Recensione
Confessions
9.0/10
Con un ritardo di oltre tre anni, arriva nelle sale italiane il film di Tetsuya Nakashima e bisogna proprio dirlo: come le raccontano gli orientali le storie di vendetta non lo fa nessuno.
L'ultimo giorno di scuola, la professoressa Moriguchi racconta alla sua classe una lunga storia che riguarda la privazione, avvenuta ai suoi danni, della cosa più preziosa che possedesse: la piccola Manami, sua figlia. "Tutto normale" se non fosse che proprio in quella classe si celano i carnefici della bambina verso i quali si scaglia una vendetta architettata fin nei minimi particolari per tutta la durata del film.
Confessions, tratto dall'omonimo libro di Kanae Minato, è un lungo viaggio tramite i flussi di coscienza dei protagonisti che argomentano le loro "confessioni" attraverso una crudeltà spiazzante e disumana. Ogni attore di questa tragedia è vittima e carnefice e il suo ruolo cambia in continuazione sia per quanto riguarda la storia, cronologicamente parlando, sia per quanto riguarda la storia per come ci viene raccontata. Complice un montaggio perfetto che solo nella prima scena (i 20 minuti più belli visti ultimamente in un film) meriterebbe un Oscar. Un film sontuoso ed elegante nella sua realizzazione, ma allo stesso tempo glaciale per gli eventi raccontati. Non solo una vendetta come ce la raccontavano gli antichi greci e i maggiori drammaturghi della Storia, ma anche uno spaccato di vita sociale, con un'evidente denuncia su alcune questioni culturali che affliggono il Giappone. Ne sono un esempio la competizione tra studenti oppure le aspettative dei genitori nei confronti dei figli che portano a vere e proprie ossessioni se non a pericolose patologie mentali.
Nakashima ci mette anche tanto impegno per confezionare un prodotto coi fiocchi e laddove si rischiano virtuosismi di regia e messa in scena, in realtà si trovano perfetti dosaggi di elementi narrativi: movimenti di macchina, ralenty, stili diversi di regia, una fotografia gelida, sono perfettamente coerenti e giustificati dal racconto, al punto che non ci accorgiamo della loro reiterazione nel corso del film.
Dunque, un film forte, bello e decisamente da vedere, dove la violenza più che essere raffigurata col sangue (comunque presente) viene raccontata con le parole e con le conseguenze che le azioni portano con sé.
L'ultimo giorno di scuola, la professoressa Moriguchi racconta alla sua classe una lunga storia che riguarda la privazione, avvenuta ai suoi danni, della cosa più preziosa che possedesse: la piccola Manami, sua figlia. "Tutto normale" se non fosse che proprio in quella classe si celano i carnefici della bambina verso i quali si scaglia una vendetta architettata fin nei minimi particolari per tutta la durata del film.
Confessions, tratto dall'omonimo libro di Kanae Minato, è un lungo viaggio tramite i flussi di coscienza dei protagonisti che argomentano le loro "confessioni" attraverso una crudeltà spiazzante e disumana. Ogni attore di questa tragedia è vittima e carnefice e il suo ruolo cambia in continuazione sia per quanto riguarda la storia, cronologicamente parlando, sia per quanto riguarda la storia per come ci viene raccontata. Complice un montaggio perfetto che solo nella prima scena (i 20 minuti più belli visti ultimamente in un film) meriterebbe un Oscar. Un film sontuoso ed elegante nella sua realizzazione, ma allo stesso tempo glaciale per gli eventi raccontati. Non solo una vendetta come ce la raccontavano gli antichi greci e i maggiori drammaturghi della Storia, ma anche uno spaccato di vita sociale, con un'evidente denuncia su alcune questioni culturali che affliggono il Giappone. Ne sono un esempio la competizione tra studenti oppure le aspettative dei genitori nei confronti dei figli che portano a vere e proprie ossessioni se non a pericolose patologie mentali.
Nakashima ci mette anche tanto impegno per confezionare un prodotto coi fiocchi e laddove si rischiano virtuosismi di regia e messa in scena, in realtà si trovano perfetti dosaggi di elementi narrativi: movimenti di macchina, ralenty, stili diversi di regia, una fotografia gelida, sono perfettamente coerenti e giustificati dal racconto, al punto che non ci accorgiamo della loro reiterazione nel corso del film.
Dunque, un film forte, bello e decisamente da vedere, dove la violenza più che essere raffigurata col sangue (comunque presente) viene raccontata con le parole e con le conseguenze che le azioni portano con sé.