Dead Space Remake – Recensione
L'orrore si rinnova, ma con criterio
di Marcello Ribuffo
Tra la fine del 2022 e l'inizio di questo 2023 abbiamo assistito a qualcosa di molto particolare nel mercato videoludico, una situazione più unica che rara.
Di fatti abbiamo avuto “quasi” due Dead Space nell'arco di poco più di un mese, uniti da uno strano destino che li ha messi l'uno contro l'altro, alla ricerca dell'identità dura e pura di un brand storico che però, ha trasformato drasticamente la propria natura nei successivi anni.
Nell'angolo rosso di questo ring dell'orrore abbiamo visto The Callisto Protocol, creato dal papà del Dead Space originale Glen Schofield mentre, nell'angolo blu, Motive Studio si è cimentato sul rifacimento totale del primo capitolo, in uno strano scontro e miscuglio di vecchio e nuovo che ha visto vincitore, senza ombra di dubbio, proprio questo remake.
Il team fondato da Jade Raymond ─ ormai l'”Antonio Conte” di questo settore ─ è passato attraverso la produzione di due Star Wars e da un Project Gaia cancellato dopo sei anni di sviluppo, per cui l'aver messo mani su uno dei mostri sacri degli action-horror rappresentava una grossa responsabilità per il team canadese, anche perché la parola “remake” non fa mai dormire sogni tranquilli gli appassionati.
Da quando Capcom ha rilasciato Resident Evil II Remake però, qualcosa sembra essere cambiato: le nuove tecnologie permettono sicuramente un drastico miglioramento delle meccaniche di gioco e l'immersività nel contesto proposto dagli sviluppatori e sebbene siano usciti titoli in grado di accendere gli animi e le discussioni sul tema (se vale la pena o meno di riproporre qualcosa già uscito anni prima) c'è da dire che il livello raggiunto da certe opere mette in secondo piano qualsivoglia polemica.
Dead Space remake è uno di questi, un rifacimento totale del titolo originale targato 2008 e ancora apprezzabile in quasi tutte le sue parti. Tuttavia il peso degli anni si sente e in vista di un progetto ben più grande, che vedrà probabilmente il remake dei successivi capitoli ─ e magari anche di un Dead Space 4 ─ l'operazione risulta a priori interessante, soprattutto se l'obiettivo principale è quello di una migliore amalgama di gameplay e narrativa dell'intera trilogia originale, un po' schizofrenica nel suo percorso, passando da un surival horror claustrofobico a un action in piena regola.
L'amalgama è proprio uno dei temi principali del progetto remake ed evitando di dilungarci su quanto si conosce sulla narrativa del capitolo originale, è interessante notare quanto siano presenti Dead Space 2 e Dead Space 3 in questa riproposizione, con un'attenzione particolare su lore, situazioni e personaggi che valgono molto più di semplici richiami per allettare il fan di turno. L'intero progetto verte dunque sul mettere assieme tutto ciò che è stato raccontato nel frattempo, anche in opere tangenti come libri o fumetti, cercando di raccontare al meglio delle possibilità qualcosa che via via si è complicata e frammentata coi capitoli successivi.
Per fare ciò si è dovuto mettere mano all'intero materiale, effettuando modifiche mirate al character design del protagonista Isaac Clarke e dei comprimari, alla struttura narrativa e agli ambienti di gioco, che mai come questa volta, partecipano al racconto.
Le prime differenze si notano già a partire dal protagonista, non più silenzioso e in balia degli eventi ─ salvo qualche mugugno qua e là ─ ma ora dotato di voce (e quindi di una maggiore personalità) e addirittura del volto scoperto in piccole sezioni, un'operazione di gran lunga migliore rispetto quanto fatto nella serie TV dedicata ad Halo (qui la recensione) con Master Chief.
Nel panorama generale non si tratta di cambiamenti da poco, soprattutto per chi si professa “purista”. Ma i 15 anni di distanza tra una versione e l'altra non sono solo indice di un ovvio miglioramento tecnologico ma anche di una maggiore attenzione verso il comparto narrativo e alla caratterizzazione dei personaggi, visto che nel frattempo abbiamo avuto The Last of Us, Dark Souls e God of War ─ tanto per citare i più eclatanti ─ che sull'attenzione in questi aspetti hanno avuto sicuramente qualcosa da insegnare. È così che Dead Space remake appare simile ma molto diverso dal capitolo originale, proprio per i tanti piccoli tasselli sparsi qua e là che ne completano trama, vivibilità e comprensione del contesto, senza dimenticare atmosfere arricchite da un doppiaggio sicuramente migliore dell'originale ─ un saluto a Dario Argento.
