Recensione
Cara dolce Kyoko - Maison Ikkoku
10.0/10
Non potrei veramente dare nessun altro voto a un anime come "Maison Ikkoku", uno degli anime pilastro della mia infanzia, che seguivo assiduamente sulla compianta Super 3, emittente locale ben nota agli abitanti del Lazio e dintorni, grazie alla quale da bambina potei recuperare il meglio del meglio dell'animazione giapponese degli anni '70 e '80.
Finito il momento nostalgia, "Maison Ikkoku", come molti sapranno, è tratto dall'omonimo manga di Rumiko Takahashi (già consacrata autrice di "Lamù", che all'epoca pubblicava contemporaneamente a "Maison Ikkoku") e in 96 puntate, tra qualche filler e qualche rimaneggiamento, si discosta leggermente dal manga, dandogli però, a mio avviso, un'unicità e delle caratteristiche che lo rendono, se possibile, per molti versi decisamente superiore all'opera originale cartacea.
L'anime racconta le vicende dello sventurato Godai, uno studente pluribocciato agli esami di ammissione all'università, che vive appunto nella "Maison Ikkoku", uno stabile vecchio, abitato da inquilini assolutamente folli: Akemi che fa la cameriera in un bar la notte e passa il giorno a dormire e a girare mezza nuda per casa, Ichinose, una terribile donna di mezza età che ama bere e fare baldoria, e lo spudorato Yotsuya, dall'occupazione ignota, che passa le giornate a rubare il cibo e altri oggetti dalla camera di Godai. Tutti questi personaggi hanno un solo obiettivo comune: impedire a Godai di studiare, organizzando festini in camera sua e disturbandolo in ogni modo possibile.
Un giorno, però, arriva la nuova amministratrice, la bella Kyoko Otonashi, che ruberà immediatamente il cuore a Godai. Kyoko, però, nasconde un terribile segreto: infatti, nonostante la sua giovane età, è già rimasta vedova, e non ha nessuna intenzione di dimenticare tanto facilmente il marito defunto.
Avrà qualche possibilità questa storia d'amore osteggiata dal ricordo del marito di Kyoko, dalla posizione sociale di Godai, che è un povero studente squattrinato, e soprattutto dagli abitanti dell'Ikkoku-kan?
"Maison Ikkoku" è una girandola di emozioni.
Dal ritmo a volte più simile a una soap opera che ad un anime, dipana nei suoi 96 episodi momenti al cardiopalma, fatti di fraintendimenti e equivoci di ogni genere, e momenti di una comicità esilarante, senza far mancare momenti di profonda riflessione.
Nonostante la cornice spiritosa e a volte demenziale e la storia d'amore, "Maison Ikkoku" è anche un ottimo riassunto di quello che sono stati gli anni '80 in Giappone, rappresentando molti problemi della società dell'epoca, come la posizione di Kyoko, rimasta vedova giovanissima e praticamente costretta dalla madre a cercare di risposarsi ed avere figli "prima che sia troppo tardi e non la voglia più nessuno", oppure i tormenti del povero Godai, che è uno studente che ha fallito gli esami all'università (un cosiddetto "ronin", samurai senza padrone letteralmente), condizione orrendamente vista nella società giapponese, per poi diventare (ancora peggio) un uomo senza prospettive di lavoro - condizione che gli rende assolutamente impossibile proporsi a Kyoko o anche solo lontanamente pensare di poterle chiedere di sposarlo!
Anche se la Takahashi ha più volte chiarito di aver creato il manga solo per intrattenere il pubblico, senza avere alcuna mira di "denuncia" sociale, "Maison Ikkoku" rimane comunque un buon riferimento di come era realmente la società in quel periodo.
Ad ogni modo, non ho mai più visto una commedia che riuscisse a non avere mai cali né momenti di noia: ogni episodio, nel bene o nel male, lascia qualcosa, che sia qualche piccolo progresso nella storia d'amore tra i due, un susseguirsi di gag, qualcosa che spinga ancora più lontano i due ragazzi, oppure un puro e semplice momento di riflessione.
Infatti, Godai è impegnato per tutta l'opera in sfide concrete (come quella di trovare un lavoro), ma anche in sfide psicologiche, come la paura di non riuscire in nessun modo a "superare" il defunto marito di Kyoko, rimasto immutabile e senza difetti nei suoi ricordi.
La caratterizzazione dei personaggi, è un po' diversa rispetto al manga: Godai è molto più dolce, timido, tenero, quasi del tutto privo di malizia (mentre invece nel manga è più simile allo sboccato e sfaccendato Ataru di "Lamù") e anche Kyoko, che nel manga appare a volte fredda, quasi "calcolatrice" (perché come detto prima, è pressata dalla madre e dal modo di pensare comune a risposarsi presto, nonostante tutte le sue opposizioni, e passa buona parte delle pagine a preoccuparsi del fatto che Godai è completamente spiantato dal punto di vista economico e non potrebbe offrirle altro che una vita miserabile), nell'anime è invece più gentile, più romantica, più sincera.
