logo GamerClick.it

-

“La canzone del mare” (titolo originale “Song of the Sea”) è un lungometraggio animato di produzione internazionale europea del 2014. Diretto da Tomm Moore e uscito nelle sale italiane con due anni di ritardo, è stato candidato all’Oscar per il miglior film d’animazione nell’annata 2015.

Trama: il piccolo Ben, che vive con i genitori e il cane Cù in un faro di cui il padre è custode, è rimasto orfano di madre il giorno stesso in cui è venuta al mondo la sua sorellina, la cui nascita era attesa con trepidazione ed entusiasmo. Sei anni dopo, la bambina, Saoirse, è ancora incapace di parlare e non sembra essere mai riuscita ad aprire una breccia nel cuore del fratello maggiore, che le si rivolge frequentemente con toni aspri e insofferenti, mentre il papà dei due è ancora visibilmente provato dall’allontanamento della moglie.
In seguito a un apparente incidente in mare, la nonna dei ragazzini decide di portarli con sé in città, allontanandoli da quello che ritiene un ambiente poco sicuro, ed è proprio qui che, paradossalmente, Ben e Saoirse si ritrovano immersi in una realtà magica, in cui è il folklore celtico (e soprattutto irlandese) a farla da padrone.

“La canzone del mare” è una fiaba moderna che riesce ad essere al contempo delicata e straordinariamente intensa, facendo affidamento a un mondo fantastico che, sebbene tangibile quanto quello reale, funge da allegoria per quest’ultimo, introducendo e spiegando concetti direttamente collegati alla difficile situazione famigliare di Ben e Saoirse tramite continui rimandi, visivi e narrativi, ai personaggi mitologici (ben noti ai protagonisti) e alle loro storie. L’intreccio semplice e i personaggi non particolarmente complessi ma terribilmente umani nulla tolgono alla forza del racconto, che fin dalle prime battute avvolge lo spettatore in un piacevole tepore affettivo, senza però sminuire la carica emotiva delle scene più toccanti e drammatiche.
Il cast, con le sue motivazioni ed esperienze, risulta affascinante e concreto, e bastano pochi dialoghi per afferrare i traumi del passato e le speranze per il futuro di ognuno, sia per quanto riguarda i personaggi principali che quelli secondari, a cui è impossibile non rivolgere sguardi colmi di comprensione e tristezza. L’ostilità di Ben nei confronti della dolce Saoirse è irrazionale e lo rende potenzialmente antipatico e insopportabile, almeno finché non si prendono in considerazione la sua giovanissima età e l’associazione tra la sparizione dell’amata madre e la nascita della sorellina. Lo stesso dicasi per la nonna, una figura quasi dispotica e crudele apparentemente intenzionata a distruggere un già fragile nucleo famigliare, ma in realtà semplicemente in apprensione per un figlio che non ha mai superato il dolore per la perdita della compagna e per dei nipoti cresciuti quasi in isolamento e con problemi comportamentali.
Si configura così una storia in cui non vi sono dei veri e propri antagonisti, quanto piuttosto situazioni conflittuali dovute a una reazione non salutare alla sofferenza, a un adagiarsi nella disperazione, al totale diniego dei ricordi infelici per confinarsi in un’illusoria pace priva di sentimenti e turbamenti di alcuna sorta. La bellezza della pellicola emerge proprio in un messaggio positivo, in un’accettazione della vita nella sua interezza, con i suoi dispiaceri e i momenti più allegri, poiché ignorare il malessere interiore è un atteggiamento miope con pericolose conseguenze di deumanizzazione, mentre l’abbandono passivo a un presente deprimente e cupo mortifica le persone care.

Il comparto grafico assume un ruolo di primo piano all’interno del lungometraggio, cui dona uno stile unico e inconfondibile, e accompagna mirabilmente gli sviluppi narrativi, assumendo tonalità cromatiche che vanno dallo spento al brillante a seconda delle circostanze. La prospettiva realistica viene messa da parte in favore di una percezione bidimensionale degli sfondi, a metà tra le incisioni dei manoscritti medievali e i libri pop-up, che si manifestano come semplici ma non privi di dettagli. Lo stesso character design presenta particolari spigolosi, ma non diviene mai duro e tagliente, rivelandosi invece morbido e tenero, perfetto per delle animazioni fluide.
Considerato il titolo, fin dal prologo “La canzone del mare” esprime un legame indissolubile con la musica, che riveste un ruolo fondamentale all’interno della vicenda stessa, in un misto di brani diegetici ed extra-diegetici. La colonna sonora, eseguita perlopiù con strumenti tradizionali, è discretamente versatile e include pezzi ritmati e vivaci e altri più solenni e mistici, restando per la maggior parte del tempo di una commovente bellezza. Molto buono anche il doppiaggio italiano.

In conclusione, “La canzone del mare” è un piccolo capolavoro, un’incantevole opera di splendida sartoria cinematografica dotata di profonda creatività visiva e umanità, in cui l’introspezione psicologica non spettacolare è compensata, come in alcuni dei lavori del maestro Miyazaki, dalle interpretazioni e dalle reazioni emotive dei protagonisti, credibili e capaci di smuovere le corde del più arido degli animi.
Si tratta di una pellicola magica e graziosa, coinvolgente e trascinante, un autentico film per tutta la famiglia, con tutte le implicazioni positive del termine.