Il doppiatore di Isaac Clarke in Dead Space 2 e Dead Space 3 (Gunner Wright) dunque fa capolino anche qui, restituendo un protagonista più credibile, in grado di rispondere in maniera funzionale a ciò che gli accade attorno. Questo migliora effettivamente la godibilità del titolo in tutti i sui aspetti proprio perché invece che “essere noi” Isaac, viviamo con lui ansie e paure in modo differente rispetto l'originale, spostando il focus empatico su un personaggio che affronta situazioni al limite dell'impossibile.
L'aver dato un maggiore spessore caratteriale ad Isaac Clarke, per quanto piccolo, rende l'approccio a Dead Space qualcosa di nuovo, al netto della maturazione del giocatore avvenuta in questi 15 anni. Tutto ciò riesce a esaltare ogni tipo di relazione con gli altri personaggi presenti sulla Ishimura, il modo di vivere le missioni secondarie e soprattutto il contesto terribile che ci si trova davanti, con un'intera nave spaziale infestata da Necromorfi più spaventosi che mai. Tutto risulta dunque familiare, soprattutto per chi ha già vissuto le disavventure del capitolo originale ma con una spruzzata di pepe bianco in grado di esaltarne l'aroma, con documenti inediti in grado di approfondire ulteriormente quanto raccontato, dialoghi scritti, come detto, con attenzione e prendendo in considerazione i capitoli successivi. Ma la nuova gestione della narrativa, influenza anche il level design.
Molti nuovi documenti infatti, andranno scovati in diverse stanze della nave assolutamente inedite e che a volte comportano l'utilizzo di celle energetiche che però, funzionano in modo discretamente diverso: come per Alien Isolation, capiterà di dover decidere a cosa dare energia, se alle luci o al riciclo dell'aria ad esempio, aumentando la profondità dell'esplorazione (con un backtracking assolutamente vitale) e il tatticismo degli scontri, anche per via della nuova feature introdotta con questo rifacimento: l'Intensity Director.
Essenzialmente si tratta di apparizioni randomiche dei nemici nell'ambiente di gioco ma in realtà è molto più interessante di quanto sembri. Se prendiamo per buono che l'ignoto è una delle cose che fa più paura all'essere umano, il non sapere se, quando e come i Necromorfi appariranno, aggiunge ulteriore tensione al tutto, un po' come quando ci si sentiva costantemente tallonati dallo Xenomorfo nel già citato Alien Isolation. Dunque, oltre alle aree in grado di suggerire imminenti scontri a fuoco, i nemici possono apparire in ogni momento, anche quando pensiamo di essere al sicuro, magari davanti al punto di salvataggio. È anche questo aspetto a contribuire maggiormente all'atmosfera da survival horror del titolo e tralasciando qualche piccolo momento di frustrazione, il sistema è ben equilibrato, in modo da tenere il giocatore sì in tensione ma senza mai stressarlo, in un'altalena fatta di adrenalina e relax che permette il massimo godimento dell'opera.
Tutto quanto detto finora si sposa perfettamente al nuovo modo di esplorare l'Ishimura, non più a comparti stagni ma ora interconnessa, dando quantomeno l'illusione di libertà e rendendo più agevole il backtracking. Il miglioramento delle tecnologie si nota in questi frangenti: è vero, vediamo modelli poligonali più dettagliati, texture più definite e un sound design da urlo (ne parliamo dopo) ma è nel level design e negli ambienti di gioco dove si intravede come in questi 15 anni, maggiore quantità e velocità di memoria unite alla potenza di calcolo abbiano migliorato drasticamente morfologia e complessità delle mappe e la nave spaziale Ishimura, non è da meno. Le interconnessioni tra le varie aree di gioco aumentano esponenzialmente l'immersività, dando la sensazione di muoversi su una nave realizzata con un certo criterio costruttivo e dunque, più realistica. Ritornano anche le aree a gravità zero, più numerose rispetto la prima iterazione ma soprattutto più soddisfacenti.
