Recensione
Soukou no Strain
5.0/10
Soukou no Strain (Fanteria corazzata Strain) è un anime di 13 episodi con un’ambientazione fantascientifica prodotto tra il 2006 e il 2007 dallo Studio Fantasia.
La trama, un soggetto originale creato appositamente per l’anime, è ambientata in un futuro remoto, in cui l’umanità è divisa in due grandi fazioni in guerra di loro: l’Unione e i Deague. All’origine di questa spaccatura, ormai millenaria, la volontà di monopolizzare l’estrazione e lo sfruttamento del carburante che ha consentito all’umanità di intraprendere la strada dei viaggi spaziali a velocità sub-luce. In questo contesto di guerra, protagonista della storia è la sedicenne Sara Werec, figlia di un’importante famiglia dell’Unione e cadetto della Grapera Space Armed Soldier Academy, un’accademia militare creata per addestrare i futuri piloti di Strain, mecha che formano la spina dorsale dell’esercito dell’Unione. Proprio questo è l’obbiettivo della giovane ragazza, il cui sogno è di poter raggiungere nello spazio l’amato fratello Ralph, asso dell’Unione, partito per la guerra diversi anni prima. La vita di Sara e quella dei suoi amici, tuttavia, viene sconvolta all’improvviso da un devastante attacco a sorpresa dei Deague, condotto, con sommo stupore di Sara, proprio dal fratello di quest’ultima. Sconvolta ed incapace di comprendere quanto è accaduto, alla ragazza non resta quindi che inseguire quel fratello tanto amato che però l’ha tradita e le ha rubato tutto ciò che aveva…
Illustrato l’incipit della trama, va detto che quest’ultima, pur avendo degli spunti molto interessanti (il primo episodio è infatti decisamente promettente), soffre notevolmente l’approccio superficiale degli autori, i quali in sostanza non riescono mai a fare decollare la serie verso standard qualitativi elevati. Un aspetto emblematico di ciò sta proprio nell’ambientazione, improntata, almeno apparentemente, ad un elevato realismo, ovviamente nei limiti del genere. Proprio questa scelta, però, rende incomprensibili diversi aspetti della storia, uno su tutti il senso di portare avanti una guerra che comporta la necessità di attendere centinaia di anni anche solo per portare le navi al fronte. Insomma, se gli autori hanno scelto di attenersi ai precetti della teoria della relatività generale (lo scorrere del tempo è diverso se si viaggia ad una velocità vicina a quelle della luce; per capirci pochi minuti a tale velocità equivalgono ad anni interi per chi è ‘rimasto a terra’) è anche vero che essi però non sono stati in grado di comprenderne a pieno le effettive conseguenze, cadendo più volte in insanabili contraddizioni temporali.
Allo stesso modo, l’approccio superficiale di cui sopra si manifesta anche nella trattazione della tematica della morte. In questo senso, un merito di Soukou no Strain è sicuramente quello di non farsi eccessivi problemi nel narrare la morte dei personaggi, nondimeno proprio questa ‘leggerezza’, apprezzabile all’inizio, con lo scorrere della trama risulta essere eccessiva, arrivando a svuotare di ogni pathos la morte stessa, e non certo per una visione cinica, del tutto assente. Insomma, la morte dei personaggi è un evento come tanti, privo di qualsivoglia carica emotiva, non solo per lo spettatore (cosa lecita, anche se la partecipazione emotiva è un elemento importante), ma soprattutto per gli stessi protagonisti, incapaci di provare sentimenti forti e reali, ed estranei alla mera vendetta.
