Esisteva un tempo in cui bastavano pochi pixel per rendere credibile un personaggio, una manciata di quadratini in cui trovavano posto felicità, tristezza, stupore o rabbia e in qualche modo, ci si riusciva. Del resto siamo passati per Final Fantasy VII e Metal Gear Solid, con Cloud e Solid Snake dotati di alcuna mimica facciale, ma personaggi reali come pochi.
La situazione è resa ancor più difficile dall'introduzione di elmi e caschi in grado di coprire qualsivoglia emozione, e alla domanda “come trasmettere qualcosa attraverso un oggetto inanimato” ha risposto il doppiaggio che, assieme a opportune animazioni è riuscito a caratterizzare alcuni personaggi iconici, come Master Chief.
Da questo punto di vista, Halo ha avuto il complesso obiettivo di rendere lo Spartan John 117 ancora umano, nonostante sapesse spostare un warthog con una mano. Nonostante tutto però, ci si riusciva, soprattutto da quando 343 Industries prese le redini del franchise portando in scena un protagonista molto più incline al dialogo e a un rapporto più aperto con compagni e soprattutto Cortana, la sua fedele IA.
Perché tutto questo preambolo? Perché la questione emotiva e il come questa viene veicolata è proprio uno dei grossi problemi della serie TV. Come più volte affermato dai produttori, siamo distanti dalle vicende videoludiche, cercando di portare una narrazione nuova di zecca in grado di esplorare al meglio la psiche e la volontà dei personaggi. Tutto lodevole e in un certo senso, anche ragionevole.
Si tratta ovviamente di media diversi: se il videogioco può permettersi pause narrative grazie al gameplay, un film o una serie TV devono essere un flusso continuo, con ulteriore approfondimento sulle tematiche e magari, aprendo nuovi filoni tangenti su personaggi fin troppo trascurati. È in questo contesto che Jonh prende un'altra piega, un soldato con un triste passato e uno strano legame con entità e tecnologie ancestrali, un personaggio con parvenze di complessità e alla ricerca del suo vero io, un Master Chief più umano degli umani... insomma, non è colui che abbiamo conosciuto nel franchise videoludico.
È necessariamente un male? Ovviamente no; come detto, questo media esige un trattamento diverso ma come per ogni cosa su questo mondo, l'intenzione non basta. Quello che ci si trova davanti nelle nove puntate della prima stagione ricorda in parte quanto accaduto a Kylo Ren in Star Wars Episodio VII, in cui il temibile Sith, con corazza in grado di richiamare il leggendario Darth Vader, scopre il volto, rivelandosi un ragazzo che alla fine, ha solo bisogno d'affetto, perdendo gran parte del carisma. Ma mentre qui abbiamo a che fare con Adam Driver, uno dei migliori talenti di Hollywood, in Halo abbiamo Pablo Schreiber alle prese con il suo peggior nemico: l'armatura Mjolnir. Il modo in cui la serie cambia mood in base alla comparsa sulle scene della verde corazza è indice che qualcosa non ha funzionato.
La questione emotiva parte proprio da qua, dalla scelta di mostrare già dal primo episodio il volto di Master Chief, causando però un piccolo cortocircuito. Il 99% dei fan del franchise ha sempre interagito con un John tutt'uno con la corazza, quasi in un rapporto simbiotico uomo-macchina. Non è esistito altro: la Mjolnir e Master Chief erano una cosa sola. Tutto il carisma di uno dei personaggi più iconici della storia videoludica era dunque dato da una manciata di animazioni e dal doppiaggio ma come detto, in una serie TV, non bastano. Per poter trasmettere adeguatamente emozioni al pubblico e la possibilità di empatizzare col protagonista, John deve essere chiaramente visibile, da quando sorride a quando è dubbioso e con un casco sempre ben allacciato, ovviamente non sarebbe possibile. O forse sì?
Nel frattempo infatti, è uscita su Disney+ The Mandalorian, con protagonista Pedro Pascal in cui, per tutta serie (tranne una scena), è sempre con l'elmo dei mandaloriani addosso. Nonostante questo ostacolo, si è riusciti a empatizzare con un personaggio sempre uguale a sé stesso fisiognomicamente ma non emotivamente. Il mandaloriano si evolve, cresce e cambia il suo modo di relazionarsi con gli altri per tutta la durata della serie e possiamo andare ben al di là della mera intuizione su cosa prova o sul perché di alcune sue scelte. Una buona scrittura, può permettere a qualunque personaggio di spiccare, indipendentemente se abbia un volto o meno.
Se la scelta di mostrare il volto di Master Chief appare comunque comprensibile, è il modo a creare quel cortocircuito visivo agli spettatori che semplicemente, per il 90% del tempo non sta vedendo Halo, ma qualcosa che gli somiglia.
