Recensione
Sorridi, piccola Anna
8.0/10
Recensione di zettaiLara
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<i>Dio è nel suo cielo
Tutto va bene nel mondo
(Robert Browning)</i>
I versi di Browning ben si prestano a rendere con efficacia le sensazioni che la visione di Sorridi, piccola Anna (Konnichiwa Anne) regala allo spettatore; non a caso, sono parole che ritornano sovente durante la serie, realizzata nel 2009 da Nippon Animation per la regia di Katsuyoshi Yatabe, nonché ventiseiesimo capitolo del bel filone di anime relativi al World Masterpiece Theater.
Sono trascorsi esattamente trent'anni da quando lo Studio giapponese lancia Anna dai capelli Rossi (Akage no Anne), per la regia di Isao Takahata, dalla fortunata saga di romanzi su "Anna dai tetti verdi" della scrittrice Lucy Maud Montgomery; per celebrare la ricorrenza, Nippon Animation crea il prequel animato tratto dall'omonimo libro scritto da Budge Wilson con il consenso degli eredi della Montgomery, di prossima pubblicazione in Italia per Kappa Edizioni.
Sorridi, piccola Anna è stata trasmesso in chiaro su Italia 1 dal 25 ottobre scorso, per un totale di 39 episodi: ritroviamo per protagonista Anna "dai capelli rossi" Shirley, nella serie che parte con l'intento di narrare gli accadimenti nella vita della piccola Anna antecedenti a quelli della serie "principale", e che si riallaccia alle vicende del suo più famoso seguito proprio nel finale.
Alla morte dei suoi genitori, avvenuta quand'era ancora in fasce, Anna Shirley viene per lungo tempo "adottata" come bambinaia e tuttofare dalla povera famiglia di Bert e Joanna Thomas: sarà una scelta felice e infelice, che fornirà alla bambina impronte su cui plasmerà alcuni dei suoi futuri passi. Al tempo stesso, la vita con i Thomas non la preserverà da duri e inaspettati eventi, né dai radicali cambiamenti che inevitabilmente si troverà ad affrontare.
Lo spaccato che copre la maggior parte della serie riguarda il periodo che Anna trascorre con la famiglia Thomas. È il rapporto più "familiare" che Anna sperimenta durante la propria infanzia, sospesa tra una vita a tutti gli effetti spesa "in famiglia", senza però esserne mai riconosciuta parte integrante, per molto tempo. Allo stesso modo, proprio la lunga digressione del tempo vissuto da Anna presso i Thomas fornisce l'occasione per osservare la vita quotidiana di una famiglia, le cui azioni sono riflesso perfetto di tutta una serie di (dis)valori della società dell'epoca.
L'alcolista Bert non lesina pesanti schiaffi alla moglie, sia fisici che morali, mostrandosi in ogni caso del tutto incurante della gravidanza avanzata della donna e del carico di lavoro che lei assume su di sé per il bene della famiglia, volente o nolente; così, anche in un matrimonio nato per amore, Bert assume il ruolo del padre-padrone, che a modo suo ama la famiglia e i figli, ma nello stesso tempo non risparmia loro né urla, né lo scontento, nemmeno la violenza. Eppure Bert non è una cattiva persona, lo dimostra la particolare gentilezza che inaspettatamente riserva spesso ad Anna; semplicemente, sfornare figli senza mai smettere di lavorare era uno dei tanti obblighi delle mogli dell'epoca, già segnate dalla difficoltà di mandare avanti la casa in precarie condizioni di vita e di lavoro; oggi può far rabbrividire, ma atteggiamenti misogini di questo genere facevano tranquillamente parte della quotidianità di tante famiglie.
Nel mondo di cui Anna è parte si percepisce spesso un acuto senso di sfiducia generale: che qualunque sforzo si compia, non accadrà mai niente di buono nella propria vita. Eppure la piccola Anna riesce sempre a trovarsi il suo angolo e non le manca mai un sorriso, né una parola di conforto, anche nei confronti di chi non le risparmia alcuna fatica; la speranza non viene sola né gratuita, ed è anche grazie agli incontri con alcune persone che le cambieranno la vita, se Anna riesce a stare a galla anche nei momenti più difficili e donare, ancora, la parte migliore di sé. Ogni percorso di vita è costellato da conoscenze impreviste che spesso, come si suol dire, rappresentano le persone giuste al momento giusto, quelle che ci permettono di diventare davvero "grandi".
