La Hope's Peak Academy ospita gli studenti delle superiori più brillanti del Giappone in vari campi, dallo sport alla programmazione, dalle arti marziali alla scrittura. Questi “studenti definitivi” sono la speranza del futuro, speranza che però muore improvvisamente quando Makoto Naegi e i suoi compagni di classe si ritrovano imprigionati nella scuola, tagliati fuori dal mondo esterno e soggetti ai capricci di uno strano e omicida orsetto di nome Monokuma. Il losco figuro mette gli studenti uno contro l'altro, promettendo la libertà a coloro che uccideranno un compagno di classe, a patto però che non venga inchiodato nella successiva “prova”, presente sotto forma di processo collettivo. La condanna per il colpevole sarà la morte. Fra i quindici studenti ci sono coloro che proveranno a scoprire chi si cela dietro Monokuma e i motivi di questo assurdo gioco al massacro, e chi invece cederà alla disperazione.
 

Il successo del Nintendo DS ha contribuito senza ombra di dubbio allo sdoganamento occidentale delle avventure grafiche giapponesi, un genere fino ad allora totalmente ignorato dagli importatori, salvo casi sporadici come lo Snatcher in versione Sega CD, e inevitabilmente relegato al sottobosco delle traduzioni amatoriali su PC. Il touch screen in dotazione della portatile di Nintendo si dimostra un perfetto mezzo per la pubblicazione di punta e clicca come Another Code: Two Memories e Hotel Dusk: Room 2015, ma è l’arrivo nel 2006 dell’ancora più testuale Phoenix Wright: Ace Attorney a cambiare totalmente le sorti del genere, in positivo, abituando i giocatori muniti di DS ad una pratica che sembra l’antitesi del videogiocare immaginata da Nintendo: leggere, e leggere tanto, molto più che in un RPG, aprendo, seppur timidamente, la strana al successivo arrivo di vere visual novel. Questa, ancor più che accrocchi come il wiimote, fu la vera rivoluzione di quegli anni pre-smartphone, anche se dovrà passare ancora un po' di tempo prima di vederne i veri effetti; SCEA li snobberà colpevolmente, quando secondo NISA un publisher provò a portare i due Sakura Wars su PSP si videro ricevere un netto rifiuto, “non sono videogiochi, ma text novel”, vi era una marcata convinzione che questo genere non si adattasse ai gusti occidentali.
Ma alla fine anche dalle parti di Sony si convincono grazie alle vendite sul suolo americano di Persona 3 e 4, due RPG ma dalla forte componente dating-sim, perché dunque non dotare anche la PSP del “suo” Phoenix Wright, dato il successo della serie Capcom? Ci pensano i giapponesi di Spike, alla fine del 2010, sfornando Dangan Ronpa: Kibō no Gakuen to Zetsubō no Kōkōsei (“La Scuola della Speranza e gli Studenti della Disperazione”), un'eccentrica avventura grafica con componente investigativa capace di piazzare oltre 100,000 copie, tuttavia per vederla in occidente bisognerà attendere la sua riedizione per PlayStation Vita, con localizzazione ad opera dei già citati ragazzi di NIS America.
 

