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4.0/10
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<b>Attenzione, possibili spoiler</b>

A volte qualche oscuro motivo ci porta alla lettura di manga in cui si ripongono particolari aspettative. Quando queste vengono disattese allora la delusione raggiunge massimi livelli. La noia arriva prima e anche solo tenere in mano un volume dell'opera diventa pesante.
Ecco. Questo è stato l'impatto tra la sottoscritta e il titolo "Stardust Wink".
Non sono mai stata una romanticona, ma non disdegno la lettura di manga shojo. È chiaro che so di approcciarmi a storiette, quasi sempre, banali, destinate, per lo più, a un pubblico molto giovane. Tuttavia si tratta pur sempre di letture leggere e, in quanto tali, generalmente piacevoli. Alcune volte, (in realtà, sempre più spesso), vengono però intavolate storie banali, infantili e assurde che di piacevole hanno ben poco.
"Stardust Wink" mi pareva un titolo con delle buone potenzialità. Un racconto incentrato sull'amore che sboccia tra amici di infanzia, seppure non originale, mi aveva incuriosito. Il mio ardore si è, però, spento presto.
Già alla fine del primo volume avevo notato che c'erano parecchie lacune nella storia narrata dalla sensei Haruta. Non avendo mai letto sue opere, le ho voluto dare una chance. Ho pensato che dal primo numero non si potessero avere le basi per giudicare un titolo, ma sbagliavo... e di grosso.
Se il primo volume non mi aveva entusiasmato, dal secondo in poi è un totale disastro. La storia è piena di buchi, situazioni narrate in modo eccessivamente rapido e superficiale. Ed è questo che contesto maggiormente all'autrice. Non si può trattare con una tale superficialità dei rapporti, a mio parere, molto profondi. Liquidare in un tale modo una serie di passaggi fondamentali mi ha spinto a leggere con grande disinteresse questa opera.
La protagonista frizzante e vivace dei primi capitoli lascia il posto a una perfetta Idiota, con la lettera maiuscola. Non parlerò nemmeno dei personaggi di contorno, perché nessuno è degno di essere menzionato, stante la sua totale inutilità ai fini del racconto. Questo si incentra tutto su Anna.
Hinata e Sou, coprotagonisti maschili, vengono creati solo per fare da spalla ad una adolescente perennemente svampita che, a lungo andare, diviene insopportabile. Con il repentino crollo di Anna tutta l'impalcatura viene giù. Daltronde, dato che la storia è incentrata su di lei, come poteva essere diverso? Nessun asso nella manica per la Sensei Harut,a che assiste allo sfacelo inerte. Qualcuno doveva ricordarle che era lei l'autrice ma, a quanto pare, lo hanno dimenticato proprio tutti.
Sou, in particolare, è il personaggio che più viene bastonato durante il racconto. Apparentemente carismatico, viene piano piano svuotato e messo nell'angolino. Diventa il cupido di Anna, il suo protettore, pronto a supportarla, in modi che solo l'autrice ha seriamente compreso.
Hinata, assente per interi volumi, è inspiegabilmente l'idolo delle lettrici. Un ragazzo gentile e premuroso, a quanto pare, è preferito a uno più schietto. La sua mascolinità emerge, alla fine, ma ci sono voluti otto volumi per arrivarci.
Situazioni paradossali sono all'ordine del giorno per questo titolo che non regala nulla al lettore.
I sentimenti dei personaggi sono finti, strani. Anche il modo in cui Anna comprende di essere innamorata di Hinata è inconcepibile. Qualcuno le ricorda che, a quattro anni, aveva espresso una sua preferenza per Hinata e giustamente lei se ne innamora di colpo, anche se fino a cinque secondi prima non lo degnava di uno sguardo. Romantico...
Un manga superficiale in tutti i suoi aspetti. Poche vignette, dai toni leggermente più maturi, non riescono a salvare questa storia, piatta per tutta la narrazione. Anche il tratto dell'autrice, bello, ma un po' monotono (i personaggi maschili sono quasi tutti uguali) non colma le profonde lacune narrative che si riscontrano.
Una nota positiva la si coglie nel finale. Ci è stato difatti risparmiato il colpo di grazia dopo la lunga agonia: Anna fa la sua scelta! Nonostante un "quasi" ripensamento verso gli ultimi capitoli, il finale non resta aperto.
Tutto è bene quel che finisce bene... o no?