Atelier Marie Remake: The Alchemist of Salburg - Recensione

La prima alchimista di casa Gust torna protagonista di un remake

di TWINKLE

In un mondo fantastico, un cui la maggior parte delle persone vive una vita ordinaria e le esplorazioni sono prerogativa pochi avventurieri prescelti, la città di Salburg ospita la famosa Salburg Academy, facoltà specializzata negli studi di alchimia che forma i migliori alchimisti del continente. La diciannovenne Marlone detta Marie sta ottenendo i voti peggiori nella storia dell'Accademia, ma nonostante questo non si dà per vinta e cerca nuovi modi per migliorare, ma i progressi stentano ad arrivare. La sua istruttrice Ingrid decide quindi di sottoporre Marie ad un’istruzione poco convenzionale, permettendole di utilizzare un atelier per praticare l’alchimia al di fuori della classe, pur continuando i suoi studi. Marie avrà cinque anni di tempo per creare un oggetto di alto rango tramite l’alchimia, solo così potrà diplomarsi all’accademia e diventare finalmente un’alchimista professionista.



Iniziamo con il nome di uno degli alleati della protagonista Marie, “Mu Seqstance”, che letto così non sembra avere granché significato, perché nel remake lo hanno intelligentemente riadattato, ma andando a traslitterare il cognome nel videogioco originale ミュー セクスタンス viene fuori una cosa del tipo Sekusutansu, quindi Mu Sextans, laddove “tan” starebbe per abbronzatura. Lei è sexy, ha la pelle scura, abbronzatura sexy, ovvio no? Fa riflettere il fatto che il giapponese che ha ideato questo nome, nel lontano 1997, con quel modo di pensare tipicamente giapponese anni ‘90 come a dire figuriamoci se qualcuno se ne accorge che tanto questo gioco non uscirà mai dal Giappone, mai si sarebbe immaginato che venticinque anni dopo un italiano ne avrebbe discusso in una recensione, ridacchiando come a dire ma che razza di nome ha questa. Chissà magari questo giapponese appassionato di ragazze abbronzate è Shinichi Yoshiiki, ideatore della serie Atelier, il quale afferma di essersi ispirato per la sua creazione ai suoi studi universitari sull’alchimia, ma anche alla sua passione di collezionare oggetti e cianfrusaglie.



Nagano, località famosa per le scimmie che fanno il bagno nelle terme, è anche la città natale di Gust, piccolo team fondato nel 1993 inizialmente come sviluppatore doujin per PC-98, ma che approda relativamente presto sulla debuttante PlayStation di Sony, un sodalizio che non lascerà più, con lo strategico Falcata: Astran Pardma no Monshou (1995) e il grottesco Welcome House (1996). Atelier Marie: The Alchemist of Salburg sancisce il debutto di Gust nel genere dei giochi di ruolo, palesandosi perdipiù in un periodo alquanto fortunato, il 1997 è infatti l’anno del fenomeno di Final Fantasy VII e del relativo impulso delle vendite di PlayStation in terra nipponica, con il Saturn che d’altro canto continuerà a vendere bene nel mercato interno, il primo Atelier esce intelligentemente su ambedue le piattaforme a 32-bit. Atelier Marie è un successo immediato con oltre 200,000 copie piazzate, promuovendo il franchise quale serie portabandiera della compagnia. Già in questa sua prima iterazione, il gioco di ruolo Gust si contraddistingue dalla più nota concorrenza per alcune sue caratteristiche peculiari, a partire dalla sua atmosfera “pacifica”, non eroe-centrica, che sceglie di restringere il raggio d’azione, operando su due piani paralleli (la formazione personale della protagonista, e ciò che la circonda), con una progressione narrativa che non conosce escalation di tensione, né mondi da salvare, e che ingloba ogni evento in una spiccata quotidianità, in cui confluiscono dialoghi e costruzione di scene caratterizzati da una coerenza temporale ben precisa. Il calendario assume di conseguenza un ruolo centrale per la messa in scena di Atelier Marie che diventa a memoria, salvo smentite, il primo RPG ad implementare questo sistema, di provenienza, quasi certamente, dating sim come l’allora famosissimo Tokimeki Memorial di Konami, ma anche dai farming game, come Bokujō Monogatari (Harvest Moon), che proprio in quel periodo si stavano sviluppando e con i quali la serie Atelier condivide più di un aspetto.