Kazutaka Kodaka, classe 1978, si ritrova sia alle medie che al liceo a frequentare istituti esclusivamente maschili, situazione non invidiabile per nessun ragazzo di quell’età: “trascorrendo sei anni con solo ragazzi, diventerai pazzo. Probabilmente perdi la speranza di attrarre le femmine, provi a non pensarci e di conseguenza ti concentri maggiormente sui tuoi hobby e interessi”[1]. Kodaka passa quindi la sua gioventù a guardare tonnellate di film e a giocare ai videogiochi, interessi che lo portano ad iscriversi alla facoltà di studi cinematografici della Nihon University College of Art. Nel periodo di studi lavora però part-time in un negozio di videogiochi Chameleon Club, catena specializzata in retrogame, impiego che gli consente di mettere le mani su un numero consistente di titoli del passato, e lì capisce che sono i videogiochi la sua vera vocazione creativa. Grazie al suo professore universitario riesce a trovare un posto come assistente alla regia per Clock Tower 3, co-diretto da un certo Kinji Fukasaku, vera leggenda del cinema nipponico. Il gioco è prodotto da Capcom ma fa parte di una serie horror di Human Entertainment, società da poco fallita e che vide di conseguenza molti ex staffer trasferirsi in Spike, i quali anni dopo omaggeranno apertamente, insieme a Kodaka, la serie di Twilight Syndrome sotto forma di minigioco in Super Danganronpa 2.  
Il nostro scrittore nel frattempo si occupa dello scenario per alcuni giochi mobile della serie investigativa Tantei Jingūji Saburō (Jake Hunter), prima di entrare proprio in Spike per ricoprire il medesimo ruolo sui tie-in per DS tratti dalle serie Meitantei Conan (Detective Conan) e Kindaichi Shounen no Jikenbo. La “formazione” di Kodaka appare quindi completa: scuola, horror, enigmi, avventure investigative, cinema, visual novel, Dangan Ronpa è tutto questo, il perfetto sunto del suo autore.
Nel concept originale, denominato "Distrust", l'atmosfera era molto più cupa e violenta, e piuttosto che sul concetto Speranza/Disperazione la storia verteva su quello di fiducia/sfiducia (da cui il titolo), un sistema ripreso nel sequel di 999: Zero Escape: Virtue's Last Reward[2]. Alla fine fu deciso di dare al gioco un tocco artistico più leggero, senza per questo rinunciare alla profondità narrativa, un risultato che l'autore definisce Psychopop[3].
 

Danganronpa: Trigger Happy Havoc, come rinominato in occidente, non è una visual novel di puro testo, similmente al quasi coevo e già citato Nine Hours, Nine Person, Nine Doors (DS, 2009), di casa dei futuri colleghi di Chunsoft, il gioco PSP presenta una duplice (poi triplice, come vedremo) struttura, alternandosi tra la fase Daily Life in cui Makoto si limita a chiacchierare e interagire con i vari personaggi, ad una, denominata Deadly Life, che scatta nel momento del ritrovamento di un cadavere, in cui saremo chiamati a raccogliere indizi ed eventualmente interrogare i nostri compagni per tentare di ricomporre il più possibile il puzzle del “caso”.
La forza della scrittura di Danganronpa risiede nel suo istigare il dubbio su chiunque, incluso lo stesso Makoto, il quale dovrà quasi fin da subito trovare il modo per “difendersi” dalle accuse altrui; il terribile gioco messo in scena da Monokuma, essere apparentemente invincibile in grado di apparire ovunque, mira a diffondere la paura e la “disperazione”, mettendo tutti contro tutti. Rilassatevi qualche giorno, provate pure a fare gruppo, e il terrificante orso bianco e nero troverà un modo, anche il più subdolo, per scatenare una spirale di odio e uccisioni.

Conclusa la fase investigativa, ecco che Monokuma, attraverso gli altoparlanti della scuola, annuncia l’inizio della tanto temibile Class Trial, che si svolge in una stanza sotterranea appositamente adibita allo scopo. I processi sono la terza e più brillante fase della struttura di Danganronpa che vede i vari studenti, disposti in cerchio, discutere animatamente esponendo le loro argomentazioni, avallate da prove e ragionamenti, per arrivare così all’individuazione del colpevole.
 

