Una delle notizie più importanti delle ultime settimane e passata forse un po’ sotto silenzio, è l’avvento di Epic Games nel mondo dei publisher, sotto etichetta Epic Game Publishing. I primi tre studi a vantare tale partnership sono Remedy, Playdead e il nuovo studio fondato da Fumito Ueda, Gen Design.
Tim Sweneey, fondatore e CEO di Epic, negli ultimi anni è riuscito a risollevare le sorti dell’azienda, dopo un lungo periodo buio in cui si temeva il peggio. I creatori di alcuni dei titoli che hanno fatto la storia del videogioco, come Unreal Tournament e Gears of War, nonché del motore grafico Unreal Engine, a un certo punto avevano smarrito la strada fino al cosiddetto “coniglio dal cilindro”: Fortnite. Per quanto possa essere bistrattato da una fetta di appassionati, l’avvento di questo battle royale non solo ha influenzato l’intero mercato videoludico ma anche risollevato con prepotenza Epic che con un cambio di visione aziendale si è ampliata, prima dichiarando guerra a Valve e al suo Steam fondando Epic Store e adesso, dichiarando guerra al resto dei publisher.
Tra le caratteristiche promosse dalla società abbiamo proposte che sembrano molto vantaggiose a chi decida di stipulare un contratto ma ricordiamo che queste sono linee generali e che, ovviamente, si adatteranno via via ai diversi accordi stipulati:
Copertura fino al 100% dei costi di sviluppo e marketing: normalmente una buona fetta di sviluppo di un nuovo titolo viene coperta dal publisher, sospinto ovviamente dalla possibilità di ricavo all’avvenuta pubblicazione del prodotto. Da quanto si evince da questi statement, Epic si premurerà di coprire fino alla totalità dei costi di produzione, un fatto più unico che raro. È chiaro come questa percentuale varierà in base allo studio e al progetto ma in linea di massima, possiamo dire che la percentuale coperta risulterà superiore rispetto alla concorrenza. Il 100% avverrà solo e soltanto quanto il progetto preso in esame sarà ritenuto molto probabilmente vincente e possiamo già affermare che Remedy, che deve ancora annunciare il suo prossimo titolo, abbia già tutto coperto.
Ricordiamo che lo studio finlandese è già stato molto vicino a Epic, consegnando esclusivamente al suo store, Control. Ma questo non significa che arriverà Control 2: i diritti di quest’ultimo appartengono infatti a 505 Games per vent’anni e difficilmente potremo mettere le mani sopra a un seguito.
Massima libertà creativa: è un bello slogan ma si scontra molto spesso con la realtà, ricollegandosi al primo punto. Tanti anni fa anche Activision ed Electronic Arts promuovevano la stessa ambizione e sappiamo tutti cosa sono diventati nel frattempo (vedi Star Wars Jedi: Fallen Order). Tutto ruota intorno alla parola sostenibilità: costi di produzione e libertà vanno a braccetto, visto che tutto confluisce nelle tempistiche. Più un gioco subisce ritardi, più i costi di produzione aumentano ma soprattutto, la suddivisione dei ricavi penderà sempre di più verso il publisher. Prendiamo ad esempio il caso Fumito Ueda, considerato uno dei geni dell’industria ma che non vanta lavori divenuti bestseller. Sia Ico, The Last Guardian e Shadow of the Colossus infatti, benché apprezzati soprattutto dalla critica, non hanno vantato numeri importanti, scontrandosi anche con i tempi biblici di sviluppo. È molto probabile che “massima libertà creativa” molto spesso avrà il suffisso “fino a un certo punto”, creando contratti più stringenti proprio per evitare questi problemi.
Suddivisione dei ricavi al 50%: anche qui c’è da fare qualche precisazione. Tale suddivisione vale solo e successivamente al recupero integrale dei costi di produzione e anche la percentuale in sé può subire variazioni.
