Recensione
I Cavalieri dello Zodiaco
8.0/10
Recensione di Kyoma Hooin
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Sapevo che questo momento sarebbe giunto, stavo solo cercando di rimandarlo.
Perché? Forse per l'emozione troppo forte di recensire l'anime che ha sconvolto la mia infanzia e che diverrà un cult stampato a fuoco nella mia mente per gli anni a venire.
Forse perché l'attesa stessa è fonte di piacere o forse per il timore di portare a compimento un momento così idilliaco quale la mia personale pubblica consacrazione di "Saint Seya". Oppure per paura di cadere nel tranello che io stesso mi sto preparando: la spirale della proclamazione in pompa magna degli anime del passato, di quelli che "oggi non ne fanno più così", gemme splendenti perdute nel tempo, dimenticate e disprezzate da alcuni, ma per sempre nel tuo cuore.
Ciononostante, ora proverò a ridare una spolverata agli angoli della mia memoria, in condizioni non troppo disagiate per via delle diverse visioni che si sono avvicendate con piacere nel corso dei miei anni.
"Saint Seya" narra di un gruppo di ragazzi, Pegasus, Cristal, Andromeda, Phoenix e Sirio (che nonostante il character design avrebbero la pretesa di essere adolescenti), fedeli alla dea Atena, la quale ha scelto di reincarnarsi in quest'epoca in lady Isabel, nipote di un ricco filantropo. Costui raccoglie bambini orfani e disagiati, che presumibilmente sono predestinati a diventare cavalieri, e li alleva in una sorta di istituto di cui è il fondatore e proprietario, fino a che ciascuno viene mandato per sorteggio da un differente maestro a competere per un'armatura. Inoltre progetta un torneo tra cavalieri, il vincitore avrà in premio l'armatura d'oro di Sagitter.
E' proprio con il torneo galattico che si apre l'anime, che si può dividere in tre serie, quella del grande tempio, di Asgard e di Nettuno. La prima può essere poi ulteriormente divisa in tre sottoserie, il torneo galattico (o guerra galattica), i cavalieri d'argento, le dodici case dei cavalieri d'oro.
La storia di base è abbastanza semplice, nulla di complesso all'inizio, con un antagonista ben definito, un obiettivo chiaro e uno svolgimento dei fatti abbastanza prevedibile (mi riferisco alla guerra galattica). Dopodiché si susseguiranno, nella seconda sotto-serie, attacchi di diversi cavalieri nemici che ci faranno conoscere numerose sotto-trame e il passato dei protagonisti, caratterizzandoli per bene, mettendone in luce le paure e le difficoltà che hanno dovuto superare per diventare cavalieri; ma è anche un susseguirsi di differenti costellazioni e armature, la cui molteplicità è un caso unico nella storia degli anime. Nella terza sotto-serie un evento imprevisto coglie di sorpresa i cavalieri, e insieme a loro lo spettatore, per dare il via alla corsa alle stanze di Arles, il sommo sacerdote, attraversando le dodici case dei cavalieri d'oro.
Questa terza parte è senza dubbio il punto forte dell'anime; potrei dire, con basso margine d'errore, che è stata il colpo finale perché la sua popolarità sia assurta alle stelle.
Il passato di alcuni personaggi viene ulteriormente arricchito attraverso l'incontro con i cavalieri d'oro, mentre questi ultimi, anziché apparire come i loro colleghi d'argento, meri nemici alla stregua di sicari di cui poco è noto se non la loro assenza di scrupoli, vengono caratterizzati al punto di diventare essi stessi personaggi centrali. Non sono semplici antagonisti, i cosiddetti cattivi da sconfiggere, per usare un'espressione molto televisiva. Sono esseri umani, una varietà di caratteri dal passato poco noto (tranne qualche excursus non ve ne è necessità) che rivestono la più importante posizione al servizio d'Atena, secondi solo al grande sacerdote, a cui devono gerarchicamente obbedienza, essendo egli l'unico mediatore con la dea.
