L’anno è il 2053, e le rovine di una città sono imbiancate dalla neve, nonostante sia piena estate. Un ragazzo e sua sorella si rifugiano in un negozio di alimentari, lei è afflitta da una tosse incontrollabile, lui fa di tutto per proteggerla, donandogli quel poco che rimane delle scorte di cibo, accanto a loro un misterioso libro. Degli esseri sinistri circondano il negozio di alimentari, il ragazzo decide di combatterli servendosi di abilità magiche, ma al suo ritorno le condizioni della ragazza si aggravano pesantemente..

La storia riprende circa 1.300 anni dopo, un futuro remoto in cui le grandi scoperte dell'umanità sono ormai un ricordo sbiadito, sepolte da una spessa coltre di polvere. Gli abitanti dei villaggi vivono in case modeste e lavorano insieme per garantire una vita dignitosa alla propria comunità, mentre al di fuori di essi si staglia la minaccia di creature note come Ombre. È in uno di questi villaggi che vivono un ragazzo di nome Nier e la sua unica sorella Yonah, colpita da un violento male malattia definito Necrografia che la obbliga a letto; il villaggio aiuta la coppia come può ingaggiando Nier per piccoli lavoretti, nella speranza che il membro più saggio del villaggio, Popola, possa trovare una cura alla malattia.

Un giorno però, Yonah si allontana dal villaggio per cercare il fiore Lacrima Lunare, nominato da suo padre. Nier scopre da Popola che sua sorella potrebbe essersi diretta verso il Santuario Perduto, laddove sboccia il fiore, ma nella sua ricerca si imbatte in un libro parlante, in grado di utilizzare la magia attraverso le parole: Grimoire Weiss. I due si alleano per sconfiggere l'esercito di Ombre e due statue di guardiani viventi per salvare Yonah, dato che il virus della Necrografia sembrerebbe collegato alle Ombre. Con il potere di Weiss, che consente a Nier di usare la magia, inizia quindi un viaggio per raccogliere tutti i Versi Sigillati, i quali avrebbero il potere di distruggere l'oscurità e salvare sua sorella.
Alla loro ricerca su uniranno Kainé, una donna dalla parlata volgare e posseduta da un'ombra, e un giovane di nome Emil, i cui occhi pietrificano chiunque li osservi. Nella sua ricerca, Nier si troverà faccia con lo Shadowlord, che rapisce Yonha, la sua lotta per ritrovarla lo porterà a scoprire le verità celate di questo mondo.
 

La voce soave di Emi Evans rimane sospese tra le parole di una pseudo-lingua futurista, dalle cui suggestioni evocate affiorano tematiche accostabili alla musica gaelica; questi fiumi vocali che sgorgano dalle composizioni del miglior Keiichi Okabe di sempre, si sovrappongono alle immagini ribadendo il motivo ispiratore che muove e deve muovere il tutto, ovvero il livello di comunicazione del videogioco. Yoko Taro guarda con una soffusa nostalgia al passato, al suo Drakengard, alle visual novel ma anche e soprattutto a Shadow of the Colossus, perché il più delle volte si finisce sempre lì, e si porta ad un livello laddove possibile ulteriore, usando il metodo che il mezzo del videogioco d’azione, e la sua visione del mondo, gli suggerisce: la violenza.

Con Nier si può essere colti dall'impressione di giocare a qualcosa di convenzionale, quasi fuori dal tempo nella sua intessitura da hack ‘n slash che pareva già datata su PlayStation 3: e la tentazione di mollare potrebbe incombere prima del tempo, così come avvenne per alcune, troppe testate del 2010 specie d'oltreoceano che oggi ritrattano e ti dicono che sì, forse Nier non era così male e Heavy Rain era scritto da cani. Buongiorno. È necessario invece superare questo impeto compulsivo, frutto di un sistema malsano che ci fa sentire parte di una catena di montaggio basato sul click e sulla rapidità, dieci anni fa come oggi, anzi oggi più che mai con servizi che ti danno tutto, ma in realtà non ti danno niente; a ben vedere viene voglia di tenersi stretti questi blu-ray in via di estinzione, attaccare le cuffie e disdire un po' di queste iscrizioni a servizi ed espertoni di Twitch che trasmettono ventisei ore al giorno, ricordandoci piuttosto cosa idealmente vorremmo da un’esperienza videoludica alienante e affascinante.
 