Fortunatamente la tuta di Isaac ha ricevuto un upgrade abbastanza rilevante, i propulsori, che ci allontanano dalla tediosa meccanica di rimbalzo tra una parete e l'altra, trasformandoci in dei semi-Iron Man, liberi di muoverci e combattere in tutto l'ambiente. Benché il miglioramento sia assolutamente tangibile però, questi tratti in cui il gameplay ci permette di galleggiare risultano la parte meno entusiasmante del titolo e superata una certa sorpresa iniziale, risulterà quasi una complicazione non necessaria, anche se ben contestualizzata.
In queste zone, così come quasi in tutte le altre, bisogna menare le mani, c'è poco da fare. A fronte di un'IA standardizzata ma comunque funzionale al tipo di opera, a essersi rinnovato è anche il gunplay, con variazioni che aggiungono un ulteriore pizzico di tatticismo e diversità d'approccio agli scontri. Cambia innanzitutto il modo con cui si ottengono nuove armi ma soprattutto assistiamo a modalità di fuoco secondarie che ampliano di parecchio le possibilità d'approccio per il giocatore, trovando la strategia e il tipo di fuoco più adatto alle proprie esigenze. Rispetto alla prima iterazione dunque, abbastanza guidato anche da questo punto di vista, il remake ha trasformato il titolo da semplice cacciavite in un coltellino svizzero molto appagante, con armi dotate di diverse animazioni, sound design e feedback che rendono il gunplay davvero soddisfacente.
La simulazione del rinculo ad esempio, molto marcato in molte armi, dà davvero la sensazione di trovarsi con qualcosa di davvero potente e per nulla ordinario, con una percezione del peso in grado di suggerire anche il grado di potenza. Non fraintendeteci però: siamo in costante pericolo e morire è praticamente la prassi dunque, l'approccio generale rimane pressoché immutato, in un ambiente che ci vede sempre come prede e mai come cacciatori. Nessuno vieta che una preda si possa anche divertire però.
L'ottimo feedback delle armi è aiutato anche dalla simulazione dell'impatto dei colpi, con hitbox estremamente precise e sound design che come avrete capito, è fondamentale per restituire al meglio ogni dettaglio dell'opera. Dead Space è conosciuto anche per la possibilità di smembrare i nemici, colpendo parti del corpo specifiche in modo da “disarmarli”. In questa versione, tutto ciò viene portato su un altro livello.
Interviene infatti anche il cosiddetto Peeling System, un sistema che prevede una maggiore complessità nella modellazione dei Necromorfi, costituiti da diversi strati organici in grado di riprodurre in maniera stranamente efficace pelle, tendini, muscoli e ossa, ognuno dotato di propria massa e fragilità. Lo smembramento dei nemici dunque assume una connotazione più splatter e volutamente esagerata eppure anche questo espediente contribuisce a migliorare ulteriormente il feedback dei colpi, proprio perché mentre si colpisce si “percepisce” un diverso impatto, dovuto proprio a questa differenziazione. Nel marasma del combattimento è una feature che può passare del tutto inosservata ma nell'insieme, il Peeling System dà una marcia in più a tutto il gunplay.
Basato su Frostbite Engine, a fronte di qualche inciampo tecnico e a qualche elemento poco definito rispetto al resto, Dead Space remake è indubbiamente un salto tecnico spaventoso rispetto la controparte originale. Molte di queste implementazioni tecniche, dall'audio 3D al ray-tracing, sono da vedersi come implementazioni artistiche, contribuendo a rendere ancor più spaventosi l'Ishimura e tutti i suoi spaventosi abitanti, Necromorfi o meno. Una cosa che si nota subito, oltre all'ovvia risoluzione di texture e shader e a una modellazione poligonale fuori scala rispetto 15 anni fa, è il buio o meglio, una più netta ed efficace transizione tra luce e ombra, dovuta al ray-tracing. È uno dei pochi titoli usciti finora a integrare al meglio questa tecnologia, restituendo non solo scorci mozzafiato quanto spaventosi ma utile ai fini dell'esperienza. Non un vezzo dunque, ma necessario per rendere al meglio una nave alla deriva o per notare dettagli a cui altrimenti non avremmo fatto caso.