Questo è un fattore cruciale da tenere in considerazione per le software house: più soldi significa in qualche modo più libertà, è vero, ma significa anche responsabilità. Se ad esempio Playdead, conosciuto per ottime piccole produzioni come Limbo e Inside, decidesse di lanciarsi in un titolo AAA, deve prendere non solo in considerazione i punti precedenti, ma anche un grosso fattore di rischio. Nel caso di problemi, il tempo dei ricavi si allontanerebbe sempre di più e questo è un elemento che molto spesso viene tralasciato. Lo vediamo spesso: il posticipo di un titolo può avere duplice valenza, come un grosso ritardo nello sviluppo o possibilità di affinare o aggiungere varie componenti del gioco. In ogni caso però, lo sviluppatore non guadagna nulla. Nella maggior parte dei casi si va in perdita, raggiungendo il recupero dei costi di produzione solo molto più in là rispetto la pubblicazione.
Diritto della Proprietà Intellettuale rimane allo sviluppatore: questo forse è uno dei punti fondamentali. Sapere che qualunque cosa accada l’IP rimane nelle proprie mani può fornire maggiore liberà creativa soprattutto quando si studiano titoli che prevedono più uscite in serie, come The Witcher o Mass Effect. Tra l’altro, può anche fare in modo che si evitino discrasie d’intenti e, uno degli esempi più lampanti è sicuramente Scalebound: come mostrato più volte il creatore del progetto, Platinum Games, sarebbe ben lieta di ritornare a sviluppare un titolo improvvisamente cancellato. Questa volontà però, si scontra con quella di Microsoft, detentrice dei diritti e quindi capace di porre un veto sulla ripresa dei lavori.
Dunque, i futuri progetti mecenati da Epic non saranno vincolati con quest’ultima nel caso di eventuali sequel, remake, reboot o remastered. C’è di più: questi eventuali lavori, potranno legarsi ad altri pubblisher. Una libertà mai concessa sinora.
Tutto questo, è bene ricordarlo, non riguarda in alcun modo l’Epic Store. Difatti, Epic Game Publishing si comporterà come tutti gli altri, traendo vantaggio dalla disponibilità su più macchine del proprio titolo, occupandosi anche del supporto fisico, che avrà ovviamente etichetta Epic.
L’avvento di Epic Game Publishing dunque può essere considerata una buona notizia, spingendo magari altri publisher ad allargare le maglie, fornendo più supporto ai vari team di sviluppo. Con elementi così vantaggiosi infatti, non è difficile immaginare l’ingresso di altri studi nell’universo Epic ma come questa si comporterà in futuro e se si avvicinerà agli standard che conosciamo potrà dircelo solo il tempo.
Tim Sweneey, fondatore e CEO di Epic, negli ultimi anni è riuscito a risollevare le sorti dell’azienda, dopo un lungo periodo buio in cui si temeva il peggio. I creatori di alcuni dei titoli che hanno fatto la storia del videogioco, come Unreal Tournament e Gears of War, nonché del motore grafico Unreal Engine, a un certo punto avevano smarrito la strada fino al cosiddetto “coniglio dal cilindro”: Fortnite. Per quanto possa essere bistrattato da una fetta di appassionati, l’avvento di questo battle royale non solo ha influenzato l’intero mercato videoludico ma anche risollevato con prepotenza Epic che con un cambio di visione aziendale si è ampliata, prima dichiarando guerra a Valve e al suo Steam fondando Epic Store e adesso, dichiarando guerra al resto dei publisher.
Tra le caratteristiche promosse dalla società abbiamo proposte che sembrano molto vantaggiose a chi decida di stipulare un contratto ma ricordiamo che queste sono linee generali e che, ovviamente, si adatteranno via via ai diversi accordi stipulati:
Copertura fino al 100% dei costi di sviluppo e marketing: normalmente una buona fetta di sviluppo di un nuovo titolo viene coperta dal publisher, sospinto ovviamente dalla possibilità di ricavo all’avvenuta pubblicazione del prodotto. Da quanto si evince da questi statement, Epic si premurerà di coprire fino alla totalità dei costi di produzione, un fatto più unico che raro. È chiaro come questa percentuale varierà in base allo studio e al progetto ma in linea di massima, possiamo dire che la percentuale coperta risulterà superiore rispetto alla concorrenza. Il 100% avverrà solo e soltanto quanto il progetto preso in esame sarà ritenuto molto probabilmente vincente e possiamo già affermare che Remedy, che deve ancora annunciare il suo prossimo titolo, abbia già tutto coperto.
