Recensione
Daria
10.0/10
Era assolutamente prevedibile che il trionfale successo de "I Simpson" negli Stati Uniti e poi nel mondo desse il via a tutta una serie di cartoni animati simili per umorismo e tematiche. "I Griffin", "American Dad", "Beavis and Butt-Head", "South Park", "Drawn Together" e altri devono sicuramente moltissimo alla creatura di Matt Groening. In tutte queste serie infatti si possono ritrovare lo stesso spirito satirico nei confronti della politica e della società, le gag più o meno volgari, il rifiuto di qualsiasi trovata politicamente corretta, il gusto per la parodia e la citazione della cultura popolare in toto. A mio modesto parere però il migliore cartone nato sulla scia de "I Simpson" è proprio "Daria".
Nata come spin-off dell'altra serie culto di MTV, "Beavis and Butt-Head", "Daria" ha una trama semplicissima, come si addice a questo tipo di cartoni. Non è altro che la storia di un'adolescente, Daria Morgendoffen, dal quoziente intellettivo sopra la media, costretta a vivere la propria tragica adolescenza in una cittadina della terrificante provincia americana, Lawndale. Tutti i coetanei la considerano strana e le stanno alla larga, tranne la sua unica amica, Jane, pittrice darkettona che condivide la sua repulsione per il clima di ipocrisia e conformismo in cui sembrano immerse le vite di tutti. L'unica arma che hanno per difendersi dallo squallore quotidiano? La loro sottile quanto splendida ironia, che ci verrà servita a piene mani per sessantasette episodi e due lungometraggi.
Perché dico che questa è la serie americana più bella tra quelle nate sulla scia de "I Simpson"? Innanzitutto per il suo umorismo. "Daria" non cerca la risata di pancia a tutti i costi, come spesso accade ne "I Griffin" o in "South Park", con il risultato che la coerenza del racconto viene spesso sacrificata in nome della vena demenziale della gag. L'umorismo di "Daria" è molto più sottile e cerebrale, non ci si ammazza insomma dalle risate, ma la descrizione della società che vuole denunciare è così resa in ogni sfumatura, anche la più impalpalbile. Il risultato? Che è impossibile non vedere "Daria" senza riconoscersi nelle situazioni che si trova a vivere, o nei personaggi che la circondano. Il focus di questa serie infatti è molto più ristretto rispetto a quello de "I Simpson": se nel cartone di Matt Groening tutto finisce nel tritacarne dello sberleffo (dalla famiglia all'energia nucleare, dalla politica alla televisione spazzatura, dall'economia alla vita di provincia in America), "Daria" concentra il suo sguardo quasi esclusivamente sul mondo della scuola e dell'adolescenza. Scelta certo non improvvisata visto il pubblico della rete dove veniva trasmesso: d'altronde anche "Beavis and Butt-Head" aveva la stessa identica ambientazione e lo stesso tipo di protagonisti. Proprio questa scelta però è un ulteriore elemento a favore della serie, in quanto innanzitutto permette alla stessa di distinguersi dai vari cartoni nati per palingenesi dalla gialla famiglia di Springfield. In secondo luogo "Daria", mantenendosi su dei precisi binari tematici, non si perde in mille rivoli e spunti narrativi, ma ha una sua precisa linea narrativa in cui il tempo passa, i personaggi crescono ed evolvono fino alla naturale conclusione - ebbene sì, "Daria" ha un finale ben preciso. Questo ovviamente non toglie un grammo di forza alla satira urticante di questa serie, anzi, forse l'intento di denuncia sociale è ancora più evidente che in qualsiasi altro cartone del genere visto che non ci sono distrazioni. D'altronde, quali sono i luoghi per eccellenza in cui apprendiamo i valori secondo cui dovremmo vivere e al tempo stesso scopriamo quelli per cui tutti effettivamente vivono? Ovviamente la famiglia e la scuola, microcosmi che in "Daria" ci vengono descritti in maniera lucidamente cinica grazie a una galleria di personaggi spassosi quanto aberranti. Da una parte ci sono i Morgendoffen con la sorella minore di Daria, Quinn, che è la classica truzza piena di amiche e pretendenti, il padre Jake, un uomo insicuro e pasticcione con il complesso di guadagnare decisamente meno della moglie Helen, avvocato di successo preoccupata dal fatto che Daria non abbia amici e, al tempo stesso, incapace di capire perché.