Ma l'elemento da applausi dell'opera e il già citato ─ più volte ─ sound design, in grado di esaltare qualunque parte di questo remake. Partiamo dal sistema A.L.I.V.E., in grado di rappresentare al meglio le reazioni fisiche di Isaac come la respirazione, l'affaticamento e la frequenza cardiaca. Questa feature era già presente nell'originale Dead Space ma grazie alle nuove tecnologie questo sistema è stato enormemente ampliato, con una migliore transizione tra uno stato e l'altro e una complessità in grado di mischiare tutto il pacchetto di emozioni che il protagonista prova nel corso dell'avventura, sicuramente esaltate e usate come allegorie uditive ma necessarie per restituire un personaggio credibile.
Ma lo studio del sound design colpisce l'intero ambiente di gioco e anche di più. Prendendo in considerazione il tipo di materiale su cui il suono si propaga, Motive Studio è riuscito nell'intento di rendere una nave spaziale viva come non mai, visto che tutti i suoni presenti dell'Ishimura sono in grado di propagarsi in tre dimensioni, bloccati e riflessi in base al tipo e allo spessore del materiale degli oggetti e alla distanza dal giocatore. Una sorta di occlusione audio che agisce costantemente e sorprende nella sua precisione. Ad esempio, un suono che percepiamo da dietro un muro metallico viene propagato diversamente se accanto a esso vi è una finestra in vetro e basta spostarci di qualche metro per avere un feedback del tutto nuovo. Questo sistema, applicato anche su armi, Necromorfi e tutti gli elementi presenti sulla Ishimura, è probabilmente quello che fa percepire al meglio il salto tecnologico avvenuto negli ultimi anni.
Piccoli cambiamenti sono stati apportati anche all'interfaccia utente, un elemento delicato su cui mettere mano visto che Dead Space, è famoso anche per questo, con l'UI diegetica e totalmente integrata nel mondo di gioco. In questo caso le modifiche sono forse meno tangibili ma importanti al fine di una migliore user experience, soprattutto per i nuovi giocatori.
Di fatti abbiamo avuto “quasi” due Dead Space nell'arco di poco più di un mese, uniti da uno strano destino che li ha messi l'uno contro l'altro, alla ricerca dell'identità dura e pura di un brand storico che però, ha trasformato drasticamente la propria natura nei successivi anni.
Nell'angolo rosso di questo ring dell'orrore abbiamo visto The Callisto Protocol, creato dal papà del Dead Space originale Glen Schofield mentre, nell'angolo blu, Motive Studio si è cimentato sul rifacimento totale del primo capitolo, in uno strano scontro e miscuglio di vecchio e nuovo che ha visto vincitore, senza ombra di dubbio, proprio questo remake.
Il team fondato da Jade Raymond ─ ormai l'”Antonio Conte” di questo settore ─ è passato attraverso la produzione di due Star Wars e da un Project Gaia cancellato dopo sei anni di sviluppo, per cui l'aver messo mani su uno dei mostri sacri degli action-horror rappresentava una grossa responsabilità per il team canadese, anche perché la parola “remake” non fa mai dormire sogni tranquilli gli appassionati.
Da quando Capcom ha rilasciato Resident Evil II Remake però, qualcosa sembra essere cambiato: le nuove tecnologie permettono sicuramente un drastico miglioramento delle meccaniche di gioco e l'immersività nel contesto proposto dagli sviluppatori e sebbene siano usciti titoli in grado di accendere gli animi e le discussioni sul tema (se vale la pena o meno di riproporre qualcosa già uscito anni prima) c'è da dire che il livello raggiunto da certe opere mette in secondo piano qualsivoglia polemica.
Dead Space remake è uno di questi, un rifacimento totale del titolo originale targato 2008 e ancora apprezzabile in quasi tutte le sue parti. Tuttavia il peso degli anni si sente e in vista di un progetto ben più grande, che vedrà probabilmente il remake dei successivi capitoli ─ e magari anche di un Dead Space 4 ─ l'operazione risulta a priori interessante, soprattutto se l'obiettivo principale è quello di una migliore amalgama di gameplay e narrativa dell'intera trilogia originale, un po' schizofrenica nel suo percorso, passando da un surival horror claustrofobico a un action in piena regola.