Avviare Nier Replicant significa tornare a visitare luoghi sconosciuti e allo stesso tempo familiari, ristabilendo con essi un senso di appartenenza, immagini evocate da una memoria archetipica che sembra già di un’altra epoca che si ridesta. Opere come Nier palesano questo bisogno di un percorso di riflessione, da attuare seguendo però i canoni espressi dal mezzo del videogioco, senza eccedere in presunzione letteraria (Xenogears), trovando un connubio di dialoghi brillanti e personaggi eccentrici, ma anche profondi, sotto certi aspetti ancor più degli androidi di Automata. Il mosaico rimane completamente saldo alla sensibilità degli autori, che non cercano la via facile dei neanche troppo velati messaggi politici (The Last of Us Part II), qui tutto attiene alla necessità di descrivere una lezione interiore unica e coerente, ma non sbandierata, facendo leva sulle responsabilità delle azioni del giocatore, che arriva al punto di fargli pensare “fermati, basta così” quando vede il suo alter ego, così gentile nell’aiutare il prossimo e così legato ai suoi amici, accecato dal desiderio di vendetta.
 

Cosa sei disposto a fare e di quali crimini sei disposto a macchiarti pur di proteggere la persona amata? Tramite un contesto di scompensi e instabilità emotive Yoko Taro e la scrittrice Sawako Natori illustrano e trasfigurano questo mondo attraverso gli sviluppi di una trama comunque lineare, una banalità di matrice Zeldiana (ritrovare i pezzi di una chiave che apre il castello finale dello Shadowlord), per poi capovolgerne il punto di vista attraverso i playthrough, che rispecchiano la mutevole natura del racconto confermando l’abilità dei giapponesi nel cavalcare i generi, mescolandone gli elementi senza irrompere troppo in facili citazionismi. Così, pur con il concreto rischio di scadere nella ripetizione a causa di un numero esiguo di ambientazioni, l’interesse per la vicenda rimane comunque alto nel suo necessario connubio tra scarsità di mezzi e inventiva, sostenuto dalla scelta di delegare il punto di vista di volta in volta, da Nier a Kainé, agli stessi boss, passando per il diario di Yonah durante i tempi di caricamento, di conseguenza il singolo e collettivo si intersecano andando a formare una complementare assonanza tra stati d’animo individuali e collettivi.
 


Scarsità di mezzi che tuttavia non giustifica pienamente un livello di battaglie tarato verso il basso, nonostante la spettacolarità di alcuni boss, il sistema di combattimento non sembra stimolare pienamente la varietà di magie, parole e armi che il gioco offre, rimanendo in parte un potenziale inespresso anche in questo “non è un remake, non è un remaster, sa solo quello che non è” parafrasando Balto; l’affinità verso l’originale del 2010 è sacrosanta ma Toylogic forse poteva osare di più per smussare alcuni difetti che il gioco si porta inevitabilmente appresso, modifiche che di certo non avrebbero scatenato sommosse da parte di puristi, e il pensiero va al ridicolo drop rate di alcuni materiali e al peggior minigioco di pesca mai visto in un RPG.
Al contrario le sidequest, che è più corretto definire null’altro che lavoretti, non andavano toccate e così è stato, tanto noiose e snervanti nel loro svolgimento ludico, quanto brillanti e alle volte esilaranti sul piano dei dialoghi, tramite i quali Yoko Taro non manca di imprimere il suo personale estro di autore audace e provocatorio. A tal proposito il protagonista giovane di Replicant, con il suo fare bonario in contrasto con i commenti al vetriolo di Grimoire Weiss, risulta a livello di scrittura assai più coerente del suo corrispettivo adulto visto nel 2010, con buona pace dei suoi fan (che avranno comunque una piccola sorpresa). Finiremo per affezionarci alle migliaia e assurde regole degli abitanti di Facciata, alla scorbutica anziana del faro, alla coppia litigiosa di Frontemare, storie assurde che virano di colpo verso il drammatico e viceversa, in Nier si ha la perenne sensazione che l’autore utilizzi didascalici schematismi con tono di beffardo e grottesco compiacimento.