Queste carenze narrative, ovviamente, si riflettono anche sui personaggi. Sara Werec, l’unica ad essere approfondita a livello caratteriale, resta in una sorta di limbo; animata dalla necessità di comprendere le ragioni del fratello, ma talmente ossessionata da ciò dal vivere passivamente tutto ciò che la circonda, compresa la morte delle persone che le stanno vicino. Ad eccezione di Sara, poi, l’unico altro personaggio ad aver un minimo di attenzione è Lotti Gelh, quella che potremmo definire la protagonista secondaria, la quale tuttavia nei fatti si rivela essere una sorta di copia in tono minore di Sara, sostanzialmente incapace di contenderle la scena. Intorno a loro, infine, si muovono una serie di personaggi secondari, privi però di mordente e di carisma, quasi fossero dei soprammobili, necessari per dare un tono all’”arredamento” ma privi di un’effettiva utilità.
Venendo all’aspetto tecnico, non si può certo dire che quest’anime sia un capolavoro; se paragonato ai suoi contemporanei, infatti, si notano delle pecche ed in generale una qualità delle animazioni non eccelsa, in linea con lo standard delle altre opera dello Studio Fantasia, che però, ad esempio, con Kimi ga Nozomu Eien è riuscito a raggiungere ottimi livelli. Per quanto riguarda il doppiaggio, la scelta delle voci appare ben ponderata e anche la recitazione non presenta particolari difetti, così come sono piacevoli l’opening, "Message", cantata da Yoko e l’ending, "Umi no Opal" performed, opera di Sema.
In conclusione, Soukou no Strain, pur vantando ottime premesse, si rivela essere un anime piuttosto anonimo, in altre parole, non “brilla” né in senso positivo, né in senso negativo. I difetti, come detto, non sono pochi, eppure non appesantiscono eccessivamente la trama, che, tutto sommato, scorre veloce (in fondo sono solo 13 episodi), allo stesso tempo, però, essi impediscono all’anime di decollare, consegnandolo nel limbo del vorrei ma non posso. Per tale ragione non mi sento né di consigliarlo né di sconsigliarlo, a dispetto di quanto si può intuire dalla parole usate in precedenza, infatti, non mi sono fatto un’opinione particolarmente negativa dell’anime, tuttavia posso tranquillamente affermare che non resterà a lungo nella mia memoria. Insomma, a mio avviso Soukou no Strain è la classica opera perdibile.
La trama, un soggetto originale creato appositamente per l’anime, è ambientata in un futuro remoto, in cui l’umanità è divisa in due grandi fazioni in guerra di loro: l’Unione e i Deague. All’origine di questa spaccatura, ormai millenaria, la volontà di monopolizzare l’estrazione e lo sfruttamento del carburante che ha consentito all’umanità di intraprendere la strada dei viaggi spaziali a velocità sub-luce. In questo contesto di guerra, protagonista della storia è la sedicenne Sara Werec, figlia di un’importante famiglia dell’Unione e cadetto della Grapera Space Armed Soldier Academy, un’accademia militare creata per addestrare i futuri piloti di Strain, mecha che formano la spina dorsale dell’esercito dell’Unione. Proprio questo è l’obbiettivo della giovane ragazza, il cui sogno è di poter raggiungere nello spazio l’amato fratello Ralph, asso dell’Unione, partito per la guerra diversi anni prima. La vita di Sara e quella dei suoi amici, tuttavia, viene sconvolta all’improvviso da un devastante attacco a sorpresa dei Deague, condotto, con sommo stupore di Sara, proprio dal fratello di quest’ultima. Sconvolta ed incapace di comprendere quanto è accaduto, alla ragazza non resta quindi che inseguire quel fratello tanto amato che però l’ha tradita e le ha rubato tutto ciò che aveva…
Illustrato l’incipit della trama, va detto che quest’ultima, pur avendo degli spunti molto interessanti (il primo episodio è infatti decisamente promettente), soffre notevolmente l’approccio superficiale degli autori, i quali in sostanza non riescono mai a fare decollare la serie verso standard qualitativi elevati. Un aspetto emblematico di ciò sta proprio nell’ambientazione, improntata, almeno apparentemente, ad un elevato realismo, ovviamente nei limiti del genere. Proprio questa scelta, però, rende incomprensibili diversi aspetti della storia, uno su tutti il senso di portare avanti una guerra che comporta la necessità di attendere centinaia di anni anche solo per portare le navi al fronte. Insomma, se gli autori hanno scelto di attenersi ai precetti della teoria della relatività generale (lo scorrere del tempo è diverso se si viaggia ad una velocità vicina a quelle della luce; per capirci pochi minuti a tale velocità equivalgono ad anni interi per chi è ‘rimasto a terra’) è anche vero che essi però non sono stati in grado di comprenderne a pieno le effettive conseguenze, cadendo più volte in insanabili contraddizioni temporali.
