Recensione
Kemono Zume
10.0/10
Recensione di Texhnolyze
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“Kemono Zume” è la prima serie diretta da Masaaki Yuasa, e si può dire che lui era già al suo apice artistico, ma forse lo era ancor prima con il suo primo lungometraggio, “Mind Game”.
L’anime inizia come una sorta di "Romeo e Giulietta" in chiave horror/comica, e già con una premessa del genere si può immaginare quanto atipico risulterà, ma ben presto l’anime cambierà totalmente, diventando “yuasiano”, l’unico aggettivo capace di descrivere le sue opere. Anzi, l’anime cambia dopo ogni episodio, come se tutto il cast fosse intrappolato in un ciclone e sbattuto da una parte all’altra della circonferenza, senza però mai uscire dal suo occhio. Infatti, nonostante ogni episodio sia diverso dagli altri, per regia, per fotografia, stile di animazioni e character design, il risultato non cambia... Il mood che pervade l’intera serie è sempre lo stesso (con i suoi eccessi verso la fine), ed è questa la cosa veramente incredibile, la capacità direttiva di Yuasa. Non c’è regista che può eguagliare il suo lato sperimentale, se non il miglior Kenji Nakamura - tra l’altro regista dell’episodio 10 -, e allo stesso modo avere una visione d’insieme così solida. Come dicevo, tra tanto sperimentalismo visivo e cripticità narrativa, “Kemono Zume” pone le sue basi su un mood cupo, ma allo stesso tempo rilassante e romantico, senza mai lasciare l’umorismo nero, il simbolismo e il kitsch più sfrenato.
La storia è semplice, ovvero facile da seguire, ma allo stesso tempo impossibile da decifrare a cervello spento, data la massiccia dose di metafore visive e scelte registiche che rendono la visione un vero e proprio trip allucinante; ovviamente, per far sì che questa miscela funzioni, hai bisogno di un comparto visivo non convenzionale. Il design e l’animazione sono così anticonvenzionali che limiteranno la visione a pochi, mentre la maggioranza marchierà questo come vera e propria schifezza, finendo col ‘dropparlo’. Ma qui non si tratta di soggettivismo, non si tratta semplicemente di dire quanto piaccia o meno l’animazione di “Kemono Zume”, ma di fermarsi un attimo e analizzarla come si deve e arrivare alla conclusione che è vera e propria arte. Per fare ciò ci sono delle regole, o meglio i dodici principi base dell’animazione, che non tutti sanno e che tutti dovrebbero sapere o almeno informarsi un po’ prima di condannare qualcosa. Questi principi rappresentano l’unità di misura con cui l’animazione deve confrontarsi per stabilire quanto sia buona; ovviamente, come tutto ciò che riguarda l’arte, la quantificazione è purtroppo sempre legata a fattori soggettivi, ma ciò non deve comunque risultare una scusa per l’assegnazione di voti random solo perché l’animazione è grezza, fatta di sketch, brutale e cruda; bisogna piuttosto attenersi almeno a un intervallo che gli spetta (nel senso che, se vale 10, puoi dargli 8, ma non 5, e viceversa). Senza sprecare troppe parole sull’analisi dei singoli punti, che si può ritrovare in rete, mi soffermerò su quelli dove “Kemono Zume” eccelle.
1) Squash and Stretch: è il concetto base che sta dietro l’animazione e che dovrebbe rispettare la condizione secondo cui solo le parti rigide dovrebbero rimanere inerti in un movimento, mentre tutte le altre subiscono una mutazione dovuta al movimento, e quindi la distribuzione del volume e della massa cambia a seconda del movimento che si vuole dare al soggetto. E’ ampiamente riconosciuto che questo punto viene spesso tralasciato nell’animazione giapponese in favore dello stupore visivo, ma poi un giorno venne “Ghost in the Shell” e mise tutti i puntini sulle i, svolgendo allo stesso tempo un lavoro di realismo e stupore visivo che rimane tuttora ineguagliato. E “Kemono Zume” ha sicuramente dalla sua questo punto.
9) Timing: è quella parte dedicata all’azione, alla velocità dell’azione. In altre parole, si deve prendere in considerazione la fisica e il movimento deve far sì che si obbedisca alle leggi della fisica. E come è possibile che “Kemono Zume”, essendo surreale e irrealistico, prenda in considerazione la fisica? E’ questo il punto cruciale, gli animatori sanno così bene i tempi base, che possono creare le proprie leggi; un po’ come succede per i videogiochi. Inoltre, citando Oshii, è importante scegliere inizialmente il grado di realismo ed essere coerente con esso.
