Recensione
Anno 1975, un nuovo genere di manga travolge il Giappone, si parla di Europa, ma non di quella attuale, si parla di un’Europa sontuosa, pomposa e romantica come solo nel ‘700 è riuscita ad essere. A capo di questa ondata d’amore per il roccocò e i giri di valzer, un manga : Versailles no Bara. I network vorrebbero chiaramente sfruttare tanta popolarità ma quella testona della Ikeda continua a negare i diritti per la trasposizione televisiva. Che fare? Un nuovo anime naturalmente, ambientato nella stessa epoca e che sfami il vorace popolo nipponico di pizzi, merletti, spadaccini ed eroi. Così nasce “La Seine no Hoshi”, un anime destinato a un uso prettamente commerciale che saprà però farsi valere, soprattutto per il contributo glorioso di due grandi protagonisti all’epoca ancora un po’ sconosciuti : Akio Sugino (Caro Fratello, Jenny la tennista) e soprattutto Yoshiyuki Tomino, futuro creatore di Gundam.
La storia è di quelle che piacciono : Simone Lorene, figlia di poveri fiorai viene adottata dal conte De Voudrel, suo mentore e futuro tutore. Quando le “terribili” guardie cittadine uccidono i genitori di Simone il conte la prende definitivamente con se. È in questo modo che la ragazza, allora adolescente, conosce il figlio del conte, un ragazzotto tutto d’un pezzo e due identità. Di giorno mite e letterato, di notte scalmanato difensore dei deboli nei panni de “Il Tulipano Nero”. Simone che non è certo una da mettere a far la calza, appresa l’arte dello scherma si traveste a sua volta, e travestendosi, veste i panni de “La stella della Senna” carismatica eroina che salva i deboli dai soprusi dei nobili.
Al contrario di Versailles no Bara la sceneggiatura di quest’opera è un guazzabuglio di imprecisioni storiche e ridicoli scivoloni. Il Tulipano Nero è niente popò di meno che un personaggio di un romanzo di Alexandre Dumas (padre) ambientato cento anni prima in Olanda, dove effettivamente i tulipani, nuovo prodotto esotico appena importato dalle indie orientali, avevano il loro perché. Personaggi fantasiosi a parte, è proprio lo scenario di fondo ad essere poco curato. Gli sceneggiatori vestono le guardie cittadine coi panni degli orchi cattivi, che hanno diritto di vita e di morte sulla popolazione. La realtà storica è ben lontana. I nobili inoltre sono visti come parassiti avidi, che non perdono tempo ad angheriare la popolazione inerme. È un clichè classico questo nelle sceneggiature nipponiche, che attinge al retaggio Tokugawa dove la classe guerriera (i Samurai) potevano effettivamente ammazzare un po’ quello che volevano (uomini inclusi). Uno scenario barbaro e violento quello del medioevo giapponese, che ben si presta per disegnare un epoca di soprusi e vessazioni. Le ragioni della rivoluzione francese sono ben altre, ma questo non è un saggio storico. Parlando dei personaggi , anzi del personaggio, ossia Simone, unica a comparire nell’intera serie, si può dire che la ragazza non brilla certo per il pathos. Statica, stuccata, irremovibile, eccessivamente (e fastidiosamente) eroica. Una figura distante dal solito eroe animato giapponese anni ‘70, che dietro a un volto severo e risoluto, nascondeva sempre un’anima buona con una sorta di fallibilità intrinseca. Simone non fallisce, è una specie di superman in rimmel e collant, che non tarda ad annoiare.
La grafica è inquadrata nel periodo storico. Nonostante gli sforzi di Sugino per richiamare alla mente l’opera della Ikeda (sforzo peraltro riuscito anche se solo in parte) tutto il resto fa davvero un po’ acqua. La key animation è centellinata e l’opera è pervasa da una staticità che tende davvero ad innervosire, quasi come una carrellata di diapositive dietro le quali si alternano varie voci. Assenti luci e ombre, buono il colore. Il doppiaggio italiano è ben confezionato. Ma in questa poltiglia umidiccia di cadute di stile anche noi non potevamo certo mancare. La sigla, storica e classica, cela, nella sua versione integrale un vergognoso errore storico. Il verso “Il 4 luglio si arrende il bastione, il 4 luglio c’è la rivoluzione” anticipa di 10 giorni la presa della Bastiglia (forse confondendola in modo erroneo la data con la firma della dichiarazione d’indipendenza americana). Ed è alquanto discutibile il fatto che tutti coloro che lavorarono a questa colonna sonora, dai compositori alla cantante, fino al network che la trasmise, non siano riusciti ad accorgersi di un errore tanto madornale.
