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Trasposizione dell'originale opera letteraria di Morimi Tomihiko, "Yojō-Han Shinwa Taikei" (ossia "le cronache mitologiche dei quattro tatami e mezzo") scaturisce dall'eccentrico genio di Yuasa Masaaki. Tale lavoro emerge sin dai suoi primi vagiti scenici denotando un gradevolissimo sperimentalismo grafico, coadiuvato da una sceneggiatura insolita, letteralmente logorroica, incalzante e spezzata. A tale positività s'aggiunge una meno lodevole ma pur sempre godibile trama, senza tuttavia poter fare alcun elogio a qualsivoglia orizzonte speculativo, che la leggerezza del soggetto non consente d'estendere.

L'opera s'articola interamente attraverso la soggettività dell'innominato protagonista, definito tramite svariati fra pronomi e appellativi, che descrive puntualmente le diverse alternative fra i suoi potenziali primi due anni universitari.
In questo s'avranno il definirsi della scena nella quale i personaggi si muovono, con la relativa graduale introduzione di questi ultimi, il tutto costituendosi in novità, unioni, intersezioni, paradossi, indizi e spiegazioni più o meno plausibili a consentire tale intreccio e disorientare saggiamente lo spettatore, sì che questi non cerchi autonomamente arcane risoluzioni pseudo-logiche degli accadimenti.
La struttura ciclica si regge saldamente, senza mai evocare noia nel pubblico, prospettiva che la narrazione frenetica e compulsiva della coscienza del protagonista scongiura infallibilmente.

Per l'appunto, il mondo narrato è un grande flusso di coscienza sgorgante dal protagonista e concretizzatosi nelle immagini a noi mostrate, deformato dalle sue ansie, speranze, pulsioni e valori, il tutto perfettamente aderente alla di lui naturale spiegazione, certo stordente e bizzarra per lo spettatore ancora estraneo alle sue logiche soggettive.
Lo vedremo così destreggiarsi ogni volta daccapo nei propri primi anni da studente universitario, forte di spensierati e mirabolanti prospettive di gloria e successo, il cui inizio si situa nella fatidica, è proprio il caso di dirlo, scelta del club extracurricolare cui prendere parte.
Durante tale valutazione la fantasia inizia a giocare liberamente imbastendo utopie sociali e amorose, prontamente infrante dalle incapacità fisico-relazionali del protagonista nonché dalle contingenze che puntualmente e sfavorevolmente lo travolgono, cagionando - ma sovente pur cagionate da - la comparsa dell'ambiguo Ozu, personaggio dai poco rassicuranti aspetto e abitudini, il quale immancabilmente si lega di una forte, malsana e problematica amicizia con l'infelice di cui sopra.
In un modo o nell'altro, le trame più o meno apparentemente malefiche di questo individuo s'intrecceranno quale "filo nero del destino" a unire i due, conducendo la vicenda ai suoi esiti successivi e spesso direttamente ultimi.
E in tutto ciò l'onnipresenza dell'algida Akashi, ma proseguire in questa descrizione si rivelerebbe banale e deleterio verso il pubblico futuro.

L'opera tratta così la (molto dilatata) quotidianità di uno studentucolo qualsiasi, l'emblema della mediocrità che mai sarà nessuno, il tutto però nel suo proprio e unico mondo, rendendo ogni esperienza grandiosa e irripetibile, gonfiando e distorcendo le vicende, quali lo svago esterno agli studi, mutandole in mirabili e tragiche sfide contro una sorte avversa.
In questo, se mi è concesso, devo complimentarmi per la trattazione del tema amoroso il quale, contrariamente all'odierno canone che lo vuole dipinto con toni idilliaci e parossistici, risulta realisticamente molto carnale, ingiustificato e mai immotivatamente invasivo nella scena, senza scadere in eccessi in tali ambiti, sì da dipingere un giovane che non si spinge molto oltre le proprie pulsioni senza, al contempo, vivere per esse.

In conclusione, come già banalmente osservato, l'opera è graficamente superba, costituita da un accorto connubio fra la semplicità e l'eleganza del tratto con la giustapposizione di colori, ambienti e fondali fortemente contrastanti, sino all'utilizzo di riprese reali nelle quali far muovere i personaggi.
Regia e sceneggiatura ben governano tale imbarcazione, sapendo esattamente evocare la logorroica concitazione dei liberi pensieri del protagonista; cionondimeno l'opera ha i suoi limiti, oltre i quali non può ambire, essendo pur sempre il soggetto semplice, univocamente interpretabile e in sé speculativamente sterile.
Un'opera valida, priva di eccessive pretese e onesta nel fornire quanto si prospettava, direi largamente apprezzabile, eccezion fatta per i più incapaci estimatori di un pur minimo sperimentalismo non tanto grafico quanto scenico e registico.