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Le parole sanno essere sfuggenti, fragili come bollicine d'acqua o taglienti, crudeli, al punto da riuscire a ferire anche molto tempo dopo essere state pronunciate. Yasuhiro Yoshiura in questo suo primo corto del 2002, intitolato 'Aquatic Language', ce le rappresenta - le parole, appunto - come bolle che si disperdono nell'ambiente, mischiandosi tra loro per poi svanire infine nel nulla.

Siamo in un bar, una luce rossa viene diffusa dalle lampade sopra le teste dei protagonisti, creando un'atmosfera vagamente sognante. I clienti chiacchierano e noi ci smarriamo nelle loro voci, saltando da un discorso all'altro. Così come le chiacchiere anche la regia - che si fa notare per la sua vivacità - fluttua da un personaggio all'altro, senza sosta ma con naturalezza.
Un ragazzo che è appena stato mollato dalla sua metà confida le proprie pene d'amore alla cameriera dall'altra parte del bancone; più avanti delle ragazze spettegolano rumorosamente; a un altro tavolo due amici si interrogano sulla potenza delle parole; infine più lontano dagli altri una figura solitaria si destreggia tra due celebri libri - "Io, Robot" di Asimov e "Ventimila leghe sotto i mari" di Verne. Il tutto in pochi minuti, nove, durante i quali, inoltre, saranno lasciati sottili indizi sull'identità della cameriera.

Il character design è molto semplice ed essenziale, mentre la colonna sonora è composta prevalentemente dal borbottio dei clienti. 'Aquatic Language' è un cortometraggio originale e interessante che cattura l'attenzione dello spettatore fin dal primo secondo. Un buon corto che riesce bene nel suo scopo, ovvero dare risalto all'importanza delle parole. Oltre alla tematica originale, e ai fondali semplici ma ad effetto, apprezzabile e gradevole è la regia di Yoshiura, che si occuperà nel 2005 dell'ancora più brillante Pale Cocoon.
Insomma consiglio di dare un'occhiata a quest'insolito prodotto, in fondo dieci minuti non sono così difficili da trovare.