Recensione
Homunculus
7.0/10
Il sensei Yamamoto pare un mangaka che sa il fatto suo. Già autore dell'altrettanto famoso «Ichi The Killer» (parentesi: non l'ho mai letto), l'autore spicca particolarmente grazie alle peculiarità delle sue opere: personaggi folli, dialoghi assurdi, eventi sconvolgenti - spesso e volentieri disgustosi - e storie che riescono a stupirti, nel bene e nel male, una pagina dopo l'altra. È quell'autore che si posiziona, a mio avviso, nel limbo dell'«artista»: a metà tra il genio e il folle. Per me, che sono stato fin troppo colpito da questa storia, rimarrà in quel limbo, e non me la sento di scegliere tra una delle due opzioni.
«Homunculus» è un viaggio nella disperazione, nella povertà, nella crescita, nella paura e nell'evoluzione del protagonista. Il manga tratta di Nakoshi, un senzatetto che vive - letteralmente - nella propria auto. Un giorno, un ragazzo gli proporrà di fargli da cavia per un esperimento, che consiste nel praticare una sottile trapanazione sul cranio, al fine (si suppone) di risvegliare un sesto senso. Nello stesso primo volume, Nakoshi accetterà la proposta, e il mondo intorno a lui inizierà a cambiare.
Una storia tanto interessante, coinvolgente e ben disegnata pare impossibile da non apprezzare, e in effetti è così: non è un caso che, una volta provato a vendere questo manga, io ci sia riuscito in tempo zero. Le tavole del sensei Yamamoto sono magnifiche, e ci accompagnano lungo un viaggio ai limiti della realtà e della pazzia; della psicosi, dei drammi e di un milione di ragionamenti e fantasie. Non è un caso, infatti, che la trama stessa cambi ogni due per tre. Ogni volta pensi di aver capito di cosa voglia parlare «Homunculus», poi leggi un dialogo di troppo e arrivi a tutt'altra conclusione; poi ne esce una terza interpretazione, torni a rivalutare le prime due, e via discorrendo. Il manga si propone di attraversare la psicologia umana sotto i suoi aspetti più oscuri: la paura, i traumi, la sessualità, il significato di un'emozione, la causa di un pensiero; fino al punto in cui giungi alla conclusione che questo mondo sia un totale macello composto da un mare di incomprensioni e di taboo. Il tutto, progettato [e mostrato] a regola d'arte.
Io, però, ho un'altra idea di manga. Per me, che potrei non essere il lettore più maturo del pubblico, un manga deve narrarti qualcosa con una finalità. Sì, deve farti interrogare, scervellare, impazzire; poi, però, una risposta, o quantomeno una chiave di lettura, te la deve dare. L'impressione che ho avuto, durante la lettura di Homunculus, è che la risposta non ci fosse, oppure che ci fosse, e che questa sia stata qualcosa tipo: "Eh, sai, una risposta vera e propria non esiste". In entrambi i casi, io, il messaggio finale, che ci fosse o meno, non l'ho condiviso. La lettura di «Homunculus», chiariamoci, è una signora esperienza. Anche nel caso in cui non piaccia per niente, «Homunculus» ti segna, tant'è che se tutti lo definiscono un capolavoro un motivo c'è. Tuttavia, non è per tutti.
Se siete [neanche troppo] facilmente impressionabili; se il sangue - che poi è proprio l'ultimo dei problemi di questo manga - non vi fa impazzire; se avete un'idea precisa e se non volete viaggiare ai limiti della follia, con dei personaggi che, a una certa, potrebbero darvi l'impressione di essere tutti matti da legare; se non vi sta bene arrivare a un certo punto della lettura e leggere qualcosa che vi porti a dire "Vuoi vedere che finora non ho assistito ad altro che deliri su deliri di quattro pazzi furiosi?"; se cercate un'avventura che vi faccia sognare, e non una che dia priorità a una psicanalisi basata sulle dell'autore, allora badate bene: questo manga, potreste anche non acquistarlo. Potreste farlo un domani, quando ve la sentirete, e avrete voglia di assistere a un'avventura, piuttosto che prendervi parte. La mia impressione, che l'ho letto quando avevo (se non erro) sedici anni, è stata che io, al mondo descritto, non appartenessi affatto, e tuttora rimango di quest'idea.
