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Cos'è l'autoinganno? Il mentire a se stessi? Una forma di difesa data dal nostro inconscio? Orbene, questo è uno degli elementi chiave dell'opera che ora mi appresto a recensire.
Originariamente nato come una serie di tre light novel, poi solo in seguito adattate in due OAV, "Denpa Teki na Kanojo" (letteralmente "Ragazza elettromagnetica") ci narra le vicende di Juuzawa Juu, un delinquentello che un giorno viene avvicinato da Ochibane Ame, una ragazza che afferma di essere il suo cavaliere da una precedente vita sul pianeta Lemuria; questo è solo l'incipit di una storia che si prefigge l'arduo compito di mostrare ai suoi spettatori alcuni dei disturbi provocati dalla mente umana.
Il titolo dell'opera può trarre in inganno perché con ragazza "elettromagnetica" non s'intende una donna con un circuito elettromagnetico al suo interno, bensì questo termine è usato per identificare quelle persone con qualche rotella fuori posto, in questo caso quindi possiamo tradurre il titolo con "Ragazza Psicopatica", il quale ha più senso di quello precedente vista l'opera.

Nel primo episodio ci viene fatto un esempio della sessualità adolescenziale dei cosiddetti assassini seriali, un accaduto che comporta nella vittima abusata un entrata forzata verso il mondo della sessualità e che istiga la vittima a diventare a sua volta un soggetto che abusa.
All'elemento sopracitato viene aggiunta l'incognita dell'omicidio seriale, in particolare nell'anime vi è la presenza sia dell' "omicida missionario", ovvero colui che vede nell'atto dell'uccidere una missione per sradicare una determinata schiera di persone, sia dell' "omicida edonista", più nello specifico colui che uccide per ricavarne piacere (Thrill-oriented).
Abbiamo infine l'elemento chiave di tutta l'opera, l'autoinganno, quest'ultimo che permette al soggetto in questione di diventare contemporaneamente ingannatore e ingannato e che molto spesso viene utilizzato per difendersi da gravi fattori emotivi.
Nel secondo episodio viene abbandonato l'omicidio seriale per toccare un argomento molto più filosofico: la felicità; qui i personaggi coinvolti nella vicenda ne saranno schiavi al punto da commettere azioni azzardate pur di ottenerla.
Oltre all'ormai collaudato autoinganno vi è presente anche l'elemento della "personale interpretazione della realtà", usato per spiegare quei comportamenti anomali, quasi infantili, di persone all'apparenza sane ma che celano al loro interno una sofferenza che li costringe a crearsi una propria realtà pur di non affrontare le situazioni più dolorose.

Un altro particolare dell'opera è quello di mostrarci alcuni tra i più famosi caratteri stereotipati, visti però sotto tutt'altra luce:
- yandere, la tipica ragazza follemente innamorata del protagonista, forse anche un po' troppo visto che questo suo morboso attaccamento sfocia spesso in veri e propri crimini ai danni dell'innamorato e di chi gli sta intorno (es. Gasai Yuno in "Mirai Nikki");
- yangire, a differenza della yandere, questo tipo di ragazza non è mossa da alcun sentimento ma soltanto da pura pazzia omicida (es. Ryuugu Rena in "Higurashi");
- tsundere, la ragazza perennemente imbronciata e violenta ma che poi si rivela di buon cuore (es. Aisaka Taiga in "Toradora")
- kuudere, una ragazza che si comporta freddamente, all'apparenza impassibile ma che nasconde all'interno di se stessa i suoi veri sentimenti (es. Nagato Yuki nella serie di "Haruhi Suzumiya")
Questo studio dei personaggi mostra anche come negli stereotipi vi è sempre quel pizzico di anormalità e che non sempre la cosa ha connotati positivi come ci viene molto spesso mostrato negli anime.

Finita questa lunga parentesi sugli elementi presenti nell'opera ora arriviamo al lato puramente tecnico dell'anime.
Alla direzione artistica abbiamo Akira Ito, conosciuto per i suoi lavori quali "Elfen Lied", "Baccano!", "Durarara!!" e tanti altri nomi di eccellenza. Il lavoro svolto dal suo gruppo è impeccabile, infatti a distanza di due anni e mezzo il comparto grafico risulta tutt'oggi di ottima fattura, non vi sono elementi di disturbo e il tutto si amalgama bene con le atmosfere sia rilassate sia cupe della serie.
Riguardo il character design dell'anime, spicca invece la figura di Chiyuki Tanaka, che insieme a Yamato Yamamoto ("Kure-nai"), colui che ha ideato il character design dei personaggi della novel, ripropone fedelmente i protagonisti all'interno della storia.
Ad accompagnare il gruppo artistico vi è l'addetto alla fotografia Yoshiaki Okuma che, con i suoi scatti, riesce a creare scenari estremamente suggestivi.
Il tutto sarebbe risultato vano senza l'appoggio di un buon comparto sonoro, e infatti vi è il supporto di un'altra figura estremamente navigata nel suo campo, Katsunori Shimizu, il quale ha pensato bene di assumere Yoshiharu Kata, una scelta ardita vista la sua inesperienza nel settore ma l'esordiente ha ben ripagato la fiducia datagli ideando un comparto musicale di finissima qualità.
Al doppiaggio abbiamo esperti nel settore, Ryou Hirohashi (Kyou Fujibayashi in "Clannad") interpreta la protagonista femminile Tachibana Ame, mentre Yoshimasa Hosoya (Shichika Yasuri in "Katanagatari") presta la sua voce al protagonista maschile Juuzawa Juu.
Alle favolose ending abbiamo nella prima la cantante Tenohira con la sua canzone "Taiyou", mentre a eseguire la seconda è Rumika con la sua "Ikiru Koto".

Un voto così alto deve essere giustificato, quindi mi rifaccio all'analisi degli elementi sopracitati: da quanto dimostrato in precedenza l'opera non è data al caso, la storia è ben studiata e non presenta contraddizioni di alcuna sorta, non è un horror puro ma un ibrido tra un thriller e un investigativo, ma non è nei misteri dove si cela l'eccellenza di questa serie ma nei personaggi, tutti ben caratterizzati e con un qualcosa di anomalo che li contraddistingue, elemento questo che permette loro di essere ricordati vista anche la brevità dell'anime.
Se alcune delle situazioni trattate possono sembrare irrealistiche bisogna ricordare che i sentimenti che ne scaturiscono sono quanto più umani e reali possibili, benché rimangano sempre in quelle rare eccezioni.
Gli scenari sono quelli che più di tutti mi hanno colpito, uniti da un'ottima soundtrack e rumori di sottofondo, riescono a dare esattamente l'effetto che si sono prefissi; vedere uno scenario prettamente urbano in una giornata piovosa, con un corpo che mostra intatti gli innumerevoli tagli e ferite che ha subito, abbandonato sull'asfalto bagnato, fa il suo effetto, soprattutto se accompagnato da una musica di sottofondo che crea un atmosfera opprimente come solo i migliori thriller sanno fare.
Se non si è capito poi, uno degli argomenti che più di tutti mi appassiona è quello del disordine della personalità, quindi non potevo che interessarmi a quest'opera che ci mostra molti degli stereotipi presenti negli anime, analizzandone il comportamento e l'origine di alcuni.
Ed è proprio questo punto che non mi ha permesso di dargli un dieci pieno, infatti tra i quattro citati l'anime ne analizza solo due (yandere e kuudere) lasciandomi a bocca asciutta sui restanti, capirete quindi lo sconforto e la rabbia che ne sono scaturiti.