Recensione
Mardock Scramble
6.0/10
Recensione di Karma Houdini
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Ora che l'ho visto, temo che ogni volta in cui mi troverò di fronte a una frittata possa venirmi in mente "Mardock Scramble", sotto più punti di vista.
Una prostituta poco più che bambina viene salvata in extremis da due agenti di un'organizzazione governativa segretissima e viene trasformata in cyborg. Originalità, portami via. Ovviamente la novella cyborg dispenserà a destra e a manca scene di nudo e sesso con il facile pretesto del suo degradante passato, e altrettanto ovviamente subirà un condizionamento mentale che la predisporrà all'uso ottimale di ogni tipo di arma e stile di combattimento. Sempre più originale.
La cyborg avrà le sembianze di una bellissima, fortissima e resistentissima lolita dallo sguardo quasi sempre vitreo e con tendenze sadomaso. E meno male che Range Murata diede forfait per la realizzazione dell'anime in questione.
La cyborg si chiama Balot Rune, o Blade Runner, se preferite. Ma lo splendido e famigerato film di Ridley Scott non è certo l'unica fonte d'ispirazione (parola grossa) da cui ha attinto Tow Ubukata per la sua creazione letteraria. Creazione dalla quale è stato tratto quest'incipit animato. "Mardock Scramble: the First Compression" è il figlio nato prematuro da un'orgia alla quale hanno partecipato "Gunslinger Girl", "Matrix" e "Ghost in the Shell"; più qualche toccatina sparsa verso il genere majokko, sensazione, quest'ultima, resa più che viva dal potere che Balot può esercitare sulle apparecchiature elettriche e dalla presenza di Oeufcoque, simpatico topino dorato, che sarà per Balot mentore, famiglio, amante (no, niente bestiality, mi spiace), deus ex machina, e soprattutto la chiave per farla uscire fuori dalla gabbia d'insipienza narrativa nella quale sarebbe altrimenti rimasta segregata per tutta l'ora abbondante del film.
A peggiorar le cose c'è inoltre un abuso di computer graphic il cui (de)merito maggiore è rendere un inseguimento automobilistico visivamente fastidioso allo stesso modo in cui lo è la futuristica città di Mardock di notte, una sovrapposizione poco ispirata tra i verdognoli giochi di luce della Gotham City di quel (brutto) "Batman Forever" diretto da Joel Schumacher e gli scenari urbani del "Ghost in the Shell" diretto da Mamoru Oshii.
Questa dovrebbe essere una serie di soli tre lungometraggi, eppure la sua realizzazione tecnica si addice più a una produzione televisiva, perché la presenza ingombrante di CG non è nemmeno l'unico problema; ci si mettono anche delle animazioni alquanto legnose, che si riscattano timidamente soltanto negli ultimi minuti, occupati dalla telefonatissima mattanza che vede protagonista Balot e i soliti cattivoni che le danno la caccia.
Per fortuna ci sono alcune cosette interessanti che mi hanno evitato un attacco narcolettico e risollevano in qualche modo le sorti dell'anime, elevandolo almeno al di sopra della mediocrità.
A parte il topo giallo - di gran lunga il personaggio migliore del cast - e un chara design gradevole, c'è anche il fatto che Ubukata si sia divertito a giocare con i nomi degli altri attori principali della trama. E così scopriamo che Oeufcoque è la crasi di oeuf à la coque, o uovo alla coque, che dir si voglia; il granitico ex partner del suddetto roditore di cognome fa Boiled, chiaro riferimento, in inglese, alle uova al tegamino; l'occhialuto scienziato che trasforma Balot in cyborg è il Dr. Easter, da Easter Egg, o uovo di Pasqua, come lo chiamiamo noi abitanti dell'italico stivale; lo psicotico datore di lavoro di Boiled si chiama Shell, che tradotto letteralmente dall'inglese significa "guscio"; e per finire in bellezza il nome Balot è preso da balut, un uovo di anatra o di gallina fecondato e bollito nel suo guscio poco prima della sua schiusa.
Lo dicevo, no, che questa era una frittata? E infatti, come antipasto, non è il massimo. Speriamo almeno che nei prossimi episodi tutto ciò si traduca in qualcosa di ben più accattivante di un semplice esercizio di semantica.