L'evoluzione del personaggio di Anna è tangibile di episodio in episodio, parallelamente alla sua crescita fisica: iniziamo così da una bimbetta chiacchierona e tenerissima, fino ad osservare in lei lo sviluppo di una maturità precoce, ma sempre più consapevole. Anna si fa grande, senza mai perdere un briciolo della curiosità che la contraddistingue; scandisce intelligenza in ogni cosa che dice e che compie, e ciò la rende un personaggio sicuramente atipico per l'epoca, tanto più ad oggi.
Il character design di Takayo Nishimura rimane abbastanza in linea con i precedenti Meisaku, richiamando lo stile semplice, morbido ed efficace del Miyazaki cui furono affidati i primi titoli del progetto, sebbene rimanga tuttavia qualitativamente incostante. Vi è una base comune di colorazioni più accese e contorni più nitidi; si percepisce nettamente un contrasto piuttosto marcato tra i contorni e le campiture nei personaggi rispetto alla profusione di toni pastello dedicata ai delicati sfondi di paesaggi acquerellati, minuziosi e splendidi.
In quasi tutti gli episodi si può notare come la regia si dilunghi per qualche attimo su panorami dai toni caldi dell'oro e dell'arancione, forse un rimando al mal sopportato colore dei capelli della protagonista: è un motivo ricorrente e ironico, perché sono immagini e colori che tolgono il fiato e rasserenano l'animo, laddove invece Anna non manca mai di ribadire quanto le sia sgradita la tinta arancione dei suoi capelli. Probabilmente non è un caso se queste immagini mancano solo nei climax della serie, che coincidono con i passaggi più grigi e rigidi dell'esistenza di Anna.
Per quanto riguarda il comparto audio, le musiche sono opera di Yasuharu Takanashi (Perfect Girl Evolution, Itazura na Kiss, Naruto Shippuden), Hiromi Mizutani (Perfect Girl Evolution) e Kenji Fujisawa Itaru; le melodie ricordano talvolta atmosfere folk che ben si adattano all'ambientazione della serie. Si accostano piacevolmente anche al bell'incipit di cornamusa della sigla italiana di Augusto Martelli, cantata da Cristina d'Avena.
Sul fronte del doppiaggio, è dolcemente trillante la voce giapponese di Rina Hidaka (Michiko in Michiko e Hatchin, Kohane in xxxHOLiC) nel ruolo di Anna; a mio avviso la doppiatrice italiana Valentina Pallavicino non è riuscita a rendere allo stesso modo la tenerezza della piccina, per contro è stata però in grado di assumere un timbro sempre più adeguato mano a mano che Anna si fa più grande e matura.
Tra le varie voci del doppiaggio italiano, è molto buona l'interpretazione della brava Dania Cericola nel ruolo di Joanna, severa ma con un timbro comunque materno, sicuramente migliore rispetto all'aspra interpretazione giapponese di Seiko Tamura; molto bella anche la resa del personaggio di Bert da parte di Claudio Moneta, e buone le restanti voci, sebbene personalmente io abbia trovato eccessivamente inespressiva la narrazione di Loredana Nicosia.
È inoltre da segnalare che una compagna di scuola di Anna porta la voce originale giapponese di Mitsuko Horie, una veterana nel campo del doppiaggio, e tantopiù in quello dei Meisaku: protagonista in Lalabel e in Kiss me Licia, ma soprattutto in Pollyanna, Papà Gambalunga, Dolce Piccola Remì (Ie naki no Remi), passando anche per Piccolo Lord e Lovely Sara, e prestando la voce in diverse sigle di apertura e chiusura giapponesi.
Rispetto all'illustre precursore, Sorridi, piccola Anna è, in conclusione, un titolo meno intimistico e poetico, e più narrativo. Non è Anna dai capelli rossi e non c'è Isao Takahata alla regia. È una differenza che si percepisce nettamente, perché sì, viene spontaneo immaginare un confronto tra i due.
Se entrambe le opere si attengono fedelmente, come è nella consuetudine dei Meisaku, nel riproporre l'atmosfera dei libri da cui hanno preso vita, può darsi che la differenza di stile si riconduca anche a questo. Non avendo letto nessuno dei romanzi, ciò rimane semplicemente una mia mera ipotesi e non posso confermarlo. Tuttavia, va detto anche che ciò non è comunque motivo per serbare un pregiudizio nei confronti di Sorridi, piccola Anna che è un Meisaku ben riuscito, un prodotto curato piacevole alla visione e di facile affezione. Ancora prima di accorgervene, avrete sempre davanti agli occhi i tanti luoghi dalla bellezza mozzafiato, riprodotti alla perfezione come in un quadro, in cui vive e cresce Anna; è un titolo perfetto per incominciare la giornata, al mattino prima di uscire di casa per i propri impegni, ma anche al rientro alla sera, per lasciarsi cullare dal candore e dall'intramontabile fascino di una certa bimbetta dai lunghi capelli rossi.