L'amalgama è proprio uno dei temi principali del progetto remake ed evitando di dilungarci su quanto si conosce sulla narrativa del capitolo originale, è interessante notare quanto siano presenti Dead Space 2 e Dead Space 3 in questa riproposizione, con un'attenzione particolare su lore, situazioni e personaggi che valgono molto più di semplici richiami per allettare il fan di turno. L'intero progetto verte dunque sul mettere assieme tutto ciò che è stato raccontato nel frattempo, anche in opere tangenti come libri o fumetti, cercando di raccontare al meglio delle possibilità qualcosa che via via si è complicata e frammentata coi capitoli successivi.
Per fare ciò si è dovuto mettere mano all'intero materiale, effettuando modifiche mirate al character design del protagonista Isaac Clarke e dei comprimari, alla struttura narrativa e agli ambienti di gioco, che mai come questa volta, partecipano al racconto.
Le prime differenze si notano già a partire dal protagonista, non più silenzioso e in balia degli eventi ─ salvo qualche mugugno qua e là ─ ma ora dotato di voce (e quindi di una maggiore personalità) e addirittura del volto scoperto in piccole sezioni, un'operazione di gran lunga migliore rispetto quanto fatto nella serie TV dedicata ad Halo (qui la recensione) con Master Chief.
Nel panorama generale non si tratta di cambiamenti da poco, soprattutto per chi si professa “purista”. Ma i 15 anni di distanza tra una versione e l'altra non sono solo indice di un ovvio miglioramento tecnologico ma anche di una maggiore attenzione verso il comparto narrativo e alla caratterizzazione dei personaggi, visto che nel frattempo abbiamo avuto The Last of Us, Dark Souls e God of War ─ tanto per citare i più eclatanti ─ che sull'attenzione in questi aspetti hanno avuto sicuramente qualcosa da insegnare. È così che Dead Space remake appare simile ma molto diverso dal capitolo originale, proprio per i tanti piccoli tasselli sparsi qua e là che ne completano trama, vivibilità e comprensione del contesto, senza dimenticare atmosfere arricchite da un doppiaggio sicuramente migliore dell'originale ─ un saluto a Dario Argento.
Il doppiatore di Isaac Clarke in Dead Space 2 e Dead Space 3 (Gunner Wright) dunque fa capolino anche qui, restituendo un protagonista più credibile, in grado di rispondere in maniera funzionale a ciò che gli accade attorno. Questo migliora effettivamente la godibilità del titolo in tutti i sui aspetti proprio perché invece che “essere noi” Isaac, viviamo con lui ansie e paure in modo differente rispetto l'originale, spostando il focus empatico su un personaggio che affronta situazioni al limite dell'impossibile.
L'aver dato un maggiore spessore caratteriale ad Isaac Clarke, per quanto piccolo, rende l'approccio a Dead Space qualcosa di nuovo, al netto della maturazione del giocatore avvenuta in questi 15 anni. Tutto ciò riesce a esaltare ogni tipo di relazione con gli altri personaggi presenti sulla Ishimura, il modo di vivere le missioni secondarie e soprattutto il contesto terribile che ci si trova davanti, con un'intera nave spaziale infestata da Necromorfi più spaventosi che mai. Tutto risulta dunque familiare, soprattutto per chi ha già vissuto le disavventure del capitolo originale ma con una spruzzata di pepe bianco in grado di esaltarne l'aroma, con documenti inediti in grado di approfondire ulteriormente quanto raccontato, dialoghi scritti, come detto, con attenzione e prendendo in considerazione i capitoli successivi. Ma la nuova gestione della narrativa, influenza anche il level design.
Molti nuovi documenti infatti, andranno scovati in diverse stanze della nave assolutamente inedite e che a volte comportano l'utilizzo di celle energetiche che però, funzionano in modo discretamente diverso: come per Alien Isolation, capiterà di dover decidere a cosa dare energia, se alle luci o al riciclo dell'aria ad esempio, aumentando la profondità dell'esplorazione (con un backtracking assolutamente vitale) e il tatticismo degli scontri, anche per via della nuova feature introdotta con questo rifacimento: l'Intensity Director.
