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Innanzitutto dimenticatevi Slam Dunk, o quanto meno toglietegli lo spessore narrativo ed emotivo e aggiungetegli i superpoteri: Kuroko no Basket. Va notato inoltre che Slam Dunk non aveva predecessori illustri e dovette cominciare spiegando al lettore (e allo stesso protagonista) le regole del basket partendo dalle basi e aumentando di capitolo in capitolo l'asticella, mentre Kuroko invece grazie alla strada spianata si permette di evitare questa parte dando per scontato che il lettore conosca le regole della pallacanestro (così come lo stesso protagonista).

La caratteristica principale di Kuroko è la (non) caratterizzazione dei personaggi, la cui introspezione psicologica è nulla e che sono schiavi del loro ruolo. Dei molti personaggi presentati pochi hanno un accenno di caratterizzazione mentre gli altri sono solo macchiette rese distinguibili l'una dall'altra da un tic o da un tormentone ricorrente. Questo, unito all'aria scanzonata del manga, rende poco credibili i protagonisti e di riflesso le loro ambizioni, riducendo l'empatia del lettore per i cestisti e quindi di conseguenza la tensione per l'esito della partita. L'unico tentativo di dare spessore ai personaggi sono i flashback che però si risolvono il più delle volte in scene in cui vengono raccontati i buoni propositi da shonen dei protagonisti ("voglio vincere il torneo interscolastico! voglio diventare il più forte! voglio sconfiggere il mio amico di infanzia!") e che non aggiungono molto alla trama. Comunque sia, sebbene l'uso sfacciato dei flashback, sarà proprio tramite uno di essi che si assisterà ad una delle parti più interessanti dell'opera, in cui interverrà una parte narrativa massiccia rispetto al resto del manga. In generale tutta questa mediocrità viene condita con qualche tentativo (riuscito) di strizzare l'occhio al pubblico femminile, che difatti è stato un grande promotore del successo di Kuroko.

Ma Kuroko funziona. Kuroko è conscio di aver raggiunto una formula che gli permette la sopravvivenza e non prova a proporre qualcosa di più sostanzioso. La parte spokon sa di già visto in ogni suo aspetto: il torneo interscolastico, il temuto atleta straniero, la classica partita persa da vendicare, il ragazzo che si è sempre allenato moltissimo contro quello che invece è talentuoso di natura e altri cliché a venire uniti al "già visto" dei manga in generale, come gli allenamenti, i power-up, il capitolo alle terme, quello al mare e così via. Comunque sia questi stereotipi sono strausati in quanto notoriamente efficaci e quindi la lettura fila, sebbene sia evidente che Tadatoshi Fujimaki si impegni il minimo per la sufficienza, aiutato in questo anche da un tratto accattivante (fatta eccezione per l'anatomia spesso altalenante e per la resa delle divise, che in certe scene rendono i personaggi simili al Gabibbo).

Il pregio di questo manga è di avere come protagonisti dei giocatori già fortissimi e non il classico perdente che migliora pian piano fino a raggiungere livelli inverosimilmente alti, però per il resto i modelli utilizzati rimangono i medesimi di molte altre produzioni. Il suo difetto è invece quello di essere ripetitivo sulle lunghe, con la medesima partita che per intrattenere deve trascinarsi in una scontata battaglia per i punti dove si vince o perde sempre per un punto di differenza, inoltre le strategie non sono d'effetto in quanto grazie ai fantasiosi potenziamenti tutto può succedere da un momento all'altro. Kuroko inizialmente mi ha fatto pensare che se solo fosse stato un po' più maturo sarebbe stato un buon manga, ma dopo trenta volumi posso dire che è soltanto la formula chimica della sufficienza e pose fighette.