Anche gli angoli degli altri personaggi sono stati smussati, come Mitaka (l'allenatore di tennis di Kyoko, acerrimo rivale di Godai, bello e ricco), che è molto meno cattivo e aggressivo rispetto alla sua controparte cartacea, ma risulta comunque odioso e fastidioso al punto giusto, suscitando in qualche modo quasi la simpatia dello spettatore.
Insuperabile per quegli anni il comparto tecnico, animazioni impeccabili, fondali dai colori caldi e morbidi che creano un'atmosfera quasi da sogno, e una scelta dei colori sempre accesi ma mai aggressivi.
Non si può non accennare alle meravigliose sigle, una più bella dell'altra, sia dal punto di vista delle canzoni (alcune scritte da mostri sacri della musica giapponese anni '80), che delle sequenze drammatiche e melanconiche, quelle di chiusura e piene di entusiasmo e gioia quelle iniziali, proprio a rappresentare e sintetizzare le due "anime" di questa serie, da un lato la parte di gag e demenzialità e dall'altra quella della tormentata storia romantica tra i protagonisti, che a volte si lasciano trasportare dagli eventi.
Due parole infine sul doppiaggio italiano: seppure abbia qualche problema come la sostituzione della doppiatrice di Kyoko in corso d'opera, e da alcuni rimaneggiamenti e errorini sparsi (come Ichinose chiamata "Ikinose"), il lavoro dei doppiatori (tutti veterani degli anime in quegli anni, assolutamente versatili e bravissimi, primo tra tutti lo straordinario Alessio Cigliano - voce assai nota a tutti gli appassionati di anime anni '80) è stato assolutamente ineccepibile.
Nonostante tutto l'anime si è mantenuto fedele all'originale e non ha dovuto subire tutto l'accanimento e il trattamento toccato ad esempio agli anime che andavano in onda su Mediaset, che venivano privati di tutti gli elementi che richiamassero in qualche modo alle origini giapponesi del prodotto.
Già il fatto di avere i nomi originali e pochi rimaneggiamenti è un gran lusso, per quel periodo.
Tornando rapidamente al doppiaggio, credo sia bene sottolineare quanto siano stati bravi i doppiatori italiani a riuscire a reggere a volte anche più ruoli contemporaneamente, e a dare dignità a quest'opera, nonostante un doppiaggio fatto in economia.
Finito il momento nostalgia, "Maison Ikkoku", come molti sapranno, è tratto dall'omonimo manga di Rumiko Takahashi (già consacrata autrice di "Lamù", che all'epoca pubblicava contemporaneamente a "Maison Ikkoku") e in 96 puntate, tra qualche filler e qualche rimaneggiamento, si discosta leggermente dal manga, dandogli però, a mio avviso, un'unicità e delle caratteristiche che lo rendono, se possibile, per molti versi decisamente superiore all'opera originale cartacea.
L'anime racconta le vicende dello sventurato Godai, uno studente pluribocciato agli esami di ammissione all'università, che vive appunto nella "Maison Ikkoku", uno stabile vecchio, abitato da inquilini assolutamente folli: Akemi che fa la cameriera in un bar la notte e passa il giorno a dormire e a girare mezza nuda per casa, Ichinose, una terribile donna di mezza età che ama bere e fare baldoria, e lo spudorato Yotsuya, dall'occupazione ignota, che passa le giornate a rubare il cibo e altri oggetti dalla camera di Godai. Tutti questi personaggi hanno un solo obiettivo comune: impedire a Godai di studiare, organizzando festini in camera sua e disturbandolo in ogni modo possibile.
Un giorno, però, arriva la nuova amministratrice, la bella Kyoko Otonashi, che ruberà immediatamente il cuore a Godai. Kyoko, però, nasconde un terribile segreto: infatti, nonostante la sua giovane età, è già rimasta vedova, e non ha nessuna intenzione di dimenticare tanto facilmente il marito defunto.
Avrà qualche possibilità questa storia d'amore osteggiata dal ricordo del marito di Kyoko, dalla posizione sociale di Godai, che è un povero studente squattrinato, e soprattutto dagli abitanti dell'Ikkoku-kan?
"Maison Ikkoku" è una girandola di emozioni.
Dal ritmo a volte più simile a una soap opera che ad un anime, dipana nei suoi 96 episodi momenti al cardiopalma, fatti di fraintendimenti e equivoci di ogni genere, e momenti di una comicità esilarante, senza far mancare momenti di profonda riflessione.