Il potere, si sa, logora, e non tutti hanno mantenuto le qualità e le virtù che si dovrebbero preservare occupando una posizione tanto delicata. Alcuni hanno addirittura perso la devozione verso la dea. Altri invece sono rimasti campioni di virtù e il dubbio si insinuerà presto nelle loro menti circa la vera intenzione dei cinque cavalieri, in netto disaccordo con la propaganda fomentata dal corrotto Arles. La lotta, la determinazione, l'altruismo e il coraggio sono più eloquenti delle parole, e spesso fanno risplendere la verità di fronte anche al più cieco dei cavalieri d'oro. Alcuni deporranno l'ascia di guerra , altri sceglieranno di perseguire il loro dovere pur consapevoli di poter essere nel torto, scegliendo un comportamento etico piuttosto che uno morale.
Come vedete le situazioni che si vengono a generare sono molteplici, e non c'è una formula ridondante portata agli estremi, cara a tanti anime, direi soprattutto negli anni '90.
"Saint Seya" è un anime pieno di valori e virtù, vengono consacrati l'amicizia, il coraggio, lo spirito di sacrifico, il senso di giustiza, la volontà di una pace universale, il tutto accompagnato a quel cammino di ricerca e di miglioramento personale che porterà a trovare e coltivare la forza all'interno di se stessi, a bruciare il proprio cosmo legato alla costellazione di appartenza affinché irrompa in tutta la sua infinita potenza, tramite l'acquisizione del settimo senso, che trascende tutti gli altri.
Solo padroneggiando tale senso si diverrà cavalieri d'oro e campioni di virtù, difensori della dea Atena, dea della pace e della giustizia. Se si pensa che il tutto è plasmato con una storia che poteva cascare nel banale, ma non l'ha fatto, regalandoci dei risvolti di trama succulenti e inaspettati, per poi tenerci con il fiato sospeso negli ultimi episodi delle dodici case, dove il ritmo incalza, non si può che lodare il lavoro di sceneggiatura svolto.
La resa tecnica del disegno per certi aspetti è altalenante, i primi venticinque-trenta episodi dimostrano un tratto un po' acerbo, in alcuni fotogrammi sgradevole, poi migliora senza ombra di dubbio, ma ecco che quando si arriva ai cavalieri d'oro talvolta scema in qualità, talvolta raggiunge l'apoteosi di tutto l'anime. Sul charcter design (Shingo Araki) nulla da eccepire, tranne per la famosa questione dell'età (Phoenix sembra avere 40 anni), ma è una caratteristica comune a molti altri anime e non me la sentirei di prenderla come tratto negativo, sarebbe una colpo scorretto.
La colonna sonora (Seiji Yokoyama) invece è molto, molto attinente al genere, ricreando bene le diverse atmosfore come in una sorta di racconto orchestrato, alternando tensione e grandi climax (il cosmo che brucia per il colpo decisivo ad esempio) a momenti di pace in cui si riversano canti e note toccanti, senza negarsi al contempo brani più unici che insoliti, come "Galaxian Wars" e il suo giro trainante di basso.
Particolare nota di merito va alla sigla di apertura originale e a quelle nostrane degli Odeon Boys.
Ciò che invece potrebbe risultare tedioso è il ritmo dell'intero anime.
La struttura tipica dei combattimenti o dei duelli che dir si voglia non strizza di certo l'occhiolino a un'azione al cardiopalma, tant'è che "Saint Seya" non è un anime d'azione in senso stretto. La maggior parte del tempo durante uno scontro viene impiegata in uno scambio di battute con il nemico; a volte il tutto è corroborato da uno o più flashback e le parti d'azione si inseriscono tra diverse sentenze in un'atmosfera che ha qualcosa di teatrale. Il tempo si dilata prima, durante e/o dopo l'esecuzione dei colpi e questi ultimi sono molto coreografici e sistematici, nulla hanno a che vedere con scariche di tecniche marziali stile "Dragon Ball" o "Naruto", per citare un anime più recente e largamente conosciuto.
Tornando alla teatralità che si respira, è doveroso entrare nell'argomento doppiaggio, che senza dubbio contribuisce ad arricchire l'epicità e talora la tragicità dell'anime attraverso un gergo aulico (o lo si ama o lo si odia), effetto non ricercato in madrepatria. I doppiatori dell'epoca hanno fatto la storia de "I Cavalieri dello Zodiaco", questo è indubbio, e molti di loro avranno una fiorente carriera che prosegue tutt'oggi. Colgo l'occasione per ricordare il compianto Enrico Carabelli, insostituibile doppiatore del Maestro dei Cinque Picchi, nonché del cavaliere di Scorpio e di Mime nella serie di Asgard.