Tutto va bene nel mondo
(Robert Browning)</i>
I versi di Browning ben si prestano a rendere con efficacia le sensazioni che la visione di Sorridi, piccola Anna (Konnichiwa Anne) regala allo spettatore; non a caso, sono parole che ritornano sovente durante la serie, realizzata nel 2009 da Nippon Animation per la regia di Katsuyoshi Yatabe, nonché ventiseiesimo capitolo del bel filone di anime relativi al World Masterpiece Theater.
Sono trascorsi esattamente trent'anni da quando lo Studio giapponese lancia Anna dai capelli Rossi (Akage no Anne), per la regia di Isao Takahata, dalla fortunata saga di romanzi su "Anna dai tetti verdi" della scrittrice Lucy Maud Montgomery; per celebrare la ricorrenza, Nippon Animation crea il prequel animato tratto dall'omonimo libro scritto da Budge Wilson con il consenso degli eredi della Montgomery, di prossima pubblicazione in Italia per Kappa Edizioni.
Sorridi, piccola Anna è stata trasmesso in chiaro su Italia 1 dal 25 ottobre scorso, per un totale di 39 episodi: ritroviamo per protagonista Anna "dai capelli rossi" Shirley, nella serie che parte con l'intento di narrare gli accadimenti nella vita della piccola Anna antecedenti a quelli della serie "principale", e che si riallaccia alle vicende del suo più famoso seguito proprio nel finale.
Alla morte dei suoi genitori, avvenuta quand'era ancora in fasce, Anna Shirley viene per lungo tempo "adottata" come bambinaia e tuttofare dalla povera famiglia di Bert e Joanna Thomas: sarà una scelta felice e infelice, che fornirà alla bambina impronte su cui plasmerà alcuni dei suoi futuri passi. Al tempo stesso, la vita con i Thomas non la preserverà da duri e inaspettati eventi, né dai radicali cambiamenti che inevitabilmente si troverà ad affrontare.
Lo spaccato che copre la maggior parte della serie riguarda il periodo che Anna trascorre con la famiglia Thomas. È il rapporto più "familiare" che Anna sperimenta durante la propria infanzia, sospesa tra una vita a tutti gli effetti spesa "in famiglia", senza però esserne mai riconosciuta parte integrante, per molto tempo. Allo stesso modo, proprio la lunga digressione del tempo vissuto da Anna presso i Thomas fornisce l'occasione per osservare la vita quotidiana di una famiglia, le cui azioni sono riflesso perfetto di tutta una serie di (dis)valori della società dell'epoca.
L'alcolista Bert non lesina pesanti schiaffi alla moglie, sia fisici che morali, mostrandosi in ogni caso del tutto incurante della gravidanza avanzata della donna e del carico di lavoro che lei assume su di sé per il bene della famiglia, volente o nolente; così, anche in un matrimonio nato per amore, Bert assume il ruolo del padre-padrone, che a modo suo ama la famiglia e i figli, ma nello stesso tempo non risparmia loro né urla, né lo scontento, nemmeno la violenza. Eppure Bert non è una cattiva persona, lo dimostra la particolare gentilezza che inaspettatamente riserva spesso ad Anna; semplicemente, sfornare figli senza mai smettere di lavorare era uno dei tanti obblighi delle mogli dell'epoca, già segnate dalla difficoltà di mandare avanti la casa in precarie condizioni di vita e di lavoro; oggi può far rabbrividire, ma atteggiamenti misogini di questo genere facevano tranquillamente parte della quotidianità di tante famiglie.
Nel mondo di cui Anna è parte si percepisce spesso un acuto senso di sfiducia generale: che qualunque sforzo si compia, non accadrà mai niente di buono nella propria vita. Eppure la piccola Anna riesce sempre a trovarsi il suo angolo e non le manca mai un sorriso, né una parola di conforto, anche nei confronti di chi non le risparmia alcuna fatica; la speranza non viene sola né gratuita, ed è anche grazie agli incontri con alcune persone che le cambieranno la vita, se Anna riesce a stare a galla anche nei momenti più difficili e donare, ancora, la parte migliore di sé. Ogni percorso di vita è costellato da conoscenze impreviste che spesso, come si suol dire, rappresentano le persone giuste al momento giusto, quelle che ci permettono di diventare davvero "grandi".
L'evoluzione del personaggio di Anna è tangibile di episodio in episodio, parallelamente alla sua crescita fisica: iniziamo così da una bimbetta chiacchierona e tenerissima, fino ad osservare in lei lo sviluppo di una maturità precoce, ma sempre più consapevole. Anna si fa grande, senza mai perdere un briciolo della curiosità che la contraddistingue; scandisce intelligenza in ogni cosa che dice e che compie, e ciò la rende un personaggio sicuramente atipico per l'epoca, tanto più ad oggi.