Eppure le soluzioni esistono, anche solo per mitigare il passaggio da un personaggio coperto a uno scoperto e la cosa incredibile è che durante la serie avviene, ma solo per piccoli sprazzi. Questo espediente a là “Tony Stark”, in cui vediamo il volto di Robert Downey Jr. all'interno dell'armatura, è forse il giusto compromesso, in cui possiamo vedere da fuori il mitico Master Chief, avendo parvenza di star guardando Halo ma anche l'emotività di John all'interno del casco.
Ma ok, magari la scelta di “spogliare” il protagonista è comunque narrativamente giustificata da una storia intrisa di colpi di scena e da una buona qualità. Non proprio.
Questo perché le vicende di John (ma anche dei comprimari) non riescono mai a colpire lo spettatore, trovandosi di fronte a qualcosa di davvero poco interessante, complice anche un'eccessiva lentezza della narrazione, capace di bloccare sul nascere ogni tentativo di speculazione o trasporto emotivo. Non esiste mai un vero climax e anche nei momenti più concitati, si ha la sensazione che si viaggi sempre col freno a mano tirato. Tutto è insomma abbastanza inerte, ma qui ovviamente c'è il doppio punto di vista riassumibile nella domanda: a chi è rivolta la serie?
Sembra che la risposta sia scontata, eppure al termine della visione molti dubbi permangono.
Se l'obiettivo era conquistare i fan di Halo, si è partiti molto male e non bastano armi e mezzi fedelmente ricostruiti. Benché esista la giustificazione dell'”universo alternativo”, quello che è stato raccontato non risulta particolarmente ispirato e soprattutto decisamente allungato: nove episodi da 50 minuti circa sono decisamente troppi considerando la reale sostanza dell'opera. Per i neofiti invece, forse è anche peggio, con la tentazione di abbandonare il tutto alla terza puntata.
Halo è a conti fatti una serie TV che parte come ambiziosa e finisce con l'essere presuntuosa. Se dal punto di vista meramente estetico riesce ad avere rispetto dell'opera originale (anche se la CGI zoppica un po') sul lato dei contenuti eccede, portando storyline e personaggi di troppo che mal si sposano con il plot principale. I cambiamenti sono sempre ben accetti, ma bisogna avere le idee chiare e questa serie, non le ha. Riesce anche a sminuire l'eroe principale in favore di Cortana (unica nota positiva), puntando a una seconda stagione che a questo punto rischia davvero di partire per la tangente. Ah, c'è anche Kwan Ha.
La triste verità è che questa serie sta ad Halo come la serie Netflix su Death Note sta al manga.
La situazione è resa ancor più difficile dall'introduzione di elmi e caschi in grado di coprire qualsivoglia emozione, e alla domanda “come trasmettere qualcosa attraverso un oggetto inanimato” ha risposto il doppiaggio che, assieme a opportune animazioni è riuscito a caratterizzare alcuni personaggi iconici, come Master Chief.
Da questo punto di vista, Halo ha avuto il complesso obiettivo di rendere lo Spartan John 117 ancora umano, nonostante sapesse spostare un warthog con una mano. Nonostante tutto però, ci si riusciva, soprattutto da quando 343 Industries prese le redini del franchise portando in scena un protagonista molto più incline al dialogo e a un rapporto più aperto con compagni e soprattutto Cortana, la sua fedele IA.
Perché tutto questo preambolo? Perché la questione emotiva e il come questa viene veicolata è proprio uno dei grossi problemi della serie TV. Come più volte affermato dai produttori, siamo distanti dalle vicende videoludiche, cercando di portare una narrazione nuova di zecca in grado di esplorare al meglio la psiche e la volontà dei personaggi. Tutto lodevole e in un certo senso, anche ragionevole.
Si tratta ovviamente di media diversi: se il videogioco può permettersi pause narrative grazie al gameplay, un film o una serie TV devono essere un flusso continuo, con ulteriore approfondimento sulle tematiche e magari, aprendo nuovi filoni tangenti su personaggi fin troppo trascurati. È in questo contesto che Jonh prende un'altra piega, un soldato con un triste passato e uno strano legame con entità e tecnologie ancestrali, un personaggio con parvenze di complessità e alla ricerca del suo vero io, un Master Chief più umano degli umani... insomma, non è colui che abbiamo conosciuto nel franchise videoludico.
È necessariamente un male? Ovviamente no; come detto, questo media esige un trattamento diverso ma come per ogni cosa su questo mondo, l'intenzione non basta. Quello che ci si trova davanti nelle nove puntate della prima stagione ricorda in parte quanto accaduto a Kylo Ren in Star Wars Episodio VII, in cui il temibile Sith, con corazza in grado di richiamare il leggendario Darth Vader, scopre il volto, rivelandosi un ragazzo che alla fine, ha solo bisogno d'affetto, perdendo gran parte del carisma. Ma mentre qui abbiamo a che fare con Adam Driver, uno dei migliori talenti di Hollywood, in Halo abbiamo Pablo Schreiber alle prese con il suo peggior nemico: l'armatura Mjolnir. Il modo in cui la serie cambia mood in base alla comparsa sulle scene della verde corazza è indice che qualcosa non ha funzionato.