Per NieR Replicant ver. 1.22474487139... viene attuato un processo di ricostruzione tecnica che sembra guardare al modus operandi dei mastri restauratori di Bluepoint Games, nel quale ammodernamento dell’aspetto grafico e miglioramento dei controlli si assoggettano alla ricerca di una inderogabile fedeltà nei confronti del materiale di origine, per atmosfera e tessitura narrativa, nonostante alcune espressioni facciali non del tutto convincenti. Il risultato mostra comunque la sua nuova veste estetica fluidamente portando il frame rate a 60, come è altresì convincente il comparto musicale, che si prodiga a conservare l’apprezzata verve originale propendendo tuttavia una sovrastruttura di rinnovate qualità sinfoniche. In diversi aspetti Square Enix e Toylogic decidono prevedibilmente la via della reminiscenza con Automata, da cui il richiamo di Akihiko Yoshida per un character design rinnovato, e al contempo a noi familiare. Ma non solo, è l’insieme tutto a trovare una sua coerenza stilistica, il sistema di illuminazione, le rocce, il deserto, si condensano in quel senso desolazione che è il medesimo ammirato nel 2017, in cui l’iniziale atmosfera bucolica fa da contrasto ad un mondo di morte e sofferenza. 

Sul versante dei contenuti NieR Replicant ver. 1.22474487139... propone uno scenario aggiuntivo nel corso della seconda parte dell’avventura, quella successiva al time skip, ambientata in una nave naufragata a Frontemare, in cui si fronteggia un nuovo boss protagonista di una nuova, triste storia. Ma non è l’unica novità di questa riedizione, è presente all’appello anche un nuovo finale oltre al D, chi a suo tempo arrivò a vederlo si chiederà come sia possibile, ma c’è.
Il gioco è stato interamente ridoppiato e sia la traccia giapponese che quella inglese confermano il cast originale, con l’eccezione ovviamente del protagonista giovane nel secondo caso, essendo assente nella versione occidentale del 2010. Va dato atto, e lo dice chi non gioca ad un jrpg con voci in inglese da Tales of Xillia, che tale doppiaggio non sfigura affatto rispetto a quello giapponese, anzi, in certe scene, e su alcune interpretazioni (Kainé su tutte) riesce anche a superarlo. Il consiglio è di goderseli entrambi, approfittando del fatto che il gioco va finito più volte. 

 
 
Orchestrando all’insegna di un sarcasmo amarissimo attraverso il quale filtra e fa quindi emergere con ancora più cruda incisività quel radicale cinismo tipico delle sue opere, e coadiuvato dalla miglior colonna sonora possibile e immaginabile, Yoko Taro con Nier accende il motore di una narrazione eccentrica ma rigorosa, calando il tutto in una messa in scena sospesa e al contempo realista, contemplativa ma per nulla snob, estremamente ricercata a livello di scrittura pur sorretta da uno schematismo action e di quest a tratti soffocante sostanzialmente invariato da undici anni fa. Simmetricamente le migliorie di questa versione si realizzano in seno ad un level design ispirato ma di certo non vario, che muta la visuale comunicando tra le componenti estetiche e le routine di un gameplay tutt’altro che perfetto, riuscendo quantomeno a mantenere i fotogrammi per rendere l’azione fluente pure nella congestione di proiettili e di queste Ombre che invece dei soldi rilasciano libri illustrati.