Ricordiamo che lo studio finlandese è già stato molto vicino a Epic, consegnando esclusivamente al suo store, Control. Ma questo non significa che arriverà Control 2: i diritti di quest’ultimo appartengono infatti a 505 Games per vent’anni e difficilmente potremo mettere le mani sopra a un seguito.
Massima libertà creativa: è un bello slogan ma si scontra molto spesso con la realtà, ricollegandosi al primo punto. Tanti anni fa anche Activision ed Electronic Arts promuovevano la stessa ambizione e sappiamo tutti cosa sono diventati nel frattempo (vedi Star Wars Jedi: Fallen Order). Tutto ruota intorno alla parola sostenibilità: costi di produzione e libertà vanno a braccetto, visto che tutto confluisce nelle tempistiche. Più un gioco subisce ritardi, più i costi di produzione aumentano ma soprattutto, la suddivisione dei ricavi penderà sempre di più verso il publisher. Prendiamo ad esempio il caso Fumito Ueda, considerato uno dei geni dell’industria ma che non vanta lavori divenuti bestseller. Sia Ico, The Last Guardian e Shadow of the Colossus infatti, benché apprezzati soprattutto dalla critica, non hanno vantato numeri importanti, scontrandosi anche con i tempi biblici di sviluppo. È molto probabile che “massima libertà creativa” molto spesso avrà il suffisso “fino a un certo punto”, creando contratti più stringenti proprio per evitare questi problemi.
Suddivisione dei ricavi al 50%: anche qui c’è da fare qualche precisazione. Tale suddivisione vale solo e successivamente al recupero integrale dei costi di produzione e anche la percentuale in sé può subire variazioni.
Questo è un fattore cruciale da tenere in considerazione per le software house: più soldi significa in qualche modo più libertà, è vero, ma significa anche responsabilità. Se ad esempio Playdead, conosciuto per ottime piccole produzioni come Limbo e Inside, decidesse di lanciarsi in un titolo AAA, deve prendere non solo in considerazione i punti precedenti, ma anche un grosso fattore di rischio. Nel caso di problemi, il tempo dei ricavi si allontanerebbe sempre di più e questo è un elemento che molto spesso viene tralasciato. Lo vediamo spesso: il posticipo di un titolo può avere duplice valenza, come un grosso ritardo nello sviluppo o possibilità di affinare o aggiungere varie componenti del gioco. In ogni caso però, lo sviluppatore non guadagna nulla. Nella maggior parte dei casi si va in perdita, raggiungendo il recupero dei costi di produzione solo molto più in là rispetto la pubblicazione.
Diritto della Proprietà Intellettuale rimane allo sviluppatore: questo forse è uno dei punti fondamentali. Sapere che qualunque cosa accada l’IP rimane nelle proprie mani può fornire maggiore liberà creativa soprattutto quando si studiano titoli che prevedono più uscite in serie, come The Witcher o Mass Effect. Tra l’altro, può anche fare in modo che si evitino discrasie d’intenti e, uno degli esempi più lampanti è sicuramente Scalebound: come mostrato più volte il creatore del progetto, Platinum Games, sarebbe ben lieta di ritornare a sviluppare un titolo improvvisamente cancellato. Questa volontà però, si scontra con quella di Microsoft, detentrice dei diritti e quindi capace di porre un veto sulla ripresa dei lavori.
Dunque, i futuri progetti mecenati da Epic non saranno vincolati con quest’ultima nel caso di eventuali sequel, remake, reboot o remastered. C’è di più: questi eventuali lavori, potranno legarsi ad altri pubblisher. Una libertà mai concessa sinora.
Tutto questo, è bene ricordarlo, non riguarda in alcun modo l’Epic Store. Difatti, Epic Game Publishing si comporterà come tutti gli altri, traendo vantaggio dalla disponibilità su più macchine del proprio titolo, occupandosi anche del supporto fisico, che avrà ovviamente etichetta Epic.
L’avvento di Epic Game Publishing dunque può essere considerata una buona notizia, spingendo magari altri publisher ad allargare le maglie, fornendo più supporto ai vari team di sviluppo. Con elementi così vantaggiosi infatti, non è difficile immaginare l’ingresso di altri studi nell’universo Epic ma come questa si comporterà in futuro e se si avvicinerà agli standard che conosciamo potrà dircelo solo il tempo.
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