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Film di Mamoru Oshii, spesso ingiustamente considerato tra i minori del regista, "The Sky Crawlers" è la storia di alcuni piloti di aerei, i Kildren, che in un mondo imprecisato - apparentemente un futuro non troppo lontano - combattono una misteriosa guerra.

Ciò che più colpisce in "The Sky Crawlers", tuttavia, non è la storia, né i personaggi o il mondo in cui ambientato. È l'atmosfera che si respira, in cui è immerso l'intero film. È una atmosfera ovattata, sospesa, costruita, che sa di finto. Si avverte fin dall'inizio questa finzione, questo senso di artificiosità e di vacuità che avvolge il tutto e in particolare la natura della guerra e dei piloti che vi tengono parte. Viene dissimulata per gran parte del film, ma non nascosta: è presente in ogni scena, si percepisce nelle sequenze di vita quotidiana, quasi si respira.
Si scoprirà poi, in modo graduale, la natura di questa finzione, una messinscena per sorreggere la pace, ma questa scoperta non è la rivelazione finale che cambia il senso della storia; è invece un segreto di Pulcinella, di cui tutti sono a conoscenza e che non cambia nulla. Infatti i Kildren, pur venendone a conoscenza, non possono far nulla per cambiare la loro situazione. Sono incatenati a un destino da cui non si può scappare, in cui persino la morte, la tradizionale liberatrice di ogni sofferenza, è impotente e non fa che reiterare lo stesso destino. Solo la decisione del protagonista, l'uccisione del "professore", potrebbe, forse, cambiare qualcosa, ma si rivela un compito impossibile, al di là delle sue forze.
Anche il cielo e il volo, tradizionali simboli di libertà, di ascesi e infinite possibilità, diventano qui simboli di tale impotenza e prigionia. Il cielo di "The Sky Crawlers" è vuoto, statico, incapace di offrire vie di fuga; è un'ulteriore gabbia che sovrasta i personaggi e da cui è impossibile scappare.

La colonna sonora che sorregge il film, e il main theme che ne è quasi simbolo (pensare "The Sky Crawlers" senza questa musica è per me impossibile), è forse quanto di meglio prodotto da Kenji Kawai e si adatta perfettamente al film, suggerendo quell'atmosfera di vuota malinconia di cui si è già parlato.

E così ciò che resta a fine film non è altro che la reiterazione di un destino immutabile, una musica dolce e insieme triste, una sensazione di malinconia e impotenza e un interrogativo senza risposta: "Hai sempre la possibilità di cambiare la strada che percorri ogni giorno, anche se la strada è la stessa puoi vedere cose diverse, non è abbastanza per vivere? O invece, non può essere abbastanza?"