10) Exaggeration: c’è anche da dire qualcosa su questo punto per quanto riguarda “Kemono Zume”? Suvvia.
Comunque sia, l’animazione in “Kemono Zume”, senza il vero chef, il regista, dietro, risulterebbe solo una minestra insipida. E’ dunque grazie alle scelte registiche che tutto ciò trova un senso, è la cura conferita in ogni singola inquadratura che dà dinamismo a ogni movimento dei personaggi, ogni angolo ha uno scopo ben preciso per imprimere, oltre al dinamismo, la carica emotiva giusta, ogni colore usato è studiato in base all’esigenza e in base a cosa sta accadendo.
E’ meglio soffermarci un attimo sul colore, poiché molti, credo, sanno che ai colori vengono anche associate le emozioni e in generale il mood di ciò che si sta vedendo. Non tutti i film sfruttano il colore, anzi sono pochi, ma sono ancora più rari quelli che sono un vero e proprio caleidoscopio (“Kemono Zume” lo è anche narrativamente). Validi esempi possono essere i gialli all’italiani di Bava (“I tre volti della Paura”, “Sei donne per l’assassino”) e Argento (“Suspiria”, “Inferno”) oppure “The Hourglass Sanatorium”, ecc. Allora ecco che tutto si tramuta in giallo quando siamo nel dojo, per rappresentare al meglio il senso di famigliarità proprio di un calore caldo come il giallo, in quanto il dojo è più una casa che un centro di allenamento. La bellissima scena sulla spiaggia nel primo episodio è tutta blu, proprio perché si vuole dare quel senso di serenità, calma e sicurezza che si apprestano ad avere i due protagonisti. Il rosso viene chiaramente usato nelle scene di sesso, in quelle brutali e splatter, perché è il colore della passione, del sangue e tante altre cose, così come tanti altri colori tingeranno lo schermo nel corso di questi tredici episodi.
Cosa manca per abbellire e unire questa meraviglia visiva? La musica. Partendo dalla sigla, una delle migliori mai ascoltate, arrivando a una colonna sonora strepitosa che varia dal jazz, poco usato negli anime, al blues. C’è un forte richiamo a Vangelis di “Blade Runner”, e quelle musiche sono veramente suggestive e d’atmosfera. Non c’è dubbio che Yuasa ne faccia un uso magistrale, in quanto la stessa canzone viene usata anche in due momenti totalmente diversi, rilassanti e caotici, e garantisce lo stesso effetto.
Anche il montaggio è eccezionale, con raccordi sempre giusti; come dimenticare l’attraversamento del treno con tanto di chiusura delle porte nell’episodio 3? Tra l’altro è una scena veramente comica, poiché anche gli inseguitori hanno il tempo di fermarsi e chiudere la porta dietro di loro! Altri momenti come questi si possono ritrovare durante lo scambio dei segni, quando appare per la prima volta il gigante, la scena di lotta sulla sedia, la parodia di Kenshiro e in generale ogni volta che appare la scimmia.
Poi però si alternano episodi di una tristezza unica come il 9, dove assistiamo pure a una delle scene più pacate e belle dell’anime, ovvero il cielo riflesso sull’acqua. Yuasa e il suo team danno veramente lezioni di regia, ma sono gli episodi 10 (diretto da Kenji Nakamura), 12 (apoteosi visiva) e 13 (quello più surreale) ad essere il top dello sperimentalismo. Tutta la scena sulla palla gigante nel finale è da antologia per il connubio tra movimenti di macchina, a seguire il movimento impossibile dei personaggi garantito dall’animazione, e la cura delle inquadrature da angoli più disparati e impensabili.
L’anime cambia marcia nella seconda metà, risultando ancora più fuori dagli schemi e pieno di simbolismi. E questa è anche la parte più odiata da tutti, poiché il gore e il kitsch si innalzano, ma molte cose hanno un senso, e non troppo difficile da interpretare. Per esempio, il travestimento di Ooba da coniglio nell’episodio 10 non è buttato lì a caso, ma piuttosto per sottolineare la sua vera natura, e, in fin dei conti, cosa altro non è se non un lupo vestito da agnellino? Lui ci viene mostrato per tutto il tempo come il più inutile e debole del triumvirato, quello che svolge le mansioni di commercio, e invece è proprio il più forte e l’artefice di tutto quel casino. Sempre continuando con Ooba, nella puntata finale assistiamo alla separazione della sua testa dal corpo, e quest’ultimo continua a muoversi in modo del tutto sconnesso. Di nuovo, non è perché hanno perso la testa gli scrittori, ma c’è qualcosa dietro, e magari potrebbe rappresentare il dualismo dell’essere umano. E’ la metafora che vede gli uomini al pari di animali: del resto combattiamo con i nostri simili per prevalere e, nel caso di Ooba, fisicamente. La testa in fin dei conti è l’aspetto razionale, mentre il corpo è l’istinto animalesco, ed ecco perché si separano e il corpo inizia a muoversi senza una ragione. Le digressioni di Ooba da meta-film sono troppo per la massa? Il finale però ci ha anche saputo regalare una splendida sequenza aerea con Yuka e Toshihiko, che ha sicuramente accontentato anche i fan del lato sentimentale di questa opera.
