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8.0/10
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Un quartiere in periferia. Un gruppo di ragazzi neolaureati. Sogni, ambizioni, speranze: la vita. Questo è quanto Inio Asano descrive nel suo Solanin, un’opera che conferma, come ci si aspettava, il genio creativo e l’incredibile sensibilità del maestro.
Di cosa parla Solanin? È l’avventura di un gruppo di giovani che stanno per diventare adulti? Parla dell’inserimento nel mondo del lavoro? Si, ma non è questa la trama. Solanin parla di certezze che mancano. Badate però, l’assenza di certezza è assai diversa dall’incertezza. L’incertezza è il dilemma tra più scelte, spesso invece, in Solanin, di scelte non ce ne sono affatto. Parla del vuoto, della grande paura che vive nello stomaco di tutti quelli che, superata l’età scolare, si sono scontrati a piena faccia con la vita e ne sono rimasti storditi. Crescere è difficile, si dice, ancor più lo è oggi, quando le responsabilità cascano in spalla a uomini e donne con anima e dilemmi infantili. E allora ecco il trauma, questo vuoto, questa paura, questo terrore che lacera. Niente incertezze quindi, niente dubbi, solo il vuoto causato dall’assenza di certezze. Perché è la noia a regnare sovrana nel mondo di Solanin, quella noia che sopraggiunge quando non si hanno più dubbi in quanto non si cercano risposte.

Meiko, la nostra eroina, affronta così le sue vicissitudini, prende e molla un lavoro dopo l’altro, non si adatta, non si piega a quel monotono e statico meccanismo che è la società nipponica. Meiko, come i suoi amici, è irresponsabile, ma non del tutto. Il fatto che sia conscia della sua infantilità la catapulta nel mondo degli adulti. Un adulto cosciente di se stesso che però, ancora non vuole crescere. I ragazzi di Solanin sono degli eterni Peter Pan che pian piano cedono alla società, abbandonano i loro sogni, posano i piedi per terra per poi alzarli di colpo, senza un perché, o per il semplice fatto di voler volare ancora una volta, sentirsi ancora irresponsabili e adolescenti, per poi, loro malgrado, rendersi immediatamente conto che a una certa età le ali spariscono e quella spinta, che prima ti faceva volare, ora altro non è che il preambolo di una rovinosa caduta. E tanto più si salta in alto tanto più la caduta è dolorosa. Questo è Solanin, il poetico ritratto del risveglio all’età adulta, dove i nostri protagonisti, assorti nel tepore delle coperte adolescenziali, brontolano elemosinando gli ultimi istanti di sonno, prima che il sogno svanisca e cominci la vita.

Ma il vero cardine etico su cui Asano punta è indubbiamente la ricerca di una felicità stereotipata nelle menti dei nostri protagonisti, e quindi, impossibile da raggiungere. Niente di ciò che hanno li soddisfa o riempie le loro vite e di nuovo impera quel clima di tedio, di noia che smorza i toni, scolorisce i sentimenti, fino a rendere i ragazzi di Asano apatici, privi della spinta necessaria che li deve catapultare nel mondo concreto. Bambini viziati, indubbiamente, come tanti giovani d’oggi, eterni insoddisfatti, si crogiolano nei loro problemi alla ricerca di qualche risposta, insopportabili e di certo irritanti a tratti.
È questa genuinità nel dipingere il moderno ventenne giapponese a rendere Solanin un piccolo capolavoro. Serviva tutta la sensibilità di Asano per affrontare questo tema e di certo il maestro non ha deluso i suoi fan. Solanin crea nel lettore una sorta di astio, di insofferenza per quei ragazzi che si lasciano scivolare addosso la vita senza reagire. Solo verso la fine la psicologia comune cambierà leggermente, dimostrando una lieve maturazione del pensiero. Questo cambiamento è possibile solo guardando al passato e la chiave di lettura dell’opera sta proprio in questo: Il tempo che passa è perso per sempre, rendersene conto spinge a vivere più intensamente la propria vita. Serviranno due volumi e un anno narrativo per insegnarlo ai nostri protagonisti. Asano, senza dubbio, cerca di trasmettere questo messaggio forte col piglio poetico che gli è tipico e, secondo me, centra a pieno l’obbiettivo.
Asano tocca quindi un altro tasto filosoficamente difficile, affronta il dilemma del tempo che scivola via, lo fa con garbo, senza essere invasivo. Pone il lettore di fronte a un’immagine cinica, staccata e spesso inquietante del futuro, al contempo però, lo rassicura: Meiko è tranquilla, rilassata, quasi rassegnata. Ha preso coscienza che il tempo non aspetta nessuno e quello sconforto, dato dagli anni che passano e incalzano, scompare lasciando spazio a una serena rassegnazione.

Il disegno è confezionato con cura e all’altezza del Sensei. Tratti molto morbidi per i personaggi, dettagli fotografici, ombre e chiaroscuri quasi assenti, prendono poi campo libero in tavole da antologia. Ottima retinatura fine e non invasiva, quanto basta.
Panini ci consegna Solanin in due volumi, come nell’originale. Stampati su carta discutibile, con coperta morbida al tatto. Pessima scelta dell’inchiostro, troppo grasso per la carta su cui è stampato. La rilegatura, in brossura tagliata, denota ancora una volta un certa sufficienza e bonarieria per un’edizione che si presuppone destinata al pubblico collezionista del fumetto d’autore. La buona traduzione e l’ottima cura editoriale, dimostra senza ombra di dubbio gli editor Panini sanno fare il loro mestiere egregiamente. Prezzo non all’altezza dell’edizione.

Nel complesso un’opera matura, degna di Asano, che lascia quel senso di incompiuto, di impreciso e quell’amaro in bocca tipico del maestro. Un manga riflessivo, lento a tratti, indubbiamente adatto a chi ha già passato una certa età e può capire le scelte di vita fatte dai personaggi (senza per forza condividerle, sia chiaro). Un acquisto importante per chi ama il buon fumetto d’autore, e che grazie alla poesia del maestro e alla buona impaginazione, ci fa dimenticare il prezzo e le incurie editoriali. Otto.