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8.0/10
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Ciao a tutti,
mentre mi accingo a scrivere questa recensione, non posso fare a meno di ripensare alla soddisfazione per essere incappato in Angel Beats!, produzione recentissima (2010), la quale, seppur permeata, almeno esteticamente, da tantissimi cliché di vari generi anime, si presenta ricca di ottimi momenti e di uno sviluppo narrativo degno di nota.

L’idea di base è semplice, quanto i momenti che accompagnano il nostro ingresso e quello del ragazzo protagonista, Otonashi, al <q>limbo</q> dove, dopo una breve vita funestata da insoddisfazione, sventure e sorte avversa, finiscono le anime di quegli adolescenti che non si sono fatti una ragione della fine prematura della propria giovane esistenza. Qui esse rimangono in attesa di recuperare i ricordi della vita terrena, di raggiungere la consapevolezza e l’accettazione della propria tragica esistenza. Dopo che ciò è stato raggiunto, le anime svaniscono e raggiungono la pace da questo non-luogo, che si presenta nella forma di un campus scolastico giapponese.
Da quello che sembra di capire, non a tutti coloro che sono presenti in questo limbo, diviso in livelli come un videogioco, viene assegnata questa situazione: una parte dei personaggi sono NPC (Non player Character) fittizi, mentre altri, che si oppongono al raggiungimento di questa consapevolezza, decidono di non rimanere in attesa della propria dissoluzione, ma di dedicare i loro sforzi a vendicarsi contro Dio, causa prima del male inflitto a loro e ai loro cari mentre erano in vita.
Il Battaglione SSS, di cui fanno parte Hinata, Otonashi, la leader Yurippe e gli altri, coglie le tante sfaccettature dell’esistenza quotidiana di un gruppo di individui, ognuno con le proprie caratteristiche, alle prese con l’accettazione di se stessi e con i rapporti con gli altri compagni di (s)ventura. Il nemico, apparentemente, è l’enigmatica Tenshi, una ragazzina dotata di poteri per sopprimere ogni tentativo di eversione dell’SSS e per controllare ogni rivolta verso Dio; ben presto, però, capiremo di non trovarci di fronte all’ennesimo clone di Rei Ayanami.

L’anime si denota per l’alternarsi efficace di due momenti principali: quello demenziale-scolastico, e quella più personale e interiore. Se le gag e le battute caratterizzano e presentano le sfaccettature dei personaggi, con spassosi siparietti, i momenti introspettivi e relazionali offrono senza fronzoli riflessioni spesso amare sull’individuo e sulle ragioni della sua esistenza: le responsabilità verso gli altri, le aspettative della nostra vita, la nostra felicità, la consapevolezza di una vita governata da ciò che gli antichi greci avrebbero definito la “sorte”, e nient’altro. L’unica variabile indipendente, in questo universo dominato dal caos, è la volontà umana, la capacità di osare, rischiare e sfidare le regole, delegata però a pochi individui.
Ciò che colpisce in queste 13 puntate è lo sviluppo deciso e intenso della trama, insieme alle relazioni dei personaggi, con un paio di deliziosi colpi di scena e di svolte che, collocate nei momenti più importanti, come solo gli sceneggiatori che lavorano a regola d’arte sanno fare, non mancheranno di deliziare lo spettatore. Il tutto è accompagnato da un sentore di speranza, che si rinnova nello svilupparsi delle amicizie dei personaggi e nello sviluppo dei loro ruoli, a fronte di una realtà apparentemente eterna, immutabile, costrittiva, e purtroppo dolorosa, che tante volte assomiglia alla nostra vita quotidiana. Il momento finale dell’anime strappa il cosiddetto “magone”, descritto com’è in termini così affettivi, e personali, in particolare nei momenti del saluto dei vari personaggi e della rivelazione finale, che ci rivela anche una certa “morale”, per niente sciocca o facilona - non mi spingo oltre.