Essenzialmente si tratta di apparizioni randomiche dei nemici nell'ambiente di gioco ma in realtà è molto più interessante di quanto sembri. Se prendiamo per buono che l'ignoto è una delle cose che fa più paura all'essere umano, il non sapere se, quando e come i Necromorfi appariranno, aggiunge ulteriore tensione al tutto, un po' come quando ci si sentiva costantemente tallonati dallo Xenomorfo nel già citato Alien Isolation. Dunque, oltre alle aree in grado di suggerire imminenti scontri a fuoco, i nemici possono apparire in ogni momento, anche quando pensiamo di essere al sicuro, magari davanti al punto di salvataggio. È anche questo aspetto a contribuire maggiormente all'atmosfera da survival horror del titolo e tralasciando qualche piccolo momento di frustrazione, il sistema è ben equilibrato, in modo da tenere il giocatore sì in tensione ma senza mai stressarlo, in un'altalena fatta di adrenalina e relax che permette il massimo godimento dell'opera.
Tutto quanto detto finora si sposa perfettamente al nuovo modo di esplorare l'Ishimura, non più a comparti stagni ma ora interconnessa, dando quantomeno l'illusione di libertà e rendendo più agevole il backtracking. Il miglioramento delle tecnologie si nota in questi frangenti: è vero, vediamo modelli poligonali più dettagliati, texture più definite e un sound design da urlo (ne parliamo dopo) ma è nel level design e negli ambienti di gioco dove si intravede come in questi 15 anni, maggiore quantità e velocità di memoria unite alla potenza di calcolo abbiano migliorato drasticamente morfologia e complessità delle mappe e la nave spaziale Ishimura, non è da meno. Le interconnessioni tra le varie aree di gioco aumentano esponenzialmente l'immersività, dando la sensazione di muoversi su una nave realizzata con un certo criterio costruttivo e dunque, più realistica. Ritornano anche le aree a gravità zero, più numerose rispetto la prima iterazione ma soprattutto più soddisfacenti.
Fortunatamente la tuta di Isaac ha ricevuto un upgrade abbastanza rilevante, i propulsori, che ci allontanano dalla tediosa meccanica di rimbalzo tra una parete e l'altra, trasformandoci in dei semi-Iron Man, liberi di muoverci e combattere in tutto l'ambiente. Benché il miglioramento sia assolutamente tangibile però, questi tratti in cui il gameplay ci permette di galleggiare risultano la parte meno entusiasmante del titolo e superata una certa sorpresa iniziale, risulterà quasi una complicazione non necessaria, anche se ben contestualizzata.
In queste zone, così come quasi in tutte le altre, bisogna menare le mani, c'è poco da fare. A fronte di un'IA standardizzata ma comunque funzionale al tipo di opera, a essersi rinnovato è anche il gunplay, con variazioni che aggiungono un ulteriore pizzico di tatticismo e diversità d'approccio agli scontri. Cambia innanzitutto il modo con cui si ottengono nuove armi ma soprattutto assistiamo a modalità di fuoco secondarie che ampliano di parecchio le possibilità d'approccio per il giocatore, trovando la strategia e il tipo di fuoco più adatto alle proprie esigenze. Rispetto alla prima iterazione dunque, abbastanza guidato anche da questo punto di vista, il remake ha trasformato il titolo da semplice cacciavite in un coltellino svizzero molto appagante, con armi dotate di diverse animazioni, sound design e feedback che rendono il gunplay davvero soddisfacente.
La simulazione del rinculo ad esempio, molto marcato in molte armi, dà davvero la sensazione di trovarsi con qualcosa di davvero potente e per nulla ordinario, con una percezione del peso in grado di suggerire anche il grado di potenza. Non fraintendeteci però: siamo in costante pericolo e morire è praticamente la prassi dunque, l'approccio generale rimane pressoché immutato, in un ambiente che ci vede sempre come prede e mai come cacciatori. Nessuno vieta che una preda si possa anche divertire però.
L'ottimo feedback delle armi è aiutato anche dalla simulazione dell'impatto dei colpi, con hitbox estremamente precise e sound design che come avrete capito, è fondamentale per restituire al meglio ogni dettaglio dell'opera. Dead Space è conosciuto anche per la possibilità di smembrare i nemici, colpendo parti del corpo specifiche in modo da “disarmarli”. In questa versione, tutto ciò viene portato su un altro livello.
