Recensione
Tokyo Scanner
8.0/10
Partiamo da lontano, dal mare, sorvolando una superstrada che “affonda” in una nave/struttura, e quello che si ci para di fronte è una megalopoli sterminata, che abbraccia tutto l’orizzonte; un caos di forme accalcate e incomprensibili, se volete. “Entriamo dentro questa gestalt” sembra dire la telecamera, “vediamo di smontare pezzo pezzo questo organismo artificiale immenso”. Zoommate e allontanamenti di campo giocano con le proporzioni e con le prospettive; il mirino (quasi l’occhio di un alieno che investiga, o di un bambino curioso) inquadra qualcosa, la ingrandisce, l’analizza velocemente, ne ascolta il suono, poi si allontana e scappa verso qualcos’altro. Ma c’è un percorso dietro – in realtà in basso a sinistra – e c’è uno studio che va al di là di un semplice documentario o del mero esperimento. Tokyo è un organismo, appunto, e per quanto affascinanti le panoramiche e per quanto breve la durata (20 minuti) Tokyo Scanner dice molto più di quanto non direbbe una semplice sorvolata contemplativa. Sotto la supervisione di Oshii, Hirohaki Matsu si immerge dentro la megalopoli, la seziona – con tra l’altro un uso divertentissimo della CG – e ne esce con la consapevolezza di un ricercatore che abbia guardato dentro un microscopio. C’è una macrostruttura, ci sono diverse strutture intermedie, ci sono componenti sempre più piccole dentro questa tessitura urbana apparentemente compatta, fino ad arrivare alle cellule – alle persone che vi vivono.
Questo è uno dei pensieri che nascono da questa visione che per chiunque sia affascinato di tecnologia, di fantascienza, di oriente, o di tutti e tre, è qualcosa di consigliatissimo. Una megalopoli che in alcune inquadrature quasi satellitari sembra costituita da componenti elettroniche e da disegni su una scheda circuitata (per usare una metafora di Gibson), mentre poi ci si ritrova per quartieri tradizionali e templi e parchi, prima di ritornare fra ambienti futuristici e grattacieli mozzafiato, saltellando fra Shibuya, Rapponigi o Shinjuku, in zone più o meno note, sempre comunque magnetiche. Un volo d’uccello (d’elicottero) su un cosmo sfaccettato e caleidoscopico, accompagnati da una scelta (effettuata da Kuniaki Haishima) di musiche davvero degne di nota, che dall’idea di una colonna sonora di un film passano all’elettronico divertentissimo e ad arie più soavi o riflessive, per poi ripartire con un’altra scannerizzazione; fino all’ultimo edificio che forse è il logo di Tokyo, la Torre di Tokyo, e poi l’atterraggio finale, dove la luce limpidissima del giorno lascia posto alla sera.
A questo punto c’è da aspettarsi un Tokyo Scanner 2, con una visione della Tokyo by night. Sarebbe sicuramente graditissimo, come lo è stato questa opera breve e significativa.
Questo è uno dei pensieri che nascono da questa visione che per chiunque sia affascinato di tecnologia, di fantascienza, di oriente, o di tutti e tre, è qualcosa di consigliatissimo. Una megalopoli che in alcune inquadrature quasi satellitari sembra costituita da componenti elettroniche e da disegni su una scheda circuitata (per usare una metafora di Gibson), mentre poi ci si ritrova per quartieri tradizionali e templi e parchi, prima di ritornare fra ambienti futuristici e grattacieli mozzafiato, saltellando fra Shibuya, Rapponigi o Shinjuku, in zone più o meno note, sempre comunque magnetiche. Un volo d’uccello (d’elicottero) su un cosmo sfaccettato e caleidoscopico, accompagnati da una scelta (effettuata da Kuniaki Haishima) di musiche davvero degne di nota, che dall’idea di una colonna sonora di un film passano all’elettronico divertentissimo e ad arie più soavi o riflessive, per poi ripartire con un’altra scannerizzazione; fino all’ultimo edificio che forse è il logo di Tokyo, la Torre di Tokyo, e poi l’atterraggio finale, dove la luce limpidissima del giorno lascia posto alla sera.
A questo punto c’è da aspettarsi un Tokyo Scanner 2, con una visione della Tokyo by night. Sarebbe sicuramente graditissimo, come lo è stato questa opera breve e significativa.