Nonostante la cornice spiritosa e a volte demenziale e la storia d'amore, "Maison Ikkoku" è anche un ottimo riassunto di quello che sono stati gli anni '80 in Giappone, rappresentando molti problemi della società dell'epoca, come la posizione di Kyoko, rimasta vedova giovanissima e praticamente costretta dalla madre a cercare di risposarsi ed avere figli "prima che sia troppo tardi e non la voglia più nessuno", oppure i tormenti del povero Godai, che è uno studente che ha fallito gli esami all'università (un cosiddetto "ronin", samurai senza padrone letteralmente), condizione orrendamente vista nella società giapponese, per poi diventare (ancora peggio) un uomo senza prospettive di lavoro - condizione che gli rende assolutamente impossibile proporsi a Kyoko o anche solo lontanamente pensare di poterle chiedere di sposarlo!
Anche se la Takahashi ha più volte chiarito di aver creato il manga solo per intrattenere il pubblico, senza avere alcuna mira di "denuncia" sociale, "Maison Ikkoku" rimane comunque un buon riferimento di come era realmente la società in quel periodo.
Ad ogni modo, non ho mai più visto una commedia che riuscisse a non avere mai cali né momenti di noia: ogni episodio, nel bene o nel male, lascia qualcosa, che sia qualche piccolo progresso nella storia d'amore tra i due, un susseguirsi di gag, qualcosa che spinga ancora più lontano i due ragazzi, oppure un puro e semplice momento di riflessione.
Infatti, Godai è impegnato per tutta l'opera in sfide concrete (come quella di trovare un lavoro), ma anche in sfide psicologiche, come la paura di non riuscire in nessun modo a "superare" il defunto marito di Kyoko, rimasto immutabile e senza difetti nei suoi ricordi.
La caratterizzazione dei personaggi, è un po' diversa rispetto al manga: Godai è molto più dolce, timido, tenero, quasi del tutto privo di malizia (mentre invece nel manga è più simile allo sboccato e sfaccendato Ataru di "Lamù") e anche Kyoko, che nel manga appare a volte fredda, quasi "calcolatrice" (perché come detto prima, è pressata dalla madre e dal modo di pensare comune a risposarsi presto, nonostante tutte le sue opposizioni, e passa buona parte delle pagine a preoccuparsi del fatto che Godai è completamente spiantato dal punto di vista economico e non potrebbe offrirle altro che una vita miserabile), nell'anime è invece più gentile, più romantica, più sincera.
Anche gli angoli degli altri personaggi sono stati smussati, come Mitaka (l'allenatore di tennis di Kyoko, acerrimo rivale di Godai, bello e ricco), che è molto meno cattivo e aggressivo rispetto alla sua controparte cartacea, ma risulta comunque odioso e fastidioso al punto giusto, suscitando in qualche modo quasi la simpatia dello spettatore.
Insuperabile per quegli anni il comparto tecnico, animazioni impeccabili, fondali dai colori caldi e morbidi che creano un'atmosfera quasi da sogno, e una scelta dei colori sempre accesi ma mai aggressivi.
Non si può non accennare alle meravigliose sigle, una più bella dell'altra, sia dal punto di vista delle canzoni (alcune scritte da mostri sacri della musica giapponese anni '80), che delle sequenze drammatiche e melanconiche, quelle di chiusura e piene di entusiasmo e gioia quelle iniziali, proprio a rappresentare e sintetizzare le due "anime" di questa serie, da un lato la parte di gag e demenzialità e dall'altra quella della tormentata storia romantica tra i protagonisti, che a volte si lasciano trasportare dagli eventi.
Due parole infine sul doppiaggio italiano: seppure abbia qualche problema come la sostituzione della doppiatrice di Kyoko in corso d'opera, e da alcuni rimaneggiamenti e errorini sparsi (come Ichinose chiamata "Ikinose"), il lavoro dei doppiatori (tutti veterani degli anime in quegli anni, assolutamente versatili e bravissimi, primo tra tutti lo straordinario Alessio Cigliano - voce assai nota a tutti gli appassionati di anime anni '80) è stato assolutamente ineccepibile.
Nonostante tutto l'anime si è mantenuto fedele all'originale e non ha dovuto subire tutto l'accanimento e il trattamento toccato ad esempio agli anime che andavano in onda su Mediaset, che venivano privati di tutti gli elementi che richiamassero in qualche modo alle origini giapponesi del prodotto.
Già il fatto di avere i nomi originali e pochi rimaneggiamenti è un gran lusso, per quel periodo.
Tornando rapidamente al doppiaggio, credo sia bene sottolineare quanto siano stati bravi i doppiatori italiani a riuscire a reggere a volte anche più ruoli contemporaneamente, e a dare dignità a quest'opera, nonostante un doppiaggio fatto in economia.