Poi c'è tutto l'universo scolastico di "Daria", fatto da professori nevrotici e frustrati, una preside impegnata a trovare i modi più assurdi per ripianare i buchi di bilancio del liceo e un catalogo di casi umani tra i compagni di Daria non indifferente. Ci sono Brittany e Kevin, rispettivamente cheerleader e quatterback del liceo, così stupidi da fare insieme più che un cuore e una capanna un cervello in due; c'è Jodie, la ragazza di colore cosidetta "secchiona" della scuola che per realizzare i sogni di riscatto dei genitori si rovina la vita in attività utili per entrare ad Harvard; ci sono le terribili ragazze del Club della Moda, stupidissime, acide, pettegole e all'oscuro del fatto che la loro amica del cuore Quinn sia la sorella di quella Daria.
Dando uno sguardo alle musiche e all'aspetto grafico, "Daria" è anni '90 allo stato puro. Lo stile di disegno è volto all'assenza di qualsiasi estetica romantica in salsa Disney, è pulito, preciso nonché brutale nel mostrare i difetti e le caratteristiche dei personaggi. Il comparto musicale è a dir poco eccellente, dato che la colonna sonora è tutta in salsa rock anni Novanta, musica che viene omaggiata anche tramite uno dei personaggi. Difatti Trent, il fratello maggiore di Jane nonché grande amore di Daria, si chiama ed è ricalcato interamente sulla figura di Trent Reznor, il leader dei Nine Inch Nails.
Che dire insomma? "Daria" riprende in pieno lo spirito di un'epoca, gli anni Novanta in America, di cui la televisione fu la spia rivelatrice più evidente assieme alla musica grunge. Un'epoca in cui il manicheismo della lotta tra USA e URSS andava ormai in soffitta, dove la retorica patriottica in salsa revanscista di Reagan post-Vietnam perdeva la sua spinta propulsiva, dove l'ottimismo di plastica degli anni Ottanta mostrava la corda. Un'epoca in cui insomma trovarono il loro spazio in tv serie come "Daria", in cui le cose venivano irrise e mostrate per quello che sono davvero.
Se avete visto già tutti gli anime imprescindibili, passate dall'altra parte del Pacifico e godetevi quest'autentica perla.
Nata come spin-off dell'altra serie culto di MTV, "Beavis and Butt-Head", "Daria" ha una trama semplicissima, come si addice a questo tipo di cartoni. Non è altro che la storia di un'adolescente, Daria Morgendoffen, dal quoziente intellettivo sopra la media, costretta a vivere la propria tragica adolescenza in una cittadina della terrificante provincia americana, Lawndale. Tutti i coetanei la considerano strana e le stanno alla larga, tranne la sua unica amica, Jane, pittrice darkettona che condivide la sua repulsione per il clima di ipocrisia e conformismo in cui sembrano immerse le vite di tutti. L'unica arma che hanno per difendersi dallo squallore quotidiano? La loro sottile quanto splendida ironia, che ci verrà servita a piene mani per sessantasette episodi e due lungometraggi.