Il character design di Takayo Nishimura rimane abbastanza in linea con i precedenti Meisaku, richiamando lo stile semplice, morbido ed efficace del Miyazaki cui furono affidati i primi titoli del progetto, sebbene rimanga tuttavia qualitativamente incostante. Vi è una base comune di colorazioni più accese e contorni più nitidi; si percepisce nettamente un contrasto piuttosto marcato tra i contorni e le campiture nei personaggi rispetto alla profusione di toni pastello dedicata ai delicati sfondi di paesaggi acquerellati, minuziosi e splendidi.
In quasi tutti gli episodi si può notare come la regia si dilunghi per qualche attimo su panorami dai toni caldi dell'oro e dell'arancione, forse un rimando al mal sopportato colore dei capelli della protagonista: è un motivo ricorrente e ironico, perché sono immagini e colori che tolgono il fiato e rasserenano l'animo, laddove invece Anna non manca mai di ribadire quanto le sia sgradita la tinta arancione dei suoi capelli. Probabilmente non è un caso se queste immagini mancano solo nei climax della serie, che coincidono con i passaggi più grigi e rigidi dell'esistenza di Anna.
Per quanto riguarda il comparto audio, le musiche sono opera di Yasuharu Takanashi (Perfect Girl Evolution, Itazura na Kiss, Naruto Shippuden), Hiromi Mizutani (Perfect Girl Evolution) e Kenji Fujisawa Itaru; le melodie ricordano talvolta atmosfere folk che ben si adattano all'ambientazione della serie. Si accostano piacevolmente anche al bell'incipit di cornamusa della sigla italiana di Augusto Martelli, cantata da Cristina d'Avena.
Sul fronte del doppiaggio, è dolcemente trillante la voce giapponese di Rina Hidaka (Michiko in Michiko e Hatchin, Kohane in xxxHOLiC) nel ruolo di Anna; a mio avviso la doppiatrice italiana Valentina Pallavicino non è riuscita a rendere allo stesso modo la tenerezza della piccina, per contro è stata però in grado di assumere un timbro sempre più adeguato mano a mano che Anna si fa più grande e matura.
Tra le varie voci del doppiaggio italiano, è molto buona l'interpretazione della brava Dania Cericola nel ruolo di Joanna, severa ma con un timbro comunque materno, sicuramente migliore rispetto all'aspra interpretazione giapponese di Seiko Tamura; molto bella anche la resa del personaggio di Bert da parte di Claudio Moneta, e buone le restanti voci, sebbene personalmente io abbia trovato eccessivamente inespressiva la narrazione di Loredana Nicosia.
È inoltre da segnalare che una compagna di scuola di Anna porta la voce originale giapponese di Mitsuko Horie, una veterana nel campo del doppiaggio, e tantopiù in quello dei Meisaku: protagonista in Lalabel e in Kiss me Licia, ma soprattutto in Pollyanna, Papà Gambalunga, Dolce Piccola Remì (Ie naki no Remi), passando anche per Piccolo Lord e Lovely Sara, e prestando la voce in diverse sigle di apertura e chiusura giapponesi.
Rispetto all'illustre precursore, Sorridi, piccola Anna è, in conclusione, un titolo meno intimistico e poetico, e più narrativo. Non è Anna dai capelli rossi e non c'è Isao Takahata alla regia. È una differenza che si percepisce nettamente, perché sì, viene spontaneo immaginare un confronto tra i due.
Se entrambe le opere si attengono fedelmente, come è nella consuetudine dei Meisaku, nel riproporre l'atmosfera dei libri da cui hanno preso vita, può darsi che la differenza di stile si riconduca anche a questo. Non avendo letto nessuno dei romanzi, ciò rimane semplicemente una mia mera ipotesi e non posso confermarlo. Tuttavia, va detto anche che ciò non è comunque motivo per serbare un pregiudizio nei confronti di Sorridi, piccola Anna che è un Meisaku ben riuscito, un prodotto curato piacevole alla visione e di facile affezione. Ancora prima di accorgervene, avrete sempre davanti agli occhi i tanti luoghi dalla bellezza mozzafiato, riprodotti alla perfezione come in un quadro, in cui vive e cresce Anna; è un titolo perfetto per incominciare la giornata, al mattino prima di uscire di casa per i propri impegni, ma anche al rientro alla sera, per lasciarsi cullare dal candore e dall'intramontabile fascino di una certa bimbetta dai lunghi capelli rossi.