Ogni episodio, a parte un paio di puro intrattenimento, partecipa a rendere consistente i caratteri e le azioni dei nostri eroi, alle prese con una sorta di videogame per la salvezza delle loro anime straziate. Emergono sin da subito la decisa Yurippe, l’intraprendente Hotonosahi, la deliziosa Iwasawa, il leale Hinata, che avranno modo di confrontarsi e di crescere insieme, sino a giungere a un momento quasi “politico” di confronto-scontro delle loro opposte visioni. Più volte, tra un momento e l’altro, quasi in dissonanza con il tenore degli episodi, fanno capolino le storie e le vicende personali di ognuno, che ci riportano con i piedi per terra tra le nostre quattro mura, tra le persone che conosciamo e con le quali viviamo le vicende quotidiane di gioia e dolore.
La trama si sofferma sempre sulla ricerca della felicità, connessa alla ricerca dell’amore e dell’amicizia vera. Il dolore arriva spesso come una stilettata (si pensi alla violenta storia di Yurippe, alla straziante storia di Yui, o a quella di Hotonashi stesso); vicende che potremmo ritrovare sui giornali e leggere distrattamente qui invece divengono momenti per disaminare il nostro posto nel mondo, il nostro attaccamento alla ricerca continua, oltre la vita e la morte, del bene.
Il vero non-pervenuto rimane Dio, il quale ben presto si intuisce rimarrà identificabile solo sulla carta, silenzioso davanti alle tragedie del mondo. Infine, c'è il messaggio finale, che chiude il cerchio speranza–morte, con una scena degna della migliore tragedia greca, con la tematica tanto cara ai giapponesi che descriverei con questa formula: amore e felicità sì possibili, ma non subito e adesso, bensì solo in un giorno del futuro e in condizioni diverse.

Una nota di merito va al comparto sonoro: non riuscirete a rimanere impassibili di fronte al J-pop rock delle Dead Girl Monster, la rock band ufficiale dell’anime, realmente esistente nelle persone di due cantanti giapponesi - in Giappone sono usciti per davvero quattro singoli che hanno venduto diverse decine di migliaia di copie ad oggi -; portatrici di un delizioso crossover tra Blink182, Goo Goo Dolls e simili, vi delizieranno con un'opening e un'ending memorabili ("My Soul, Your Beats" e "Brave Song"), e con altre canzoni sparse qua e là negli episodi, che divengono song imprescindibili nel lettore mp3 di qualsiasi appassionato di musica e anime. Molto bella la caratterizzazione della band, con le sonorità country-ballad di Iwasawa, e l’aspetto più rock e sbarazzino di Yui e della sua SG Gibson; l’avvicendarsi della leader e l’epilogo della vicenda della band racchiudono un sentimento molto comune riguardo alle formazioni musicali che ci accompagnano, vivono, suonano le note della nostra adolescenza, e talvolta ci abbandonano anzitempo. Di particolare nota le conclusioni delle vicende di Yui e Iwasawa, di una dolcezza pervasiva e avvolgente, accompagnata dal continuo adattamento che la forma dell’anime, cioè le sigle e le immagini connesse, assumono a seconda dell’argomento e del personaggio di cui tratta l’episodio - a proposito, ascoltatevi la versione rock di "My soul, Your Beats" di Yui e pogate un poco!

Insomma, Angel Beats! colpisce nel segno; nulla è lasciato al caso, l’animazione è a buoni livelli, e tanti cliché apparentemente collocati con superficialità (ad esempio la somiglianza di tanti personaggi con altri di anime più famosi) sono scavalcati con accuratezza, lasciando spazio a un pieno e coraggioso dispiegarsi della trama e alla costruzione di una rete di relazioni tra personaggi che, alla fine, sapranno catturare anche noi e portarci a un tredicesimo episodio che vale come la fine delle scuole superiori: quando è ora di partire verso un nuovo mondo e verso nuovi noi stessi. Più liberi e più consapevoli, carichi delle esperienze dolorose ma pronti a cercarne di altrettanto forti e appaganti.

Certo, non tutto è rose e fiori: ci sono alcuni momenti di calo di tensione, alcuni personaggi che non vanno oltre gli stereotipi e la pura necessità di “fare gruppo” (si pensi all’enigmatica Shiina, oppure a un ragazzo che pretende di definirsi Dio, o al genio dell’informatica Christo, i quali rimangono relegati a poche gag), e un paio di puntate che oscillano senza troppa decisione e contribuiscono ad allentare la morsa. La brevità della serie non aiuta di sicuro la trama, che scorre veloce come un treno, e il character design, come detto sopra, non è di sicuro dei più originali. Ma gli ultimi 4 episodi risultano belli, poetici, appaganti e scritti con il cuore.
Quel cuore, appunto, che è la vera chiave dell’opera.
Benvenuto, Angel Beats!