Nel complesso un’opera tranquillamente evitabile, che mi sorbii da bambino, ipnotizzato dal tubo catodico ma che di certo non mi rimetterei a guardare ora. Sei.
La storia è di quelle che piacciono : Simone Lorene, figlia di poveri fiorai viene adottata dal conte De Voudrel, suo mentore e futuro tutore. Quando le “terribili” guardie cittadine uccidono i genitori di Simone il conte la prende definitivamente con se. È in questo modo che la ragazza, allora adolescente, conosce il figlio del conte, un ragazzotto tutto d’un pezzo e due identità. Di giorno mite e letterato, di notte scalmanato difensore dei deboli nei panni de “Il Tulipano Nero”. Simone che non è certo una da mettere a far la calza, appresa l’arte dello scherma si traveste a sua volta, e travestendosi, veste i panni de “La stella della Senna” carismatica eroina che salva i deboli dai soprusi dei nobili.
Al contrario di Versailles no Bara la sceneggiatura di quest’opera è un guazzabuglio di imprecisioni storiche e ridicoli scivoloni. Il Tulipano Nero è niente popò di meno che un personaggio di un romanzo di Alexandre Dumas (padre) ambientato cento anni prima in Olanda, dove effettivamente i tulipani, nuovo prodotto esotico appena importato dalle indie orientali, avevano il loro perché. Personaggi fantasiosi a parte, è proprio lo scenario di fondo ad essere poco curato. Gli sceneggiatori vestono le guardie cittadine coi panni degli orchi cattivi, che hanno diritto di vita e di morte sulla popolazione. La realtà storica è ben lontana. I nobili inoltre sono visti come parassiti avidi, che non perdono tempo ad angheriare la popolazione inerme. È un clichè classico questo nelle sceneggiature nipponiche, che attinge al retaggio Tokugawa dove la classe guerriera (i Samurai) potevano effettivamente ammazzare un po’ quello che volevano (uomini inclusi). Uno scenario barbaro e violento quello del medioevo giapponese, che ben si presta per disegnare un epoca di soprusi e vessazioni. Le ragioni della rivoluzione francese sono ben altre, ma questo non è un saggio storico. Parlando dei personaggi , anzi del personaggio, ossia Simone, unica a comparire nell’intera serie, si può dire che la ragazza non brilla certo per il pathos. Statica, stuccata, irremovibile, eccessivamente (e fastidiosamente) eroica. Una figura distante dal solito eroe animato giapponese anni ‘70, che dietro a un volto severo e risoluto, nascondeva sempre un’anima buona con una sorta di fallibilità intrinseca. Simone non fallisce, è una specie di superman in rimmel e collant, che non tarda ad annoiare.
La grafica è inquadrata nel periodo storico. Nonostante gli sforzi di Sugino per richiamare alla mente l’opera della Ikeda (sforzo peraltro riuscito anche se solo in parte) tutto il resto fa davvero un po’ acqua. La key animation è centellinata e l’opera è pervasa da una staticità che tende davvero ad innervosire, quasi come una carrellata di diapositive dietro le quali si alternano varie voci. Assenti luci e ombre, buono il colore. Il doppiaggio italiano è ben confezionato. Ma in questa poltiglia umidiccia di cadute di stile anche noi non potevamo certo mancare. La sigla, storica e classica, cela, nella sua versione integrale un vergognoso errore storico. Il verso “Il 4 luglio si arrende il bastione, il 4 luglio c’è la rivoluzione” anticipa di 10 giorni la presa della Bastiglia (forse confondendola in modo erroneo la data con la firma della dichiarazione d’indipendenza americana). Ed è alquanto discutibile il fatto che tutti coloro che lavorarono a questa colonna sonora, dai compositori alla cantante, fino al network che la trasmise, non siano riusciti ad accorgersi di un errore tanto madornale.
Nel complesso un’opera tranquillamente evitabile, che mi sorbii da bambino, ipnotizzato dal tubo catodico ma che di certo non mi rimetterei a guardare ora. Sei.