Anche la psicologia dei personaggi è curata. Ooba è uno degli antagonisti più incisivi di sempre, e dire unico è un eufemismo. Lui è così perverso, rivoltante, eccentrico, amorale ed egoista che difficilmente verrà dimenticato, ma allo stesso modo amato dai più. Ooba è un personaggio fuori dal tempo e dallo spazio, come viene dimostrato in maniera stupefacente nell’episodio 10, dove lui è ovunque nello stesso momento; un espediente che risulta altamente destabilizzante e rappresenta la perfetta sintesi di un assurdo personaggio. Del resto per lui i sentimenti sono solo reazioni chimiche, mentre non si può dire lo stesso per quei passionali di Toshihiko e Yuka, che ci assicurano il vero viaggio di cui siamo testimoni, due personaggi fantastici. La relazione tra Kazuma e Rie è più profonda di quanto si possa pensare, così come tutti i secondari sono il top... qualcuno ha detto la scimmia? Che poi anche la scimmia ha il suo perché. Essa può essere vista come la reincarnazione del padre di Toshihiko o, ancora, la portatrice della sua filosofia di vita, in quanto appare prima della sua morte, che è appunto opposta a quella di Ooba. Infatti per Ooba il più forte vince sempre, mentre per Toshihiko non è così; Toshihiko impara da suo padre e dalla scimmia che bisogna seguire il proprio volere. “Fa come credi”, più volte ripetuto, in modo tale da renderli entrambi personaggi calmi, giocosi e liberi.
Le opening di ogni episodio, non le sigle, sono in assoluto le cose più fuori di testa di questo titolo, che vedrei anche solo per i venti secondi iniziali di ogni episodio!
In conclusione, c’è molto altro da aggiungere e molto altro che deve essere ancora carpito dal sottoscritto, ma non ha veramente senso andare oltre in inutili parole. Questo anime va visto, va visto più volte.
L’anime inizia come una sorta di "Romeo e Giulietta" in chiave horror/comica, e già con una premessa del genere si può immaginare quanto atipico risulterà, ma ben presto l’anime cambierà totalmente, diventando “yuasiano”, l’unico aggettivo capace di descrivere le sue opere. Anzi, l’anime cambia dopo ogni episodio, come se tutto il cast fosse intrappolato in un ciclone e sbattuto da una parte all’altra della circonferenza, senza però mai uscire dal suo occhio. Infatti, nonostante ogni episodio sia diverso dagli altri, per regia, per fotografia, stile di animazioni e character design, il risultato non cambia... Il mood che pervade l’intera serie è sempre lo stesso (con i suoi eccessi verso la fine), ed è questa la cosa veramente incredibile, la capacità direttiva di Yuasa. Non c’è regista che può eguagliare il suo lato sperimentale, se non il miglior Kenji Nakamura - tra l’altro regista dell’episodio 10 -, e allo stesso modo avere una visione d’insieme così solida. Come dicevo, tra tanto sperimentalismo visivo e cripticità narrativa, “Kemono Zume” pone le sue basi su un mood cupo, ma allo stesso tempo rilassante e romantico, senza mai lasciare l’umorismo nero, il simbolismo e il kitsch più sfrenato.
La storia è semplice, ovvero facile da seguire, ma allo stesso tempo impossibile da decifrare a cervello spento, data la massiccia dose di metafore visive e scelte registiche che rendono la visione un vero e proprio trip allucinante; ovviamente, per far sì che questa miscela funzioni, hai bisogno di un comparto visivo non convenzionale. Il design e l’animazione sono così anticonvenzionali che limiteranno la visione a pochi, mentre la maggioranza marchierà questo come vera e propria schifezza, finendo col ‘dropparlo’. Ma qui non si tratta di soggettivismo, non si tratta semplicemente di dire quanto piaccia o meno l’animazione di “Kemono Zume”, ma di fermarsi un attimo e analizzarla come si deve e arrivare alla conclusione che è vera e propria arte. Per fare ciò ci sono delle regole, o meglio i dodici principi base dell’animazione, che non tutti sanno e che tutti dovrebbero sapere o almeno informarsi un po’ prima di condannare qualcosa. Questi principi rappresentano l’unità di misura con cui l’animazione deve confrontarsi per stabilire quanto sia buona; ovviamente, come tutto ciò che riguarda l’arte, la quantificazione è purtroppo sempre legata a fattori soggettivi, ma ciò non deve comunque risultare una scusa per l’assegnazione di voti random solo perché l’animazione è grezza, fatta di sketch, brutale e cruda; bisogna piuttosto attenersi almeno a un intervallo che gli spetta (nel senso che, se vale 10, puoi dargli 8, ma non 5, e viceversa). Senza sprecare troppe parole sull’analisi dei singoli punti, che si può ritrovare in rete, mi soffermerò su quelli dove “Kemono Zume” eccelle.
