Con Wipeout (1995) abbiamo provato per la prima volta e veramente la sensazione di eludere la gravità, con navicelle sfreccianti a velocità inaudita, molto più di un F-Zero (1990) e la su Mode7, che per quanto esperienza corsistica appagante, non contemplava il sollevamento dal terreno del veicolo, “schiacciato” sulla pista in ogni manovra senza possibilità di levitazione. In Wipeout si parte al traguardo fluttuando a pochi metri da terra ma ecco che al primo dosso o ad una curva presa in velocità, la fisica di gioco mostra tutta la progressione in fatto di gravità, con un raffinato sistema di controllo che necessita un padroneggiamento della stessa. La gravità diventa quindi progressivamente un elemento di game design che noi possiamo sfruttare a nostro vantaggio, di pari passo con l’evoluzione videoludica, principio portato poi all’estremo con Half Life e Ratchet & Clank, con cui è stato possibile sollevare da terra oggetti e scagliarli contro il nemico con l’utilizzo della Gravity Gun, fino a menzionare l’FPS Pray (2006), che comprendeva alcune sezioni con gravità variabile con possibilità di camminare su muri e soffitti.
E si arriva a Gravity Rush, dove la forza di gravità assurge a ruolo di protagonista assoluta del gameplay, nelle fasi di esplorazione come in quelle d’azione; un progetto nato nel 2008 e inizialmente destinato alla PS3 con il titolo “Gravité”, ma che frullava nella mente di Keiichiro Toyama da diverso tempo, ispirato da alcune graphic novel di Moebius. E a guardare c’è molto del grande artista francese in Gravity Daze (così come è conosciuto in Giappone) in questa bellissima città fluttuante, divisa in sezioni ognuna con il suo colore dominante (giallo, viola, verde..) a ricoprire il cielo, andando a creare un affresco fumettistico di grande fascino grazie ad un adeguato quanto sapiente utilizzo della grafica in cell-shading.
Keiichiro Toyama è forse il primo importante caso di “fuga di creativi” che da qualche tempo colpisce i grandi publisher nipponici; Toyama lascia Konami nel 1999 dopo aver concepito Silent Hill, anticipando di molti anni ciò che faranno altre figure di spicco dell’azienda come Koji Igarashi e Hideo Kojima. Approdato in Sony, dà vita con alcuni suoi fedelissimi a quello che è ad oggi il suo più grezzo capolavoro, l’innovativo horror Siren (2003), e viene naturale pensare al motivo di questo repentino cambio di genere, da horror a gioco d’azione molto manga e a tratti umoristico quale è Gravity Rush. Ma ad una attenta analisi si scopre di come Siren e l’ultima fatica di Toyama abbiano più cose in comune di quanto si possa intuire inizialmente, a partire dall’impostazione free-roaming, già accennata in Silent Hill. Che sia un cittadina nebbiosa, un villaggio sperduto giapponese o una città fluttuante alla fine l’incipt è quello: un luogo da esplorare in lungo e in largo (e sopra e sotto, è il caso di dirlo), una protagonista ignara di ciò che le accade intorno e un mosaico di misteri da risolvere.
Affetta da totale amnesia (il nome le viene dato da un poliziotto), la giovane e poco vestita Kat riceve in dono da un gatto il potere di manipolare la gravità: i cittadini definiscono quelle come lei “shifter” e non si fanno troppi problemi a chiedere subito il suo aiuto per combattere i Nevi, dei temibili mostri che hanno l’abitudine di attaccare la città.
Nonostante la sua insicurezza e una certa goffaggine, Kat dimostra di avere un senso di giustizia e inizia ad aiutare chi si trova in difficoltà, arrivando a ripristinare intere sezioni della città diventando così una sorta di paladina tra gli abitanti di Hekseville (ma continua a vivere nelle fogne). Le sue azioni però non passano inosservate e ben presto verrà presa di mira da alcuni nemici, tra i quali spicca una ragazza con corvo appresso e poteri simili ai suoi, di nome Raven. Quale sarà il loro scopo? Kat agisce davvero nel giusto?
La storia di Gravity Rush, degnamente narrata tramite gradevoli strisce a fumetti, si dipana in una ventina di capitoli e mantiene alto l’interesse per tutta l’avventura, nonostante molte questioni rimangano in sospeso. I dialoghi sono comunque ben scritti e mai banali, cui si sovrappongono i pensieri di Kat che spesso e volentieri lascia trasparire una certa stizza e giudizi poco eleganti nei confronti dei suoi interlocutori, un aspetto questo che ci viene mostrato della protagonista, molto adolescenziale e divertente.
Cadere verso il cielo
Gravity Rush ha dalla sua un gameplay che è una vera ventata d’aria fresca nel panorama dei giochi d’azione; inizialmente ostico e grezzo, dopo poche ore ci sembrerà più difficile staccare le mani dal pad grazie ad un riuscito mix di esplorazione e azione congeniata con estrema cura. I poteri di Kat ci permettono di manovrare la gravità, donandoci una sensazione di libertà raramente riscontrata altrove. Il concetto è che Kat di fatto non vola, ma semplicemente possiamo decidere dove farla cadere, in qualunque direzione come può essere il cielo o la parete di un palazzo. Fortunatamente nonostante il suo fisico gracilino la ragazza risulta immune a cadute da altezze che ucciderebbero chiunque, e ciò ci permette di sbatacchiarla qua e là senza preoccuparci troppo della sua incolumità, fino a quando l’indicatore relativo al potere non si esaurisce e a quel punto ne dovremo attendere la ricarica. Ovviamente il movimento libero non è che la base delle alterazioni di Kat, impareremo presto altre funzioni come la bolla gravitazionale, utile per trasportare cose (e persone), o la scivolata gravitazionale, con la quale possiamo surfare sulle superfici.