Il vero neo invece è l'adattamento, che spesso produce dei risultati piuttosto infelici e genera confusione nello spettatore. Senza contare la scelta di assegnare ai ragazzi i nomi delle costellazioni di appartenenza, a eccezione di Cristal il Cigno e di Sirio il Dragone, mentre nell'originale tutti hanno un nome proprio com'è naturale che sia. Insomma, un adattamento libero, forse troppo, a volte deviante, in ogni caso queste sono considerazioni che è possibile naturalmente fare solo in Italia.
Per tutto il resto l'anime si presenta come una novità per il suo tempo, pur mantenendo qualche cliché caro al pubblico. Non ci sono filler, ma soffre di ridondanza per il prolungamento nella serie di Asgard e di Nettuno, di cui ho fatto solo dei cenni, perché non aggiungono nulla al prodotto, anzi sottraggono, reiterando lo stesso discorso in una pericolosa spirale di meccanismi e situazioni-replica, minando l'originalità e la freschezza dell'opera verso una deriva pericolosa sfiorata per poco, invece centrata in pieno anni dopo con la nuova serie di Hades. Fortunatamente non dura per molto e dopo i quindici stancanti episodi della saga di Nettuno, allettati solo per lo più da qualche interessante retroscena come quello di Dragone del Mare, possiamo tirare un sospiro di sollievo per la pazienza messa a dura prova - ovviamente gli ultrà dell' anime non ne risentiranno -, per ritrovarci in mano con un pugno di mosche: un finale aperto e leggermente inconcludente.
Ma "Saint Seya" è un cult, e come tale ha pregi e difetti, fan fedelissimi e detrattori incontentabili, curiosi e miscredenti, una massa di spettatori varia e vasta quanto il cosmo, ed è proprio questa diversità a far sì che rimanga sempiterno, lassù, nel paradiso degli anime.
Perché? Forse per l'emozione troppo forte di recensire l'anime che ha sconvolto la mia infanzia e che diverrà un cult stampato a fuoco nella mia mente per gli anni a venire.
Forse perché l'attesa stessa è fonte di piacere o forse per il timore di portare a compimento un momento così idilliaco quale la mia personale pubblica consacrazione di "Saint Seya". Oppure per paura di cadere nel tranello che io stesso mi sto preparando: la spirale della proclamazione in pompa magna degli anime del passato, di quelli che "oggi non ne fanno più così", gemme splendenti perdute nel tempo, dimenticate e disprezzate da alcuni, ma per sempre nel tuo cuore.
Ciononostante, ora proverò a ridare una spolverata agli angoli della mia memoria, in condizioni non troppo disagiate per via delle diverse visioni che si sono avvicendate con piacere nel corso dei miei anni.
"Saint Seya" narra di un gruppo di ragazzi, Pegasus, Cristal, Andromeda, Phoenix e Sirio (che nonostante il character design avrebbero la pretesa di essere adolescenti), fedeli alla dea Atena, la quale ha scelto di reincarnarsi in quest'epoca in lady Isabel, nipote di un ricco filantropo. Costui raccoglie bambini orfani e disagiati, che presumibilmente sono predestinati a diventare cavalieri, e li alleva in una sorta di istituto di cui è il fondatore e proprietario, fino a che ciascuno viene mandato per sorteggio da un differente maestro a competere per un'armatura. Inoltre progetta un torneo tra cavalieri, il vincitore avrà in premio l'armatura d'oro di Sagitter.
E' proprio con il torneo galattico che si apre l'anime, che si può dividere in tre serie, quella del grande tempio, di Asgard e di Nettuno. La prima può essere poi ulteriormente divisa in tre sottoserie, il torneo galattico (o guerra galattica), i cavalieri d'argento, le dodici case dei cavalieri d'oro.