La questione emotiva parte proprio da qua, dalla scelta di mostrare già dal primo episodio il volto di Master Chief, causando però un piccolo cortocircuito. Il 99% dei fan del franchise ha sempre interagito con un John tutt'uno con la corazza, quasi in un rapporto simbiotico uomo-macchina. Non è esistito altro: la Mjolnir e Master Chief erano una cosa sola. Tutto il carisma di uno dei personaggi più iconici della storia videoludica era dunque dato da una manciata di animazioni e dal doppiaggio ma come detto, in una serie TV, non bastano. Per poter trasmettere adeguatamente emozioni al pubblico e la possibilità di empatizzare col protagonista, John deve essere chiaramente visibile, da quando sorride a quando è dubbioso e con un casco sempre ben allacciato, ovviamente non sarebbe possibile. O forse sì?
Nel frattempo infatti, è uscita su Disney+ The Mandalorian, con protagonista Pedro Pascal in cui, per tutta serie (tranne una scena), è sempre con l'elmo dei mandaloriani addosso. Nonostante questo ostacolo, si è riusciti a empatizzare con un personaggio sempre uguale a sé stesso fisiognomicamente ma non emotivamente. Il mandaloriano si evolve, cresce e cambia il suo modo di relazionarsi con gli altri per tutta la durata della serie e possiamo andare ben al di là della mera intuizione su cosa prova o sul perché di alcune sue scelte. Una buona scrittura, può permettere a qualunque personaggio di spiccare, indipendentemente se abbia un volto o meno.
Se la scelta di mostrare il volto di Master Chief appare comunque comprensibile, è il modo a creare quel cortocircuito visivo agli spettatori che semplicemente, per il 90% del tempo non sta vedendo Halo, ma qualcosa che gli somiglia.
Eppure le soluzioni esistono, anche solo per mitigare il passaggio da un personaggio coperto a uno scoperto e la cosa incredibile è che durante la serie avviene, ma solo per piccoli sprazzi. Questo espediente a là “Tony Stark”, in cui vediamo il volto di Robert Downey Jr. all'interno dell'armatura, è forse il giusto compromesso, in cui possiamo vedere da fuori il mitico Master Chief, avendo parvenza di star guardando Halo ma anche l'emotività di John all'interno del casco.
Ma ok, magari la scelta di “spogliare” il protagonista è comunque narrativamente giustificata da una storia intrisa di colpi di scena e da una buona qualità. Non proprio.
Questo perché le vicende di John (ma anche dei comprimari) non riescono mai a colpire lo spettatore, trovandosi di fronte a qualcosa di davvero poco interessante, complice anche un'eccessiva lentezza della narrazione, capace di bloccare sul nascere ogni tentativo di speculazione o trasporto emotivo. Non esiste mai un vero climax e anche nei momenti più concitati, si ha la sensazione che si viaggi sempre col freno a mano tirato. Tutto è insomma abbastanza inerte, ma qui ovviamente c'è il doppio punto di vista riassumibile nella domanda: a chi è rivolta la serie?
Sembra che la risposta sia scontata, eppure al termine della visione molti dubbi permangono.
Se l'obiettivo era conquistare i fan di Halo, si è partiti molto male e non bastano armi e mezzi fedelmente ricostruiti. Benché esista la giustificazione dell'”universo alternativo”, quello che è stato raccontato non risulta particolarmente ispirato e soprattutto decisamente allungato: nove episodi da 50 minuti circa sono decisamente troppi considerando la reale sostanza dell'opera. Per i neofiti invece, forse è anche peggio, con la tentazione di abbandonare il tutto alla terza puntata.
Halo è a conti fatti una serie TV che parte come ambiziosa e finisce con l'essere presuntuosa. Se dal punto di vista meramente estetico riesce ad avere rispetto dell'opera originale (anche se la CGI zoppica un po') sul lato dei contenuti eccede, portando storyline e personaggi di troppo che mal si sposano con il plot principale. I cambiamenti sono sempre ben accetti, ma bisogna avere le idee chiare e questa serie, non le ha. Riesce anche a sminuire l'eroe principale in favore di Cortana (unica nota positiva), puntando a una seconda stagione che a questo punto rischia davvero di partire per la tangente. Ah, c'è anche Kwan Ha.
La triste verità è che questa serie sta ad Halo come la serie Netflix su Death Note sta al manga.
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