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Non mi ritengo una persona bigotta e non ho alcun problema con le storie dove il sesso - anche dichiaratamente "immorale" (per l'epoca, il luogo o la cultura di riferimento dell'opera) e senza patine romantiche - è una parte centrale della vicenda. Detto questo, ho trovato questo film estremamente pesante, torbido, marcio nel midollo e addirittura trash. E tutto questo non per la storia in sé, ma per il modo in cui quest'ultima è stata gestita.

Natsu e no tobira (La porta sull'estate) è un manga auto-conclusivo di Keiko Takemiya, pubblicato nel 1975. L'autrice fa parte del cosiddetto "Gruppo 24", un insieme di giovani autrici di shoujo manga, che rivoluzionarono questo genere e lo plasmarono, grazie a tematiche a sfondo sentimentale e drammatico, intrecci complessi e una forte caratterizzazione dei personaggi. L'autrice è ricordata soprattutto per un'opera lunga, Kaze to Ki no Uta (Il poema del vento e degli alberi) - la cui pubblicazione iniziò un anno dopo Natsu e no tobira - noto per essere il primo manga yaoi della storia del fumetto giapponese.

Nel 1981, mentre l'autrice continuava a riscuotere successo con il suo dramma a sfondo omosessuale, fu deciso di trasporre in un film animato da un'ora la sua opera precedente. Non ho letto il manga, anche se da quello che ho potuto trovare sul web sembrerebbe che l'anime rispecchi piuttosto fedelmente l'opera cartacea. Pertanto immagino che i molti difetti che caratterizzano il film - su tutti il modo di gestire una storia tanto delicata e la caratterizzazione dei personaggi - siano imputabili in parte anche al fumetto originale della Takemiya. Ma devo dire che lo staff del film ha senz'altro collaborato molto a presentare sotto una luce ancora peggiore quanto già imputridiva sulle pagine di Hana to yume (nota rivista di shoujo manga).

La trama del nostro racconto di per sé non è neanche malvagia, sebbene risponda a vicende già sdoganate con molta più efficacia dai romanzieri europei.
Francia, ultimo decennio dell'Ottocento. In un prestigioso collegio francese arrivano le tanto agognate vacanze estive: partono tutti, fuorché quattro ragazzi, tra di loro amici, che insieme fanno parte di un gruppo che si ispira alla filosofia del razionalismo. Il capo, nonché nostro protagonista, è un bellissimo ragazzo di nome Marion. Altro personaggio chiave della vicenda è Lédania, candida e altrettanto bella figlia del preside della scuola, desiderata e corteggiata da tutti i ragazzi dell'istituto. A causa di una lite scatenata dalle gelosie di due studenti più grandi, Marion si trova a sostenere un duello, che per fatalità gli farà conoscere Sara Vida. Quest'ultima, proveniente dal demi-monde, è una signora provocante e disinibita, che farà scoprire al giovane Marion cosa sia il sesso. Nel frattempo la vicenda prosegue inglobando nella torbida relazione tra Sara e Marion anche gli amici di quest'ultimo, e tutto si prepara a conflagrare in un drammone finale... (ma non farò spoiler).

Come dicevo, non ho problemi di sorta a vedere un ragazzino sedotto da una cortigiana e pronto a scoprire la realtà, il sesso in tutta la sua nuda e naturale istintività, rappresentata dalla figura disinibita e matura di Sara, contrapposta all'immagine candida di Lédania, archetipo dell'amore puro e cristallino della prima giovinezza. In più, cosa che senz'altro rappresentava una novità per l'epoca, nella vicenda è anche trattato, seppur brevemente, il tema dell'omosessualità maschile tra giovani adolescenti (tema che, come già detto, la Takemiya svilupperà poi nella sua opera più nota).

Tutto questo suona molto bello, ma quello che vediamo nel film è invece molto brutto. I personaggi sono inquietantemente irreali e forzati nelle loro azioni, quasi psicotici, mentre intorno a loro si dipana un turbine non tanto di sentimenti quanto di pesantissime passioni dal sapore appiccicoso. La regia insiste con occhio quasi voyeuristico sulla scena in cui Marion e Sara copulano, ma poi salta a piè pari tutto il resto dei momenti che i due passano insieme, mostrandoceli semplicemente come tanti bei disegni con una musica in sottofondo (mi è parso che in maniera grezza si sia imitato l'effetto "cartolina" di Osamu Dezaki). Questo salto è decisamente la lacuna più grossa e anche il macigno che rende il film quasi volgare: sembra che tutto si debba risolvere nel mostrarci semplicemente una scena di sesso (in cui spiccano i seni cucurbitacei di Sara), dopo la quale troviamo un Marion maturato (per modo di dire) di punto in bianco senza soluzione di continuità con quanto pensasse precedentemente sulle relazioni degli uomini con le donne. La rapida, prematura, sensuale e se vogliamo drammatica presa di coscienza che questo ragazzino dovrebbe avere della vita risulta quindi forzata e teatrale. Anche l'inserto sul tema dell'omosessualità, che ovviamente va a finire nel peggiore dei modi, è tanto improvviso, artefatto e forzatamente drammatico da far perdere tutta la carica emotiva che dovrebbe circondare il personaggio gay.

Capisco che siamo agli albori della trattazione di tematiche tanto forti all'interno di un manga (e quindi di un film) per ragazze, ma trovo che qui si siano messi insieme i pezzi nel peggiore dei modi e si sia di gran lunga superato il limite del buon gusto. A questo senz'altro contribuiscono delle scelte singolari, come le musiche, che risultano disgraziatamente stonate. Salvo l'ultimo bel pezzo suonato al pianoforte, per il resto troviamo una colonna sonora assolutamente fuori luogo, che a tratti fa pensare a Lupin III. Tra tutte le musiche si segnala quello che potremmo definire il "tema di Sara", una musichetta dal "sapore commedia all'italiana", che rende ancora più sciocche le scene erotiche.

La regia, seppur con diverse trovate eleganti, risulta svogliata e, come già detto, sembra voler imitare senza troppo successo quello che realizzava Dezaki. Il character design, piuttosto fedele al tratto della Takemiya, regge bene sui primi piani ma diventa scialbo sul resto (con anche qualche effetto sgradevole nei profili). Le animazioni sono mediocri, i colori inquietantemente pastello e dilavati (dico inquietantemente perché sembrano contribuire a rendere l'atmosfera ulteriormente umida e putrescente). Siamo insomma ben lontani da quanto farà sei anni dopo Yoshikazu Yasuhiko con l'adattamento di Kaze to Ki no Uta, che - pur con tutti i suoi limiti - si segnala senz'altro per l'ottima grafica, una regia posata e una felice scelta delle musiche.

Senza andare troppo lontano, vale la pena ricordare che nel 1975 compariva il manga Caro fratello... di Riyoko Ikeda, in cui, pur con i toni melodrammatici tipici del periodo e oggi ritenuti probabilmente eccessivi, l'autrice riusciva a tracciare una sentita vicenda sui temi dell'omosessualità e del suicidio, con personaggi splendidamente caratterizzati. In questo film invece sembra quasi di assistere alla parodia del genere, probabilmente a causa delle già citate scelte dello staff che rendono ancora più grottesco quanto già partorito dall'autrice. Raramente ho provato un tal senso di pesantezza alla fine della visione di un film di a mala pena un'ora.

In conclusione, ma in realtà l'ho già scritto in apertura, ho trovato questa "roba" un qualcosa di tremendamente torbido, squallido e marcio.