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"La prima cosa nella vita è saper cogliere un'occasione. La seconda capire quando lasciarla perdere." (B. Disraeli)

Ho iniziato la visione di «Say: "I Love You"» mosso da una certa aspettativa, avvalorata dalla recensione positiva (ma - preciso - non entusiasta) di un amico di AnimeClick.it e, al termine della visione, mi sono letteralmente pentito di essere arrivato fino in fondo, in coerenza con la frase con cui ho aperto questa recensione.
In realtà, la frase sarebbe ben applicabile anche ai protagonisti di una storia d'amore tra le più forzate che mi sia capitato di vedere in un anime. Mi spiego meglio: se a «Say: "I Love You"» avessero attribuito una connotazione più leggera con marcate venature comiche e demenziali, probabilmente l'inverosimiglianza della trama sarebbe stata accettabile agli occhi di uno spettatore come me, che apprezza le storie romantiche e shoujo, ma che è poco incline a vedere una specie di telenovela di stampo sudamericano in cui la trama salta come una cavalletta in un prato per sfuggire alla cattura.

Se l'incipit non impressiona per originalità (il più bello della scuola si innamora della ragazza più timida, complessata e sociopatica dello stesso istituto, sebbene l'innamoramento avvenga in modo "originale": un calcio che la ragazza voleva assestare al compagno di classe molesto colpisce il bellissimo Yamato... sigh!), lo svolgimento mi ha irritato parecchio: cliché a palate e una sequela di difficoltà per la neonata coppia costituite da ragazze che ambiscono a prendere il posto della imbranata protagonista Mei al fianco dell'adone tanto bello quanto vacuo di personalità.
E il bello che tutte le ragazze "antagoniste" della coppia si prodigano a porre in essere ogni tipo di bassezza, pur di conquistarlo: i soliti trucchetti basati in principal modo sulla delazione, per passare poi al bullismo, e infine ai più subdoli tentativi di irretire il protagonista, cercando di convincerlo a mollare la povera Mei, che subisce in silenzio, incapace di esternare anche la sia pur minima reazione, se non pungolata dalle solite amiche che si rattristano e preoccupano nel vederla affranta.

Qualcuno potrebbe opinare: è una delle principali caratteristiche di un'opera shoujo. Posso replicare che l'obiezione in astratto sarebbe valida, ma la trama non sta in piedi per l'assurdità dei due protagonisti e del loro background.
A questo punto rischierei di 'spoilerare' la storia. Questo anime in realtà sfrutta una storia inverosimile per dimostrare che esistono molti punti in comune tra coloro che sono "popolari" e coloro che non lo sono, che ognuno ha le sue "cicatrici", fobie, paranoie, problemi e che anche coloro che avrebbero tutto per essere felici in realtà mascherano debolezze, insicurezze, solo per compiacere qualcuno o trovare una propria identità in un mondo adolescenziale come quello nipponico, che fa dell'omologazione, delle regole/convenzioni e del loro rispetto il tantra inconfutabile.

Purtroppo, il modo con cui «Say: "I Love You"» ambirebbe a veicolare la storia "perfetta" di redenzione di una coppia che assurgerebbe a modello anche per coloro che la circonda è francamente stucchevole, eccessiva, al limite dell'offensivo per la capacità di comprensione critica dello spettatore.
Mi limito solo a tratteggiare un aspetto del "bello e impossibile", che va senza tante remore a letto con una ragazza solo perché la vede in difficoltà, e quest'ultima glielo chiede espressamente, nell'apoteosi della gentilezza e nobiltà d'animo.
Mentre Mei, che non ha mai avuto nessuno che si interessasse a lei, viene forzata ad amare Yamato solo perché quest'ultimo si fissa al punto da sembrare uno stalker, concedendosi anche molte libertà di azione nei baci rubati iniziali con molta nonchalance... E il tutto avviene piuttosto celermente nei due episodi iniziali, facendo passare Mei, ragazza quadrata e di principi ferrei e condivisibili, capace di soprassedere a molte provocazioni e a rispondere sempre in modo appropriato e maturo, come una bambina incapace di fare i conti con sentimenti e sensazioni mai provati, e diventare una sorta di copia speculare della controparte maschile.

Ci si può infervorare per una storia senza capo né coda (tralascio per pietà ogni considerazione seria sul tredicesimo episodio) che vorrebbe anche trasmettere una sorta di morale e significato di speranza per un mondo di adolescenti in apparenza aridi, immaturi e vittime di sé stessi con un buonismo fastidioso?
Io non ci sono riuscito, nemmeno sforzandomi di arrivare fino al termine della serie, che poi ha dato il colpo di grazia al castello di sabbia costruito male e con tanta fatica.