è a volte più importante.
Ci rendiamo perfettamente conto che mettere sullo stesso piano il primo lavoro di Experiment 101 e una serie di fama mondiale targata Ubisoft come Assassin’s Creed sia una scelta ingiusta ed infelice, ma la magia che i trailer di Biomutant ci avevano mostrato ci spingeva verso quella direzione, inoltre anche senza scomodare le fantastiche reazioni di Nathan Drake quando gli sparano, le scene di battaglia di Biomutant appaiono goffe e spartane così come lo sono i menù, caratterizzati da font che puzzano di default lontano un kilometro. Disattenzioni come l’impossibilità di togliere i sottotitoli anche dopo che si è selezionata la suddetta opzione o caricamenti di texture e vestiti in grande ritardo rispetto alle cutscene o, ancora, problemi di tracking negli obiettivi delle missioni e strani effetti duranti i movimenti sono tutte problematiche più o meno comuni al day one di titoli enormi ed impegnativi come un open world, soprattutto se dietro non c’è una casa enorme ma il risultato finale appare fin troppo raffazzonato.
GIUDIZIO FINALE
Biomutant è un’occasione sprecata. Un buon gioco certo, lontano dalla insufficienza, ma comunque una grande occasione sprecata.
Il gioco di Experiment 101 non scade mai al livello di Ary and the Secret of Seasons perché i suoi limiti non compromettono irrimediabilmente la qualità del prodotto, tuttavia è innegabile che i tanti piccoli difetti ne intacchino pesantemente la godibilità finale. Biomutant aveva le carte in regola per diventare un capolavoro innovativo, uno di quei giochi capaci di riscrivere le leggi più ferree del loro genere, ma alla fine finisce per essere un semplice “bel gioco”. Non c’è nulla di male nell’essere “solo un bel gioco”, anzi a volte è meglio quello rispetto ad altri titoli ben più impegnativi e attesi come poteva essere un Death Stranding, tuttavia l’ambizione del team nel fare qualcosa di più si avverte dietro le numerose features inserite e l’attenzione posta nei dettagli, come l’ottima traduzione italiana. Vedere che tutti questi anni di lavoro si sono ridotti a questo è un vero peccato, di certo qualche feature in meno e qualche rifinitura in più avrebbero giovato enormemente a Biomutant che, ad oggi, rimane un titolo più che valido che invitiamo tutti caldamente a provare, ma purtroppo non è la nuova stella che tanti aspettavano.
Il gioco di Experiment 101 non scade mai al livello di Ary and the Secret of Seasons perché i suoi limiti non compromettono irrimediabilmente la qualità del prodotto, tuttavia è innegabile che i tanti piccoli difetti ne intacchino pesantemente la godibilità finale. Biomutant aveva le carte in regola per diventare un capolavoro innovativo, uno di quei giochi capaci di riscrivere le leggi più ferree del loro genere, ma alla fine finisce per essere un semplice “bel gioco”. Non c’è nulla di male nell’essere “solo un bel gioco”, anzi a volte è meglio quello rispetto ad altri titoli ben più impegnativi e attesi come poteva essere un Death Stranding, tuttavia l’ambizione del team nel fare qualcosa di più si avverte dietro le numerose features inserite e l’attenzione posta nei dettagli, come l’ottima traduzione italiana. Vedere che tutti questi anni di lavoro si sono ridotti a questo è un vero peccato, di certo qualche feature in meno e qualche rifinitura in più avrebbero giovato enormemente a Biomutant che, ad oggi, rimane un titolo più che valido che invitiamo tutti caldamente a provare, ma purtroppo non è la nuova stella che tanti aspettavano.
Gioco testato su Playstation 4.