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Scherzoso ma non troppo, "Gatchaman Crowds" entra in scena con una buffa piroetta, inattesa ma carica di una confusa miscellanea di reminiscenze. Inizia così una danza che non lascerà mai leggere quale sarà il suo prossimo passo, un superbo caleidoscopio di colori che all'intercalare di "Hajime-ssu" affascinerà lo spettatore e lo ingannerà attraverso il suo intreccio.
Inutile e banale sollevare la questione sull'immenso e diretto rimando evocato dal titolo della serie verso l'omonimo mostro sacro degli anni '70, citazione che verrà affrontata con arguzia dall'opera in esame.

"Gatchaman Crowds" discosta lievemente la tenda del sipario allo spettatore, permettendogli d'intravedere il prosieguo della narrazione e altrettante volte tradisce ogni aspettativa e ribalta qualsiasi stima basata sul canone, impedendo ad altri d'anticiparlo. In ciò è lodevole la strutturazione generale dell'intreccio, che non stupisce con bruschi e plateali colpi di scena, i quali anzi sono quasi assenti, ma risolvendosi a scegliere l'alternativa più insospettabile seppur coerente con l'opera generale. Questa coerenza è garantita dalla parsimonia strettissima ma impercettibile con cui viene razionata ogni informazione, facendo apparire i personaggi come noti quando son poco più che caratteri abbozzati, senza tuttavia far pesare tale carenza allo spettatore, ma anzi giocandoci sopra e garantendo l'intero filo logico della vicenda mediante lo sguardo retrospettivo che ad ogni tassello andrà ad ordinare i suoi trascorsi.

Ogni parvenza in "Gatchaman Crowds" è decettiva ed ogni sviluppo che pare aprire a taluni orizzonti virerà poi bruscamente verso altri. Una serie sentai che tratta l'aspetto supereroistico di passaggio, dove i combattimenti son poco più che accidenti e anzi stravolgimenti della narrazione, dove vi è largo spazio per la caduta e la redenzione è una luce possibile ma lontana e dove i caratteri sono in costante movimenti nel loro gravitare attorno al motore che è Hajime.
Ichinose Hajime è "Gatchaman Crowds", il perno strutturale della serie, la protagonista in un'opera senza protagonisti, la più estroversa e inverosimile delle figure, eppure, in conclusione, la più ignota ed affascinante. Hajime è l'enigma che attraversa la serie, adorabile e magnifica, dotata della massima presenza scenica ma raramente lasciata ad esercitarla da sola. Con la sua magnetica personalità la nostra adorabile eroina sembrerebbe farsi carico di ogni stereotipo da cui la storia dell'animazione è attraversata, ma bastano poche scene per farle scrollare di dosso tali illazioni e farla risplendere in tutta la sua irriducibile originalità.

Infine, "Gatchaman Crowds" mette a tema un punto che raramente ha spazio nell'animazione contemporanea e che, anche se sovente vien messo in scena, non viene considerato nelle sue piene implicanze e relegato alla banalità: la Rete e l'intercomunicazione di massa.
Non oso affermare che si vada così a fondo su tali questioni come fu fatto da titoli degli anni '90 talmente celeberrimi da rendere inutile la loro citazione in tale sede, ma certo "Gatchaman Crowds" tenta, con ottimi risultati, di sbirciare sulla natura delle masse e dell'individuo in loro relazione secondo tale prospettiva e non a caso la serie è attraversata in ogni dove dal tema della possibilità dell'ascesa per ciascuno all'eroismo. Questo leitmotiv è però adombrato e sempre in bilico e la gloriosa chiusura dell'opera gli dà una risposta ambigua ma non troppo e per nulla dolce.
Un plauso va rivolto proprio agli ultimi episodi, che giocano possentemente sull'oscurità delle proprie risposte e s'ammantano dell'euforia collettiva e dello splendore della giustizia per sottendere ben più ponderate riflessioni.

Nonostante questo, "Gatchaman Crowds" non parla di molto, ma lo fa con la massima grazia, facendo del proprio incedere la sua virtù ed è questo e null'altro, un intreccio calibrato in ogni suo minimo passo, senza pesantezza ne' apparenza d'artificiosità, impredicibile e insondabile, che fa crollare climax e tensioni, fatto di caratteri fortissimi che sono poco più che sagome, uno straordinario gioco d'ombre mosse alla tenue luce di una candela, che accenna decostruzioni senza ricorrere a sperimentalismi, giostrandosi con passo ardito sempre all'interno del gusto più canonico. "Gatcha!"