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“E così sei diventato daimyo? Che storia divertente” - Sayo
“Non è per niente divertente” - Koshiro

Koshiro, interpretato dal camaleontico Ryunosuke Kamiki, mente. Mente sapendo di mentire.
Ci troviamo nel Giappone del 1840 e il piccolissimo Koshiro si diletta al mercato a vendere il salmone salato che, con amore e dedizione, il padre, pescatore povero ma soddisfatto, prepara tutti i giorni. A quando pare questo salmone è il migliore di tutto il Giappone. Così Koshiro cresce fino a diventare un giovane adulto esperto nell’arte del commercio e dei conti, generoso, altruista e gioioso di vivere. Un giorno però alla porta della sua modesta casa bussano gli ufficiali del daimyo Ikkosai, rivelando il segreto che gli cambierà la vita: Koshiro infatti non è altro che il quarto figlio del daimyo stesso, richiamato a corte per prendere in mano le redini del feudo dopo che il suo vero padre a deciso di ritirarsi dal comando.
La storia, come dice Sayo, amica di infanzia di Koshiro, interpretata dalla solare e risoluta Hana Sugisaki, è assai divertente. Benché il giovane signore si ritrovi sommerso dai debiti e per questo rischi la sua preziosa vita, la narrazione risulta divertente, scanzonata, grottesca e esilarante. Nonostante le avversità che deve affrontare, per evitare di fare harakiri per ripagare il debito, Koshiro non si perde mai d’animo e grazie all’aiuto dei fratelli e delle persone che presto gli si affezionano, notando in lui le vere caratteristiche di un comandante moderno e capace, riuscirà a risolvere tutti i guai che gli sono capitati addosso e anche a smascherare una cospirazione.
Molti volti si affiancano a quelli del giovane signore e tutti brillano di luce propria. La risoluta interpretazione di Kōichi Satō nei panni di Ikkosai, lo svampito Shinjiro Matsudaira, primo fratello di Kenshiro, i cui panni sono rivestiti da Ken'ichi Matsuyama (se non avesse avuto quel moccolo...), Dori Sakurada che ricopre il ruolo di Kisaburo Matsudaira, il cagionevole e poetico fratello minore, e il mitico Kisaburo Matsudaira che ritroviamo qui nel ruolo di un fedele doppiogiochista (fino a un certo punto). Ma questo non è che un banale elenco di quei visi che forse hanno un leggero minutaggio in più rispetto ad altri che si avvicendano nella storia che dura due ore piene.
I film in costume d’epoca hanno sempre un certo fascino per me, tanto più se ambientati in un Giappone feudatario, dove kimono, katane e tatami la fanno da padrone. Ma in questa pellicola non si può fare a meno di notare e apprezzare in particolare modo proprio i costumi di scena scelti per i personaggi: tutti sono sgargianti, colorati ed eccessivi. Sottolineando il tema di cui si fa portavoce il film: la vita è bella e colorata, vale la pena impegnarsi per tenersela stretta, anche se sei stato incastrato e invischiato in un complotto. Anche le musiche risultano altrettanto colorite, marcate, incisive e sopra le righe, anche qui grottesche: adatte per strappare un sorriso in più allo spettatore. La regia si diletta con riprese velocizzate, fermi-immagini e slow-motion, la sceneggiatura la accompagna in queste bizzarrie che rendono tutto assai comico.
Il film si presenta quindi come una produzione divertente, ma che nasconde un trama per nulla leggera. La maestria di tutte le forze in campo, dagli attori allo staff del dietro le quinte, sta nel far divertire lo spettatore nonostante le preoccupazioni che affliggono il protagonista, alle prese con il salvare la vita sua e del feudo.