Ma ancora di più sono i suoi utilizzi in battaglia, oltre ai normali calci che Kat esegue da terra, usufruiremo più spesso il calcio a mezz’aria, dopo aver preso bene la mira sull’avversario (pena un appariscente colpo a vuoto), e sbloccheremo con il proseguire dell’avventura alcune tecniche speciali, utili contro i nemici più ostici o le orde più numerose. Il passaggio dalla PlayStation Vita alla console maggiore non modifica più di tanto il sistema di controllo, già su portatile veniva più naturale utilizzare la levetta analogica piuttosto che il giroscopio della console per puntare la visuale, ma in ogni caso il Dual Shock 4 è provvisto di sensori di movimento e quindi anche questa particolare funzionalità è mantenuta. La schivata era forse la scelta meno felice del sistema di controllo di Gravity Rush su PS Vita, effettuabile tramite tocco su schermo, non proprio intuitivo nel mezzo dell’azione, al contrario su PS4 è destinata al ben più familiare tasto R2, oltre che al touch pad del controller.
Passeremo comunque buona parte del tempo all’esplorazione di Hekseville, costellata di cristalli viola che hanno il duplice scopo di essere utilizzati come fonte di energia per ripristinare alcuni servizi della città, facendo aumentare la nostra “fama”, ma anche e soprattutto per aumentare i parametri di Kat. Potremo parlare con gli abitanti (o scaraventarli in aria), benché Gravity Rush non contempli delle vere e proprie quest facoltative, se si esclude quelle relative ai DLC, comprese nella Remaster, e una riguardante dei fantasmi. Ripristinando i servizi sbloccheremo però delle sfide di abilità, che spaziano a gare di velocità ad altre di mattanza di mostri, utili in ogni caso per guadagnare cristalli viola extra, una volta fatta piazza pulita di quelli presenti in giro. Guadagnare la medaglia d’oro in tutte le sfide è a conti fatti l’attività che impegnerà maggiormente il giocatore che vuole completare al meglio Gravity Rush, poiché per il resto la difficoltà si attesta su livelli abbastanza scorrevoli, tolte alcune fasi di leggera frustrazione e determinati boss.
Questione di Stile
Se Keiichiro Toyama è la mente dietro a Gravity Rush, Yoshiaki Yamaguchi ne è la matita, e come già accennato nell’introduzione, parlando di grafica si sfocia inevitabilmente nell’arte fumettistica di Moebius che come pochi altri ha influenzato molti artisti giapponesi. Yamaguchi però non si limita ad omaggiare i panorami onirici di Jean Giraud, ma crea una città viva ma non caotica, sufficientemente varia ma dallo stile unico, steampunk ma non troppo, moderna e retro, soffusa il giusto. Una direzione artistica assolutamente di gran classe da cui è difficile rimanere impassibili, in un’epoca in cui si cerca il fotorealismo nei grandi open-world, delle cavalcate sui monti di nulla (se non qualche bug), del guarda ho creato una mappa grande quanto il Texas, ma non ho pensato poi cosa metterci dentro. Gravity Rush emerge in ciò che rappresenta, con il giocatore sempre al centro di tutto, anche nel girare le pagine del “fumetto” tramite il touch screen, al diavolo quindi le cut-scene che sono passive, sono cinema. Il character design e l’asciugamano che scivola di Kat invece stanno a ricordarci che il gioco è giapponese, mettendo da parte Moebius, ed è giusto così, Gravity Rush è quel bellissimo mix tra oriente e occidente che hanno fatto grande questa industria nel passato.
I BluePoint hanno svolto un grande lavoro in fase di rimasterizzazione, parimenti con Metal Gear Solid: Peace Walker trasferire su home console un gioco concepito per portatile non è mai semplice, ma il risultato è anche questa volta eccellente e conferisce al titolo Japan Studio, già bellissimo su PS Vita, un aspetto rinvigorito e un’esperienza fluida inchiodata a 60 fotogrammi al secondo. Ma anche chissenefrega di questa roba da Digital Foundry, spiace piuttosto lasciare sempre per ultima la colonna sonora, come fosse a margine, accessoria, quando in realtà la musica è il fulcro dell’esperienza di Gravity Rush, per la sua capacità di catapultarci in un mondo al di là della comprensione. Kohei Tanaka è un nome che chiunque dovrebbe un minimo conoscere; Alundra è per citare un videogioco con una OST immensa, ma se si sfocia nel suo trentennale contributo nel mondo anime si fanno nomi del calibro di Gunbuster, Violinist of Hameln, Patlabor, Dirty Pair, One Piece e possiamo continuare. Per Gravity Rush tra splendidi brani orchestrali, tonalità Jazz e un idioma inventato tra il francese e il russo per la Douse Shinundakara, Tanaka firma un capolavoro di soundtrack, mai banale e fine a se stessa.
Pro
- Direzione artistica di classe
- Struttura di gioco solida e divertente
- Bei personaggi
- Sonorità di prestigio
- Ottima rimasterizzazione a prezzo budget
Contro
- Storia aperta in attesa del sequel
- Qualche raro momento di frustrazione
Ottimo sotto tutti gli aspetti tecnici, ma con una storia inconcludente (sempre più un preludio del 2 che non un gioco a sè) che non rende nemmeno giustizia ai suoi personaggi.
Avendolo giocato su Vita non sento il bisogno di rigiocarlo, forse recupererò il 2 a prezzo ridotto.
Molto interessante, è un gioco che prima o poi acquisterò di certo!
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