Perché dico che questa è la serie americana più bella tra quelle nate sulla scia de "I Simpson"? Innanzitutto per il suo umorismo. "Daria" non cerca la risata di pancia a tutti i costi, come spesso accade ne "I Griffin" o in "South Park", con il risultato che la coerenza del racconto viene spesso sacrificata in nome della vena demenziale della gag. L'umorismo di "Daria" è molto più sottile e cerebrale, non ci si ammazza insomma dalle risate, ma la descrizione della società che vuole denunciare è così resa in ogni sfumatura, anche la più impalpalbile. Il risultato? Che è impossibile non vedere "Daria" senza riconoscersi nelle situazioni che si trova a vivere, o nei personaggi che la circondano. Il focus di questa serie infatti è molto più ristretto rispetto a quello de "I Simpson": se nel cartone di Matt Groening tutto finisce nel tritacarne dello sberleffo (dalla famiglia all'energia nucleare, dalla politica alla televisione spazzatura, dall'economia alla vita di provincia in America), "Daria" concentra il suo sguardo quasi esclusivamente sul mondo della scuola e dell'adolescenza. Scelta certo non improvvisata visto il pubblico della rete dove veniva trasmesso: d'altronde anche "Beavis and Butt-Head" aveva la stessa identica ambientazione e lo stesso tipo di protagonisti. Proprio questa scelta però è un ulteriore elemento a favore della serie, in quanto innanzitutto permette alla stessa di distinguersi dai vari cartoni nati per palingenesi dalla gialla famiglia di Springfield. In secondo luogo "Daria", mantenendosi su dei precisi binari tematici, non si perde in mille rivoli e spunti narrativi, ma ha una sua precisa linea narrativa in cui il tempo passa, i personaggi crescono ed evolvono fino alla naturale conclusione - ebbene sì, "Daria" ha un finale ben preciso. Questo ovviamente non toglie un grammo di forza alla satira urticante di questa serie, anzi, forse l'intento di denuncia sociale è ancora più evidente che in qualsiasi altro cartone del genere visto che non ci sono distrazioni. D'altronde, quali sono i luoghi per eccellenza in cui apprendiamo i valori secondo cui dovremmo vivere e al tempo stesso scopriamo quelli per cui tutti effettivamente vivono? Ovviamente la famiglia e la scuola, microcosmi che in "Daria" ci vengono descritti in maniera lucidamente cinica grazie a una galleria di personaggi spassosi quanto aberranti. Da una parte ci sono i Morgendoffen con la sorella minore di Daria, Quinn, che è la classica truzza piena di amiche e pretendenti, il padre Jake, un uomo insicuro e pasticcione con il complesso di guadagnare decisamente meno della moglie Helen, avvocato di successo preoccupata dal fatto che Daria non abbia amici e, al tempo stesso, incapace di capire perché.
Poi c'è tutto l'universo scolastico di "Daria", fatto da professori nevrotici e frustrati, una preside impegnata a trovare i modi più assurdi per ripianare i buchi di bilancio del liceo e un catalogo di casi umani tra i compagni di Daria non indifferente. Ci sono Brittany e Kevin, rispettivamente cheerleader e quatterback del liceo, così stupidi da fare insieme più che un cuore e una capanna un cervello in due; c'è Jodie, la ragazza di colore cosidetta "secchiona" della scuola che per realizzare i sogni di riscatto dei genitori si rovina la vita in attività utili per entrare ad Harvard; ci sono le terribili ragazze del Club della Moda, stupidissime, acide, pettegole e all'oscuro del fatto che la loro amica del cuore Quinn sia la sorella di quella Daria.
Dando uno sguardo alle musiche e all'aspetto grafico, "Daria" è anni '90 allo stato puro. Lo stile di disegno è volto all'assenza di qualsiasi estetica romantica in salsa Disney, è pulito, preciso nonché brutale nel mostrare i difetti e le caratteristiche dei personaggi. Il comparto musicale è a dir poco eccellente, dato che la colonna sonora è tutta in salsa rock anni Novanta, musica che viene omaggiata anche tramite uno dei personaggi. Difatti Trent, il fratello maggiore di Jane nonché grande amore di Daria, si chiama ed è ricalcato interamente sulla figura di Trent Reznor, il leader dei Nine Inch Nails.
Che dire insomma? "Daria" riprende in pieno lo spirito di un'epoca, gli anni Novanta in America, di cui la televisione fu la spia rivelatrice più evidente assieme alla musica grunge. Un'epoca in cui il manicheismo della lotta tra USA e URSS andava ormai in soffitta, dove la retorica patriottica in salsa revanscista di Reagan post-Vietnam perdeva la sua spinta propulsiva, dove l'ottimismo di plastica degli anni Ottanta mostrava la corda. Un'epoca in cui insomma trovarono il loro spazio in tv serie come "Daria", in cui le cose venivano irrise e mostrate per quello che sono davvero.
Se avete visto già tutti gli anime imprescindibili, passate dall'altra parte del Pacifico e godetevi quest'autentica perla.