1) Squash and Stretch: è il concetto base che sta dietro l’animazione e che dovrebbe rispettare la condizione secondo cui solo le parti rigide dovrebbero rimanere inerti in un movimento, mentre tutte le altre subiscono una mutazione dovuta al movimento, e quindi la distribuzione del volume e della massa cambia a seconda del movimento che si vuole dare al soggetto. E’ ampiamente riconosciuto che questo punto viene spesso tralasciato nell’animazione giapponese in favore dello stupore visivo, ma poi un giorno venne “Ghost in the Shell” e mise tutti i puntini sulle i, svolgendo allo stesso tempo un lavoro di realismo e stupore visivo che rimane tuttora ineguagliato. E “Kemono Zume” ha sicuramente dalla sua questo punto.
9) Timing: è quella parte dedicata all’azione, alla velocità dell’azione. In altre parole, si deve prendere in considerazione la fisica e il movimento deve far sì che si obbedisca alle leggi della fisica. E come è possibile che “Kemono Zume”, essendo surreale e irrealistico, prenda in considerazione la fisica? E’ questo il punto cruciale, gli animatori sanno così bene i tempi base, che possono creare le proprie leggi; un po’ come succede per i videogiochi. Inoltre, citando Oshii, è importante scegliere inizialmente il grado di realismo ed essere coerente con esso.
10) Exaggeration: c’è anche da dire qualcosa su questo punto per quanto riguarda “Kemono Zume”? Suvvia.
Comunque sia, l’animazione in “Kemono Zume”, senza il vero chef, il regista, dietro, risulterebbe solo una minestra insipida. E’ dunque grazie alle scelte registiche che tutto ciò trova un senso, è la cura conferita in ogni singola inquadratura che dà dinamismo a ogni movimento dei personaggi, ogni angolo ha uno scopo ben preciso per imprimere, oltre al dinamismo, la carica emotiva giusta, ogni colore usato è studiato in base all’esigenza e in base a cosa sta accadendo.
E’ meglio soffermarci un attimo sul colore, poiché molti, credo, sanno che ai colori vengono anche associate le emozioni e in generale il mood di ciò che si sta vedendo. Non tutti i film sfruttano il colore, anzi sono pochi, ma sono ancora più rari quelli che sono un vero e proprio caleidoscopio (“Kemono Zume” lo è anche narrativamente). Validi esempi possono essere i gialli all’italiani di Bava (“I tre volti della Paura”, “Sei donne per l’assassino”) e Argento (“Suspiria”, “Inferno”) oppure “The Hourglass Sanatorium”, ecc. Allora ecco che tutto si tramuta in giallo quando siamo nel dojo, per rappresentare al meglio il senso di famigliarità proprio di un calore caldo come il giallo, in quanto il dojo è più una casa che un centro di allenamento. La bellissima scena sulla spiaggia nel primo episodio è tutta blu, proprio perché si vuole dare quel senso di serenità, calma e sicurezza che si apprestano ad avere i due protagonisti. Il rosso viene chiaramente usato nelle scene di sesso, in quelle brutali e splatter, perché è il colore della passione, del sangue e tante altre cose, così come tanti altri colori tingeranno lo schermo nel corso di questi tredici episodi.
Cosa manca per abbellire e unire questa meraviglia visiva? La musica. Partendo dalla sigla, una delle migliori mai ascoltate, arrivando a una colonna sonora strepitosa che varia dal jazz, poco usato negli anime, al blues. C’è un forte richiamo a Vangelis di “Blade Runner”, e quelle musiche sono veramente suggestive e d’atmosfera. Non c’è dubbio che Yuasa ne faccia un uso magistrale, in quanto la stessa canzone viene usata anche in due momenti totalmente diversi, rilassanti e caotici, e garantisce lo stesso effetto.