Allo stesso modo, l’approccio superficiale di cui sopra si manifesta anche nella trattazione della tematica della morte. In questo senso, un merito di Soukou no Strain è sicuramente quello di non farsi eccessivi problemi nel narrare la morte dei personaggi, nondimeno proprio questa ‘leggerezza’, apprezzabile all’inizio, con lo scorrere della trama risulta essere eccessiva, arrivando a svuotare di ogni pathos la morte stessa, e non certo per una visione cinica, del tutto assente. Insomma, la morte dei personaggi è un evento come tanti, privo di qualsivoglia carica emotiva, non solo per lo spettatore (cosa lecita, anche se la partecipazione emotiva è un elemento importante), ma soprattutto per gli stessi protagonisti, incapaci di provare sentimenti forti e reali, ed estranei alla mera vendetta.
Queste carenze narrative, ovviamente, si riflettono anche sui personaggi. Sara Werec, l’unica ad essere approfondita a livello caratteriale, resta in una sorta di limbo; animata dalla necessità di comprendere le ragioni del fratello, ma talmente ossessionata da ciò dal vivere passivamente tutto ciò che la circonda, compresa la morte delle persone che le stanno vicino. Ad eccezione di Sara, poi, l’unico altro personaggio ad aver un minimo di attenzione è Lotti Gelh, quella che potremmo definire la protagonista secondaria, la quale tuttavia nei fatti si rivela essere una sorta di copia in tono minore di Sara, sostanzialmente incapace di contenderle la scena. Intorno a loro, infine, si muovono una serie di personaggi secondari, privi però di mordente e di carisma, quasi fossero dei soprammobili, necessari per dare un tono all’”arredamento” ma privi di un’effettiva utilità.
Venendo all’aspetto tecnico, non si può certo dire che quest’anime sia un capolavoro; se paragonato ai suoi contemporanei, infatti, si notano delle pecche ed in generale una qualità delle animazioni non eccelsa, in linea con lo standard delle altre opera dello Studio Fantasia, che però, ad esempio, con Kimi ga Nozomu Eien è riuscito a raggiungere ottimi livelli. Per quanto riguarda il doppiaggio, la scelta delle voci appare ben ponderata e anche la recitazione non presenta particolari difetti, così come sono piacevoli l’opening, "Message", cantata da Yoko e l’ending, "Umi no Opal" performed, opera di Sema.
In conclusione, Soukou no Strain, pur vantando ottime premesse, si rivela essere un anime piuttosto anonimo, in altre parole, non “brilla” né in senso positivo, né in senso negativo. I difetti, come detto, non sono pochi, eppure non appesantiscono eccessivamente la trama, che, tutto sommato, scorre veloce (in fondo sono solo 13 episodi), allo stesso tempo, però, essi impediscono all’anime di decollare, consegnandolo nel limbo del vorrei ma non posso. Per tale ragione non mi sento né di consigliarlo né di sconsigliarlo, a dispetto di quanto si può intuire dalla parole usate in precedenza, infatti, non mi sono fatto un’opinione particolarmente negativa dell’anime, tuttavia posso tranquillamente affermare che non resterà a lungo nella mia memoria. Insomma, a mio avviso Soukou no Strain è la classica opera perdibile.