Il giocatore, nei panni di Makoto, dovrà “cogliere” tra le esternazioni dei presenti incongruenze e menzogne, colpendole a schermo con le argomentazioni e le prove raccolte, rappresentate in modo brillante sotto forma di proiettili, i “truth bullet”, in giapponese "Kotodama" (コトダマ) ossia "l'anima delle parole". Tale concetto, radicato nella cultura shintoista e nel Kokugaku, viene appunto raffigurato in Danganronpa come un proiettile che colpisce bugie e contraddizioni, non a caso la protagonista dello spin-off d’azione Ultra Despair Girl, Komaru Naegi, utilizzerà un’arma a forma di megafono.
Makoto dovrà pertanto concentrarsi per colpire le frasi giuste con i proiettili giusti, la difficoltà dello “shooter” aumenterà con la proliferazione di mormorii e frasi di sottofondo generati dagli altri personaggi, anch’essi presenti in forma di scritte in sovraimpressione, che tenderanno a coprire le parole chiave; l’idea di queste scritte, che passano spesso a gran velocità da una parte all’altra dello schermo, è stata ispirata da NicoNico, il celebre “youtube” giapponese, il quale ha questa sua caratteristica (ovviamente disattivabile) di far apparire sullo schermo i commenti degli spettatori nelle trasmissioni Live. Alle fasi shooter si alternano risposte multiple e vari minigame per arrivare a ricostruire, tassello dopo tassello e prova dopo prova, la scena del crimine sotto forma di manga, ma sono le Class Trial nel loro complesso, che arrivano a durare oltre un’ora, ad essere un concentrato di emozioni, capovolgimenti e colpi di scena (accompagnate dall'incalzante colonna sonora di un ispiratissimo Masafumi Takada), nonché un’eccezionale prova di come anche con pochi mezzi è possibile esprimere un ottimo game design, quando a mancare non è la creatività.
 

Danganronpa, nella sua teatralità e nei suoi eccessi (le sole “Punizioni” sono da antologia), amalgama un irresistibile e schizofrenico miscuglio di tonalità opposte; la vicenda è drammatica, ma al contempo surreale, le morti sono vere e cruente, ma le scene da "dating-sim", per quanto marginali, sembrano fare da contraltare smorzando i toni, mentre il nemico è spaventoso e al contempo ridicolo (è difficile non ridere almeno una volta all’apparizione improvvisa di Monokuma, al suono della sua delirante BGM “Ba ba ba ba o chi ba ba o ba ba” e conseguente reazione di qualche studente). Proprio come le due facce di Monokuma, quello creato da Spike Chunsoft è un gioco di contrasti, bianco e nero, commedia e dramma, speranza e disperazione.

"Quello che volevo fare, in particolare, è rendere i personaggi interessanti, a cui il giocatore può relazionarsi e legarsi emotivamente. Quindi, quando scrivo, la cosa più importante su cui mi concentro è fare in modo che i miei personaggi abbiano qualcosa di simile al giocatore, per poi stupirli".
 

Sono loro, gli studenti, a tratteggiare ciò che di meglio ha da offrire la sceneggiatura di Kodaka; i quindici adolescenti reclusi sembrano sulle prime ricalcare i più diffusi stereotipi di stampo anime, l’idol carina, la sportiva, l’otaku, il teppista, la gothic lolita, la maestra di arti marziali, la detective, sono gli “studenti definitivi” in svariati campi, forgiati per emergere dalla massa dalle loro famiglie o grazie ad un innato talento, sono in pratica il futuro del Giappone. Ma ovviamente, messi dinnanzi ad una situazione di crisi, questi fenomenali studenti si dimostrano tutt’altro che infallibili, reagendo ognuno in modo diverso al “gioco” messo in atto da Monokuma.
Possiamo infatti notare come la prima vittima sia in realtà anche la prima a cedere alla “disperazione”, c’è chi tenterà in ogni modo di resistere e credere al prossimo mentre altri, come Celeste e Byakuya, accettano con estrema freddezza l’idea di un gioco al massacro, senza temere di essere odiati ma evitando tuttavia di fare “la prossima mossa”. Proprio questi due personaggi, indubbiamente fra i più imperscrutabili agli occhi del giocatore, sono protagonisti di un interessante dialogo nel Capitolo 2, il quale fa riferimento al principio del gioco a somma zero, ossia laddove c’è una persona che ha successo, di conseguenza ce n’è una che fallisce, un aforisma che sarebbe valevole per lo sport, per gli affari e ovviamente per i tanto temuti esami di ammissione.
Viene da se pensare dunque all’assurdo gioco messo in scena in Danganronpa come ad una allegorica estremizzazione del rigidissimo sistema scolastico giapponese, caratterizzato da un’esasperata competizione che non solo si dimostra spesso incapace di far emergere la qualità dell’individuo, ma che nel suo essere “allevamento di numeri uno” può arrivare a generare un livello di pressione psicologica tale da portare ad un'escalation di fenomeni quali disadattamento, violenza e bullismo tra i giovani.