Merita menzione la colonna sonora, magari non eccezionale di per sé, ma le cui note rarefatte contribuiscono a creare il senso di pathos necessario per definire il personaggio di Balot, soprattutto grazie al remix di "Amazing Grace" che fa da ending song.
Una prostituta poco più che bambina viene salvata in extremis da due agenti di un'organizzazione governativa segretissima e viene trasformata in cyborg. Originalità, portami via. Ovviamente la novella cyborg dispenserà a destra e a manca scene di nudo e sesso con il facile pretesto del suo degradante passato, e altrettanto ovviamente subirà un condizionamento mentale che la predisporrà all'uso ottimale di ogni tipo di arma e stile di combattimento. Sempre più originale.
La cyborg avrà le sembianze di una bellissima, fortissima e resistentissima lolita dallo sguardo quasi sempre vitreo e con tendenze sadomaso. E meno male che Range Murata diede forfait per la realizzazione dell'anime in questione.
La cyborg si chiama Balot Rune, o Blade Runner, se preferite. Ma lo splendido e famigerato film di Ridley Scott non è certo l'unica fonte d'ispirazione (parola grossa) da cui ha attinto Tow Ubukata per la sua creazione letteraria. Creazione dalla quale è stato tratto quest'incipit animato. "Mardock Scramble: the First Compression" è il figlio nato prematuro da un'orgia alla quale hanno partecipato "Gunslinger Girl", "Matrix" e "Ghost in the Shell"; più qualche toccatina sparsa verso il genere majokko, sensazione, quest'ultima, resa più che viva dal potere che Balot può esercitare sulle apparecchiature elettriche e dalla presenza di Oeufcoque, simpatico topino dorato, che sarà per Balot mentore, famiglio, amante (no, niente bestiality, mi spiace), deus ex machina, e soprattutto la chiave per farla uscire fuori dalla gabbia d'insipienza narrativa nella quale sarebbe altrimenti rimasta segregata per tutta l'ora abbondante del film.
A peggiorar le cose c'è inoltre un abuso di computer graphic il cui (de)merito maggiore è rendere un inseguimento automobilistico visivamente fastidioso allo stesso modo in cui lo è la futuristica città di Mardock di notte, una sovrapposizione poco ispirata tra i verdognoli giochi di luce della Gotham City di quel (brutto) "Batman Forever" diretto da Joel Schumacher e gli scenari urbani del "Ghost in the Shell" diretto da Mamoru Oshii.
Questa dovrebbe essere una serie di soli tre lungometraggi, eppure la sua realizzazione tecnica si addice più a una produzione televisiva, perché la presenza ingombrante di CG non è nemmeno l'unico problema; ci si mettono anche delle animazioni alquanto legnose, che si riscattano timidamente soltanto negli ultimi minuti, occupati dalla telefonatissima mattanza che vede protagonista Balot e i soliti cattivoni che le danno la caccia.
Per fortuna ci sono alcune cosette interessanti che mi hanno evitato un attacco narcolettico e risollevano in qualche modo le sorti dell'anime, elevandolo almeno al di sopra della mediocrità.
A parte il topo giallo - di gran lunga il personaggio migliore del cast - e un chara design gradevole, c'è anche il fatto che Ubukata si sia divertito a giocare con i nomi degli altri attori principali della trama. E così scopriamo che Oeufcoque è la crasi di oeuf à la coque, o uovo alla coque, che dir si voglia; il granitico ex partner del suddetto roditore di cognome fa Boiled, chiaro riferimento, in inglese, alle uova al tegamino; l'occhialuto scienziato che trasforma Balot in cyborg è il Dr. Easter, da Easter Egg, o uovo di Pasqua, come lo chiamiamo noi abitanti dell'italico stivale; lo psicotico datore di lavoro di Boiled si chiama Shell, che tradotto letteralmente dall'inglese significa "guscio"; e per finire in bellezza il nome Balot è preso da balut, un uovo di anatra o di gallina fecondato e bollito nel suo guscio poco prima della sua schiusa.
Lo dicevo, no, che questa era una frittata? E infatti, come antipasto, non è il massimo. Speriamo almeno che nei prossimi episodi tutto ciò si traduca in qualcosa di ben più accattivante di un semplice esercizio di semantica.
Merita menzione la colonna sonora, magari non eccezionale di per sé, ma le cui note rarefatte contribuiscono a creare il senso di pathos necessario per definire il personaggio di Balot, soprattutto grazie al remix di "Amazing Grace" che fa da ending song.