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Limitato nelle idee, limitato nei mezzi, limitato nella realizzazione.

C'è davvero poco di salvabile in un'opera come “Planetarian”. Se la stagione estiva dagli amanti di casa Key verrà ricordata per l'abbondanza (ben due serie: questo corto “Planetarian” e l'opera di lunghezza standard “Rewrite”), di certo non ci saranno plausi alla qualità generale.
E il motivo è semplicissimo: quest'opera è chiaramente insufficiente. Anzi: quest'opera è deliberatamente insufficiente.

Ciò che abbiamo davanti è un anime di ambientazione post-apocalittica: Kazuya, un riciclatore che visita le rovine di una città per cercare qualcosa di utile, si imbatte nel robot Yumemi durante l'esplorazione. La “ragazza”, riattivatasi con l'ultimo picco di energia arrivato in città, non era altro che il cicerone adibito all'intrattenimento degli ospiti durante il funzionamento del planetario cittadino, e che tenta in tutti i modi di riprendere la sua programmazione in mezzo alla devastazione. È attorno a queste due diversissime personalità che l'opera ruota, o meglio che cerca di ruotare, ma già questo rappresenta il primo scoglio contro cui ci si scontra: giocare con un cast estremamente parco presenta dei limiti diametralmente opposti a quelli di chi utilizza cast ampissimo, cionondimeno i rischi sono del medesimo livello.
Ci si aspetterebbe, infatti, che i due personaggi vengano caratterizzati estremamente bene, ma purtroppo qui ci si imbatte nel primo difetto: all'infuori di qualche flashback (anche ridondante), l'approfondimento è quasi nullo. E anche la psicologia non è da meno: da un lato vi è Yumemi, un robot con dei limiti intrinseci nella comprensione della situazione complessa in cui si trova (e che stordirà chiunque a suon di “gentile cliente”), e al suo fianco troviamo Kazuya, individuo dalla personalità piuttosto piatta che si lascia trascinare dalla storia senza fiatare.
Purtroppo nessuno dei due funziona al meglio, e il risultato finale di tale comparto sfocia in una robottina petulante (quando sarebbe dovuta essere la colonna portante dell'opera) e in un individuo oltremodo passivo e ininfluente.

Ma il difetto più grosso è nella sceneggiatura. Se l'idea in sé poteva funzionare (personaggi permettendo), la sua realizzazione ha un che di disastroso. Per prima cosa lo scenario post-apocalittico è palesemente sotto-sfruttato: lo stato in cui il mondo si ritrova verrà liquidato in poche parole e, paradossalmente, genera quasi la sensazione che sia stato messo lì solo per far incontrare i due. Ovviamente non è così, ma la troppa leggerezza con cui è utilizzato potrebbe farlo pensare.
Ma forse la criticità più grave è nel come viene sviluppato il loro rapporto: Yumemi è, in potenza, una sorta di “simulacro culturale”, un oggetto senziente che testimonia i fasti della civiltà al massimo splendore. E tutto questo viene sfruttato con degli accadimenti triviali e dei siparietti che rendono gran parte dell'opera oltremodo pesante e di difficile visione (e la piuttosto anonima regia non è di nessun aiuto). Purtroppo, la mancanza di avvenimenti importanti, all'infuori delle ultime battute, è una costante dell'anime, che rischia seriamente di far addormentare chiunque non sia un fan sfegatato dei soliti topoi Key.
E, a proposito di tali topoi, non posso certo esimermi dallo spendere qualche parola sul finale: vedendo il quinto e ultimo episodio, è difficile non pensare che i quattro precedenti non siano stati tirati per le orecchie al fine di imbastire quest'ultimo momento, che non è altro che il solito e stucchevole dramma abbastanza inverosimile. Ma, oltre a questo, si aggiunge anche la sua pessima struttura narrativa, che lo rende un misto di staticità e verbosità, unito alla classica deriva drammatica appena citata. A chi piace il dramma alla buona quest'epilogo potrebbe andare bene, ma a tutti gli altri non potranno non pesare tutte le problematiche derivate dalla procrastinazione di qualcosa che, molto probabilmente, era già intuibile prima della fine.

Come già accennato, l'opera in questione è caratterizzata da soli cinque episodi, ed è stata realizzata con un comparto tecnico che non brilla particolarmente. Vi è da dire però che non è nemmeno pessimo, se consideriamo che questa è una produzione web (peccato per la sigla finale, la cui musica è abbastanza scialba e la coreografia fuori luogo). Se ci si chiede se cinque episodi sono sufficienti per quest'opera, la risposta può essere duplice: nel caso di sfruttamento completo degli elementi introdotti e di costruzione sapiente, forse cinque puntate avrebbero potuto rappresentare un limite per difetto.
Ma, alla luce di ciò che abbiamo in quest'anime, probabilmente sarebbero bastate un paio di puntate.

“Planetarian” ha un soggetto mal sfruttato; una realizzazione dei personaggi e una regia caratterizzati da eccessiva sufficienza; e una sceneggiatura incapace di reggere le parti iniziali e quella centrale, rivelandosi un lungo e traballante ponte per il finale.

Non so se il film sequel, previsto per il 2016, migliorerà il brand, ma per ora il tutto è decisamente insufficiente.