Anche il montaggio è eccezionale, con raccordi sempre giusti; come dimenticare l’attraversamento del treno con tanto di chiusura delle porte nell’episodio 3? Tra l’altro è una scena veramente comica, poiché anche gli inseguitori hanno il tempo di fermarsi e chiudere la porta dietro di loro! Altri momenti come questi si possono ritrovare durante lo scambio dei segni, quando appare per la prima volta il gigante, la scena di lotta sulla sedia, la parodia di Kenshiro e in generale ogni volta che appare la scimmia.
Poi però si alternano episodi di una tristezza unica come il 9, dove assistiamo pure a una delle scene più pacate e belle dell’anime, ovvero il cielo riflesso sull’acqua. Yuasa e il suo team danno veramente lezioni di regia, ma sono gli episodi 10 (diretto da Kenji Nakamura), 12 (apoteosi visiva) e 13 (quello più surreale) ad essere il top dello sperimentalismo. Tutta la scena sulla palla gigante nel finale è da antologia per il connubio tra movimenti di macchina, a seguire il movimento impossibile dei personaggi garantito dall’animazione, e la cura delle inquadrature da angoli più disparati e impensabili.
L’anime cambia marcia nella seconda metà, risultando ancora più fuori dagli schemi e pieno di simbolismi. E questa è anche la parte più odiata da tutti, poiché il gore e il kitsch si innalzano, ma molte cose hanno un senso, e non troppo difficile da interpretare. Per esempio, il travestimento di Ooba da coniglio nell’episodio 10 non è buttato lì a caso, ma piuttosto per sottolineare la sua vera natura, e, in fin dei conti, cosa altro non è se non un lupo vestito da agnellino? Lui ci viene mostrato per tutto il tempo come il più inutile e debole del triumvirato, quello che svolge le mansioni di commercio, e invece è proprio il più forte e l’artefice di tutto quel casino. Sempre continuando con Ooba, nella puntata finale assistiamo alla separazione della sua testa dal corpo, e quest’ultimo continua a muoversi in modo del tutto sconnesso. Di nuovo, non è perché hanno perso la testa gli scrittori, ma c’è qualcosa dietro, e magari potrebbe rappresentare il dualismo dell’essere umano. E’ la metafora che vede gli uomini al pari di animali: del resto combattiamo con i nostri simili per prevalere e, nel caso di Ooba, fisicamente. La testa in fin dei conti è l’aspetto razionale, mentre il corpo è l’istinto animalesco, ed ecco perché si separano e il corpo inizia a muoversi senza una ragione. Le digressioni di Ooba da meta-film sono troppo per la massa? Il finale però ci ha anche saputo regalare una splendida sequenza aerea con Yuka e Toshihiko, che ha sicuramente accontentato anche i fan del lato sentimentale di questa opera.
Anche la psicologia dei personaggi è curata. Ooba è uno degli antagonisti più incisivi di sempre, e dire unico è un eufemismo. Lui è così perverso, rivoltante, eccentrico, amorale ed egoista che difficilmente verrà dimenticato, ma allo stesso modo amato dai più. Ooba è un personaggio fuori dal tempo e dallo spazio, come viene dimostrato in maniera stupefacente nell’episodio 10, dove lui è ovunque nello stesso momento; un espediente che risulta altamente destabilizzante e rappresenta la perfetta sintesi di un assurdo personaggio. Del resto per lui i sentimenti sono solo reazioni chimiche, mentre non si può dire lo stesso per quei passionali di Toshihiko e Yuka, che ci assicurano il vero viaggio di cui siamo testimoni, due personaggi fantastici. La relazione tra Kazuma e Rie è più profonda di quanto si possa pensare, così come tutti i secondari sono il top... qualcuno ha detto la scimmia? Che poi anche la scimmia ha il suo perché. Essa può essere vista come la reincarnazione del padre di Toshihiko o, ancora, la portatrice della sua filosofia di vita, in quanto appare prima della sua morte, che è appunto opposta a quella di Ooba. Infatti per Ooba il più forte vince sempre, mentre per Toshihiko non è così; Toshihiko impara da suo padre e dalla scimmia che bisogna seguire il proprio volere. “Fa come credi”, più volte ripetuto, in modo tale da renderli entrambi personaggi calmi, giocosi e liberi.
Le opening di ogni episodio, non le sigle, sono in assoluto le cose più fuori di testa di questo titolo, che vedrei anche solo per i venti secondi iniziali di ogni episodio!
In conclusione, c’è molto altro da aggiungere e molto altro che deve essere ancora carpito dal sottoscritto, ma non ha veramente senso andare oltre in inutili parole. Questo anime va visto, va visto più volte.