In conclusione: «Homunculus» è arte, e l'arte può piacere come può non farlo. Il mio parere è che questo manga vada suggerito esclusivamente a un pubblico maturo, fermo restando che «Homunculus» è [e rimane] un signor manga.
«Homunculus» è un viaggio nella disperazione, nella povertà, nella crescita, nella paura e nell'evoluzione del protagonista. Il manga tratta di Nakoshi, un senzatetto che vive - letteralmente - nella propria auto. Un giorno, un ragazzo gli proporrà di fargli da cavia per un esperimento, che consiste nel praticare una sottile trapanazione sul cranio, al fine (si suppone) di risvegliare un sesto senso. Nello stesso primo volume, Nakoshi accetterà la proposta, e il mondo intorno a lui inizierà a cambiare.
Una storia tanto interessante, coinvolgente e ben disegnata pare impossibile da non apprezzare, e in effetti è così: non è un caso che, una volta provato a vendere questo manga, io ci sia riuscito in tempo zero. Le tavole del sensei Yamamoto sono magnifiche, e ci accompagnano lungo un viaggio ai limiti della realtà e della pazzia; della psicosi, dei drammi e di un milione di ragionamenti e fantasie. Non è un caso, infatti, che la trama stessa cambi ogni due per tre. Ogni volta pensi di aver capito di cosa voglia parlare «Homunculus», poi leggi un dialogo di troppo e arrivi a tutt'altra conclusione; poi ne esce una terza interpretazione, torni a rivalutare le prime due, e via discorrendo. Il manga si propone di attraversare la psicologia umana sotto i suoi aspetti più oscuri: la paura, i traumi, la sessualità, il significato di un'emozione, la causa di un pensiero; fino al punto in cui giungi alla conclusione che questo mondo sia un totale macello composto da un mare di incomprensioni e di taboo. Il tutto, progettato [e mostrato] a regola d'arte.
Io, però, ho un'altra idea di manga. Per me, che potrei non essere il lettore più maturo del pubblico, un manga deve narrarti qualcosa con una finalità. Sì, deve farti interrogare, scervellare, impazzire; poi, però, una risposta, o quantomeno una chiave di lettura, te la deve dare. L'impressione che ho avuto, durante la lettura di Homunculus, è che la risposta non ci fosse, oppure che ci fosse, e che questa sia stata qualcosa tipo: "Eh, sai, una risposta vera e propria non esiste". In entrambi i casi, io, il messaggio finale, che ci fosse o meno, non l'ho condiviso. La lettura di «Homunculus», chiariamoci, è una signora esperienza. Anche nel caso in cui non piaccia per niente, «Homunculus» ti segna, tant'è che se tutti lo definiscono un capolavoro un motivo c'è. Tuttavia, non è per tutti.
Se siete [neanche troppo] facilmente impressionabili; se il sangue - che poi è proprio l'ultimo dei problemi di questo manga - non vi fa impazzire; se avete un'idea precisa e se non volete viaggiare ai limiti della follia, con dei personaggi che, a una certa, potrebbero darvi l'impressione di essere tutti matti da legare; se non vi sta bene arrivare a un certo punto della lettura e leggere qualcosa che vi porti a dire "Vuoi vedere che finora non ho assistito ad altro che deliri su deliri di quattro pazzi furiosi?"; se cercate un'avventura che vi faccia sognare, e non una che dia priorità a una psicanalisi basata sulle dell'autore, allora badate bene: questo manga, potreste anche non acquistarlo. Potreste farlo un domani, quando ve la sentirete, e avrete voglia di assistere a un'avventura, piuttosto che prendervi parte. La mia impressione, che l'ho letto quando avevo (se non erro) sedici anni, è stata che io, al mondo descritto, non appartenessi affatto, e tuttora rimango di quest'idea.
In conclusione: «Homunculus» è arte, e l'arte può piacere come può non farlo. Il mio parere è che questo manga vada suggerito esclusivamente a un pubblico maturo, fermo restando che «Homunculus» è [e rimane] un signor manga.