La storia di base è abbastanza semplice, nulla di complesso all'inizio, con un antagonista ben definito, un obiettivo chiaro e uno svolgimento dei fatti abbastanza prevedibile (mi riferisco alla guerra galattica). Dopodiché si susseguiranno, nella seconda sotto-serie, attacchi di diversi cavalieri nemici che ci faranno conoscere numerose sotto-trame e il passato dei protagonisti, caratterizzandoli per bene, mettendone in luce le paure e le difficoltà che hanno dovuto superare per diventare cavalieri; ma è anche un susseguirsi di differenti costellazioni e armature, la cui molteplicità è un caso unico nella storia degli anime. Nella terza sotto-serie un evento imprevisto coglie di sorpresa i cavalieri, e insieme a loro lo spettatore, per dare il via alla corsa alle stanze di Arles, il sommo sacerdote, attraversando le dodici case dei cavalieri d'oro.
Questa terza parte è senza dubbio il punto forte dell'anime; potrei dire, con basso margine d'errore, che è stata il colpo finale perché la sua popolarità sia assurta alle stelle.
Il passato di alcuni personaggi viene ulteriormente arricchito attraverso l'incontro con i cavalieri d'oro, mentre questi ultimi, anziché apparire come i loro colleghi d'argento, meri nemici alla stregua di sicari di cui poco è noto se non la loro assenza di scrupoli, vengono caratterizzati al punto di diventare essi stessi personaggi centrali. Non sono semplici antagonisti, i cosiddetti cattivi da sconfiggere, per usare un'espressione molto televisiva. Sono esseri umani, una varietà di caratteri dal passato poco noto (tranne qualche excursus non ve ne è necessità) che rivestono la più importante posizione al servizio d'Atena, secondi solo al grande sacerdote, a cui devono gerarchicamente obbedienza, essendo egli l'unico mediatore con la dea.
Il potere, si sa, logora, e non tutti hanno mantenuto le qualità e le virtù che si dovrebbero preservare occupando una posizione tanto delicata. Alcuni hanno addirittura perso la devozione verso la dea. Altri invece sono rimasti campioni di virtù e il dubbio si insinuerà presto nelle loro menti circa la vera intenzione dei cinque cavalieri, in netto disaccordo con la propaganda fomentata dal corrotto Arles. La lotta, la determinazione, l'altruismo e il coraggio sono più eloquenti delle parole, e spesso fanno risplendere la verità di fronte anche al più cieco dei cavalieri d'oro. Alcuni deporranno l'ascia di guerra , altri sceglieranno di perseguire il loro dovere pur consapevoli di poter essere nel torto, scegliendo un comportamento etico piuttosto che uno morale.
Come vedete le situazioni che si vengono a generare sono molteplici, e non c'è una formula ridondante portata agli estremi, cara a tanti anime, direi soprattutto negli anni '90.
"Saint Seya" è un anime pieno di valori e virtù, vengono consacrati l'amicizia, il coraggio, lo spirito di sacrifico, il senso di giustiza, la volontà di una pace universale, il tutto accompagnato a quel cammino di ricerca e di miglioramento personale che porterà a trovare e coltivare la forza all'interno di se stessi, a bruciare il proprio cosmo legato alla costellazione di appartenza affinché irrompa in tutta la sua infinita potenza, tramite l'acquisizione del settimo senso, che trascende tutti gli altri.
Solo padroneggiando tale senso si diverrà cavalieri d'oro e campioni di virtù, difensori della dea Atena, dea della pace e della giustizia. Se si pensa che il tutto è plasmato con una storia che poteva cascare nel banale, ma non l'ha fatto, regalandoci dei risvolti di trama succulenti e inaspettati, per poi tenerci con il fiato sospeso negli ultimi episodi delle dodici case, dove il ritmo incalza, non si può che lodare il lavoro di sceneggiatura svolto.
La resa tecnica del disegno per certi aspetti è altalenante, i primi venticinque-trenta episodi dimostrano un tratto un po' acerbo, in alcuni fotogrammi sgradevole, poi migliora senza ombra di dubbio, ma ecco che quando si arriva ai cavalieri d'oro talvolta scema in qualità, talvolta raggiunge l'apoteosi di tutto l'anime. Sul charcter design (Shingo Araki) nulla da eccepire, tranne per la famosa questione dell'età (Phoenix sembra avere 40 anni), ma è una caratteristica comune a molti altri anime e non me la sentirei di prenderla come tratto negativo, sarebbe una colpo scorretto.