Marie ha cinque anni di tempo per consegnare alla sua severa istruttrice un oggetto che la soddisfi, può sembrare un tempo ragionevolmente lungo, ma ben presto ci accorgeremo di come ogni nostra azione in questo gioco faccia passare dei giorni, dalla creazione degli oggetti alle escursioni, passando per il semplice uscire e rientrare dall’atelier. Pur presentando una struttura abbastanza acerba, rispetto ai capitoli più recenti, gli appassionati della serie troveranno già in questo primo Atelier molte delle caratteristiche tipiche della serie, in particolare nella sua componente gestionale, fatta di scadenze, eventi a tempo e livelli di affinità con i vari personaggi secondari. Questi però, ad eccezione dell’amica del cuore di Marie (Shia), e di Kreis (anch’esso, come Marie, studente dell’accademia), richiedono un compenso per il loro aiuto, essendo degli avventurieri di professione, dovremo quindi tenere d’occhio anche le nostre finanze, oltre alle consuete risorse, prima di partire per un’escursione fuori città. Aumentando il livello di amicizia con loro, oppure raggiungendo determinati obiettivi, si sbloccano eventi secondari che permettono di conoscere meglio questi personaggi; Kreis, inizialmente irrispettoso nei confronti di Marie, inizierà ad apprezzare i suoi sforzi e a trattarla più gentilmente, sapremo come mai Schwalbe ha deciso di diventare un bandito, assisteremo ai tormenti da cavaliere di Kugel, al triste passato di Seqstance e ai problemi di salute di Shia. Nulla che faccia realmente gridare al capolavoro di scrittura, ma sono comunque i momenti migliori che il gioco ha da offrire, spesso concentrati nell’ultimo anno utile e per questo potrebbe servire più di un walkthrough per sbloccarli tutti, le possibilità di saltarne qualcuno, infatti, sono tutt’altro che remote, nonostante il gioco, tramite un inventario totalmente rivisto per il remake, ci elenchi esattamente i requisiti per sbloccare questi eventi e in quale periodo dell’anno si manifestano. La relativa brevità dell’avventura, la quale può esaurirsi in una decina di ore, nonché la presenza di più di un finale, sono chiari elementi che avvalorano il fattore rigiocabilità, come dicevano le riviste di una volta, di Atelier Marie.



Il sistema di combattimento a turni è quanto di più basilare ci si possa aspettare, i personaggi si limitano a progredire di livello per diventare più forti e non imparano nuove tecniche, le uniche variabili sono di conseguenza gli oggetti, siano essi curativi, offensivi o passivi, creati da Marie al calderone. Appare evidente che in questa fase di esordio della serie, Gust non considerasse il combattimento come il focus della sua sperienza, considerandolo quasi come un’attività secondaria da effettuare con l’auto-mode, solo a partire dalla trilogia Iris i combattimenti diventeranno più importanti all’interno dell’impianto degli Atelier. La presenza di alcuni minigiochi mitica in parte una certa quanto intrinseca ripetitività di fondo.



A pochi mesi dal lancio di Atelier Ryza 3: Alchemist of the End & the Secret Key, Gust ripropone il primo Atelier con un remake realizzato in grafica 3D, presentandosi con dei personaggi in super-deformed, uno stile atto a distinguerlo dai capitoli più recenti e non nascondendo al contempo la sua natura di progetto a basso budget. I modelli poligonali sono essenziali e con poche animazioni, ma la resa è comunque gradevole, grazie anche alle splendide illustrazioni e con le ambientazioni che variano comunque con il cambio di stagione. È possibile inoltre scegliere di giocarlo senza la scadenza dei 5 anni, selezionando la modalità Unlimited. Alla luce di ciò il prezzo di lancio però è forse un po’ eccessivo, con oltretutto un ulteriore rincaro per la Deluxe Digital Edition qualora si voglia avere come extra aggiunto anche l’originale Atelier Marie; a queste condizioni è difficile attirare eventuali curiosi, oltre ai fan storici. Junzo Hosoi ha dichiarato l'obiettivo di recuperare tutti gli altri capitoli classici precedenti Rorona, allo scopo di renderli disponibili almeno in versione digitale; prendersi un po’ più di tempo e pubblicare direttamente l’intera trilogia di Salburg tramite una collection, con questo stile grafico, forse avrebbe reso tale operazione di ricostruzione più allettante, così com’è tocca sperare che Atelier Marie venda abbastanza in modo che la sua allieva Elie giovi del medesimo trattamento.

Nel 1997 Atelier Marie implementa qualcosa di unico al classicismo del gioco di ruolo nipponico. Con questo capitolo di esordio, Gust, nel suo solito fare in punta di piedi, pacato, prende riferimento da altri generi evolvendo, o quantomeno variando, i meccanismi consolidati del JRPG preoccupandosi al tempo di rispettarne gli stili. Ed è per questo che Atelier, anche dopo venticinque anni, resta l’opera simbolo del team giapponese, le cui origini rivivono in un remake il cui valore produttivo non sarà forse dei più ammalianti, ma si dimostra comunque un piacevole diversivo e di approfondimento storico in attesa che si palesi la prossima generazione di alchimiste. 


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