Interviene infatti anche il cosiddetto Peeling System, un sistema che prevede una maggiore complessità nella modellazione dei Necromorfi, costituiti da diversi strati organici in grado di riprodurre in maniera stranamente efficace pelle, tendini, muscoli e ossa, ognuno dotato di propria massa e fragilità. Lo smembramento dei nemici dunque assume una connotazione più splatter e volutamente esagerata eppure anche questo espediente contribuisce a migliorare ulteriormente il feedback dei colpi, proprio perché mentre si colpisce si “percepisce” un diverso impatto, dovuto proprio a questa differenziazione. Nel marasma del combattimento è una feature che può passare del tutto inosservata ma nell'insieme, il Peeling System dà una marcia in più a tutto il gunplay.
Basato su Frostbite Engine, a fronte di qualche inciampo tecnico e a qualche elemento poco definito rispetto al resto, Dead Space remake è indubbiamente un salto tecnico spaventoso rispetto la controparte originale. Molte di queste implementazioni tecniche, dall'audio 3D al ray-tracing, sono da vedersi come implementazioni artistiche, contribuendo a rendere ancor più spaventosi l'Ishimura e tutti i suoi spaventosi abitanti, Necromorfi o meno. Una cosa che si nota subito, oltre all'ovvia risoluzione di texture e shader e a una modellazione poligonale fuori scala rispetto 15 anni fa, è il buio o meglio, una più netta ed efficace transizione tra luce e ombra, dovuta al ray-tracing. È uno dei pochi titoli usciti finora a integrare al meglio questa tecnologia, restituendo non solo scorci mozzafiato quanto spaventosi ma utile ai fini dell'esperienza. Non un vezzo dunque, ma necessario per rendere al meglio una nave alla deriva o per notare dettagli a cui altrimenti non avremmo fatto caso.
Ma l'elemento da applausi dell'opera e il già citato ─ più volte ─ sound design, in grado di esaltare qualunque parte di questo remake. Partiamo dal sistema A.L.I.V.E., in grado di rappresentare al meglio le reazioni fisiche di Isaac come la respirazione, l'affaticamento e la frequenza cardiaca. Questa feature era già presente nell'originale Dead Space ma grazie alle nuove tecnologie questo sistema è stato enormemente ampliato, con una migliore transizione tra uno stato e l'altro e una complessità in grado di mischiare tutto il pacchetto di emozioni che il protagonista prova nel corso dell'avventura, sicuramente esaltate e usate come allegorie uditive ma necessarie per restituire un personaggio credibile.
Ma lo studio del sound design colpisce l'intero ambiente di gioco e anche di più. Prendendo in considerazione il tipo di materiale su cui il suono si propaga, Motive Studio è riuscito nell'intento di rendere una nave spaziale viva come non mai, visto che tutti i suoni presenti dell'Ishimura sono in grado di propagarsi in tre dimensioni, bloccati e riflessi in base al tipo e allo spessore del materiale degli oggetti e alla distanza dal giocatore. Una sorta di occlusione audio che agisce costantemente e sorprende nella sua precisione. Ad esempio, un suono che percepiamo da dietro un muro metallico viene propagato diversamente se accanto a esso vi è una finestra in vetro e basta spostarci di qualche metro per avere un feedback del tutto nuovo. Questo sistema, applicato anche su armi, Necromorfi e tutti gli elementi presenti sulla Ishimura, è probabilmente quello che fa percepire al meglio il salto tecnologico avvenuto negli ultimi anni.
Piccoli cambiamenti sono stati apportati anche all'interfaccia utente, un elemento delicato su cui mettere mano visto che Dead Space, è famoso anche per questo, con l'UI diegetica e totalmente integrata nel mondo di gioco. In questo caso le modifiche sono forse meno tangibili ma importanti al fine di una migliore user experience, soprattutto per i nuovi giocatori.
Dead Space remake si può dunque definire un'operazione riuscita, in grado di potenziare quasi al massimo una formula ancora attuale ma che per forza di cose è invecchiata. Le modifiche narrative e al protagonista risultano funzionali e ben integrate, in cui si avverte il massimo rispetto per un titolo importantissimo per il medium videoludico. Tutti i miglioramenti tecnici risultano prima di tutto utili ai fini dell'esperienza, su cui spicca un lavoro sul sound design di assoluto livello. Per chi avesse giocato l'originale troverà nel remake una nuova esperienza, un modo diverso di approcciare l'opera anche emotivamente, con un Isaac parlante ma in grado di comunicare molto di più quando sta in silenzio. Se questo sia un pregio o meno lasciamo decidere a voi.