La colonna sonora (Seiji Yokoyama) invece è molto, molto attinente al genere, ricreando bene le diverse atmosfore come in una sorta di racconto orchestrato, alternando tensione e grandi climax (il cosmo che brucia per il colpo decisivo ad esempio) a momenti di pace in cui si riversano canti e note toccanti, senza negarsi al contempo brani più unici che insoliti, come "Galaxian Wars" e il suo giro trainante di basso.
Particolare nota di merito va alla sigla di apertura originale e a quelle nostrane degli Odeon Boys.
Ciò che invece potrebbe risultare tedioso è il ritmo dell'intero anime.
La struttura tipica dei combattimenti o dei duelli che dir si voglia non strizza di certo l'occhiolino a un'azione al cardiopalma, tant'è che "Saint Seya" non è un anime d'azione in senso stretto. La maggior parte del tempo durante uno scontro viene impiegata in uno scambio di battute con il nemico; a volte il tutto è corroborato da uno o più flashback e le parti d'azione si inseriscono tra diverse sentenze in un'atmosfera che ha qualcosa di teatrale. Il tempo si dilata prima, durante e/o dopo l'esecuzione dei colpi e questi ultimi sono molto coreografici e sistematici, nulla hanno a che vedere con scariche di tecniche marziali stile "Dragon Ball" o "Naruto", per citare un anime più recente e largamente conosciuto.
Tornando alla teatralità che si respira, è doveroso entrare nell'argomento doppiaggio, che senza dubbio contribuisce ad arricchire l'epicità e talora la tragicità dell'anime attraverso un gergo aulico (o lo si ama o lo si odia), effetto non ricercato in madrepatria. I doppiatori dell'epoca hanno fatto la storia de "I Cavalieri dello Zodiaco", questo è indubbio, e molti di loro avranno una fiorente carriera che prosegue tutt'oggi. Colgo l'occasione per ricordare il compianto Enrico Carabelli, insostituibile doppiatore del Maestro dei Cinque Picchi, nonché del cavaliere di Scorpio e di Mime nella serie di Asgard.
Il vero neo invece è l'adattamento, che spesso produce dei risultati piuttosto infelici e genera confusione nello spettatore. Senza contare la scelta di assegnare ai ragazzi i nomi delle costellazioni di appartenenza, a eccezione di Cristal il Cigno e di Sirio il Dragone, mentre nell'originale tutti hanno un nome proprio com'è naturale che sia. Insomma, un adattamento libero, forse troppo, a volte deviante, in ogni caso queste sono considerazioni che è possibile naturalmente fare solo in Italia.
Per tutto il resto l'anime si presenta come una novità per il suo tempo, pur mantenendo qualche cliché caro al pubblico. Non ci sono filler, ma soffre di ridondanza per il prolungamento nella serie di Asgard e di Nettuno, di cui ho fatto solo dei cenni, perché non aggiungono nulla al prodotto, anzi sottraggono, reiterando lo stesso discorso in una pericolosa spirale di meccanismi e situazioni-replica, minando l'originalità e la freschezza dell'opera verso una deriva pericolosa sfiorata per poco, invece centrata in pieno anni dopo con la nuova serie di Hades. Fortunatamente non dura per molto e dopo i quindici stancanti episodi della saga di Nettuno, allettati solo per lo più da qualche interessante retroscena come quello di Dragone del Mare, possiamo tirare un sospiro di sollievo per la pazienza messa a dura prova - ovviamente gli ultrà dell' anime non ne risentiranno -, per ritrovarci in mano con un pugno di mosche: un finale aperto e leggermente inconcludente.
Ma "Saint Seya" è un cult, e come tale ha pregi e difetti, fan fedelissimi e detrattori incontentabili, curiosi e miscredenti, una massa di spettatori varia e vasta quanto il cosmo, ed è proprio questa diversità a far sì che rimanga sempiterno, lassù, nel paradiso degli anime.