Danganronpa si guarda bene dal dividere banalmente buoni e cattivi, ogni studente si atterrà a quella che è la sua filosofia di vita e il suo modo di essere, senza per questo essere giudicato ma anzi, non è scontato che, al contrario di quanto avviene nel celebre Battle Royale di Koushin Takami, a sopravvivere al Killing Game siano necessariamente le figure più positive ed eroiche della classe; il fatto che l’unico “assassino di professione” del gruppo finisca per non uccidere nessuno, dice tutto in tal senso e sulla natura del gioco. Proprio come nella grande sfida della vita reale le singole capacità, il modo di adattarsi ma soprattutto la volontà di non cedere alla disperazione, si dimostreranno determinanti, e Monokuma, che è una metafora della disperazione, da semi-dio capace di apparire ovunque e far emergere lance dal pavimento, con il passare dei capitoli inizia a diventare comprensibile, vulnerabile. La ruota inizia a girare a loro favore con il suicidio di un certo personaggio, il cui ultimo messaggio avrà un lascito indelebile sugli studenti rimasti, infliggendo la prima crepa nell’armatura di un Monokuma sempre meno spaventoso.

Makoto Naegi in tutto questo ha un ruolo centrale, lo “studente fortunato” che viene scelto a caso per frequentare l’istituto più prestigioso del Giappone, non è un programmatore geniale, non è uno sportivo dal posto titolare assicurato, non è un modello da rivista di moda, è un ragazzo del tutto normale come ce ne sono milioni. Sembra totalmente fuori posto in mezzo a tutti questi “numeri uno”, ma lui ha questa cosa chiamata "speranza", che non tutti hanno. Viene gettato in una situazione del tutto opprimente, ma nonostante questo non perde la fiducia nel futuro e la forza di volontà, virtù che porteranno lui e i pochi sopravvissuti ad affrontare l’ultimo, decisivo Trial, Speranza contro Disperazione.
Questo fattore simboleggia di come alcune minacce nella vita possano sembrare impossibili da superare, ma Monokuma non è invincibile, la storia di Danganrompa ci insegna che mantenere la speranza porta ad una via d'uscita, ma devi crederci e non smettere mai di cercarla. I capitoli 5 e 6 sono un capolavoro di scrittura applicata al game design, un Monokuma messo sempre più alle strette mette le due menti brillanti del gruppo, quasi amanti, una contro l’altra, il gioco affida una scelta al giocatore che può determinare tutto, prima della rivelazione sul mondo esterno e del confronto finale con il Mastermind, divenuto la disperazione fatta persona perché esso stesso frutto di una vita di disperazione.

Danganronpa, sotto la sua patina di eccessi e un character design (di un esordiente Rui Komatsuzaki) eccentrico e pop, è spaventosamente reale.
 
Danganronpa è un concentrato di talento e di visioni frutto di una passione smodata per il genere mystery, dove nulla risulta scontato, artefatto e riconducibile al già visto, preferendo scompigliare con gusto tendenze e metodi della produzione delle avventure investigative, creando uno stile unico. Kazutaka Kodaka nel modellare la sua tragicommedia scolastica guarda a ciò che fu Twilight Syndrome, infondendovi eccentrico e accattivante stile anime contrapposto ad una realtà fatta di struggimento, abbandono, introversione.

Danganronpa: Trigger Happy Havoc è disponibile per PSVita, PS4, PC e da poco anche per i sistemi iOS e Android.