Recensione
Karneval
5.0/10
Recensione di rossocenere
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Non è nuovo il tentativo di Manglobe di lanciarsi su un titolo il cui manga è ancora in corso: "Deadman Wonderland" ne è un esempio tangibile. Questa volta la patata bollente è passata tra le mani di Karneval, celebre manga scritto e disegnato da Touya Mikanagi, caratterizzato da un'atmosfera minuziosamente curata, che si confà al panorama di costumi sfarzosi e ricamati, come delle linee arabeggianti impazzite su un foglio. In altri termini, un circo - meglio, un "Karnevale" - che si cimenta nella propria esibizione tra piroette e fiotti purpurei.
L'esistenza del manga, già avviato in Giappone da diverso tempo, è sintomo di una storia carica di eventi, le cui basi sono già tracciate e le cui evoluzioni sono già impresse su carta, pronte ad essere trasposte su piano animato. Un sintomo che si manifesta in maniera malata, ossia con l'amara consapevolezza che tale occasione non verrà sfruttata.
Visionando velocemente la trama: "Nai è alla ricerca dell'uomo che lo ha allevato, egli è sparito all'improvviso, lasciando dietro di sé solo un braccialetto, che reca un simbolo riconducibile alla più potente organizzazione del paese, la fantomatica, Circus. Nai per una serie di circostanze si ritrova coinvolto con Gereki, un ragazzo, il quale per per tirare avanti fa il ladro e il borseggiatore. Ma è stato solo un incontro casuale? Ben presto i due vengono braccati."
Gli intenti dell'opera appaiono oscuri, a dirla tutta non appaiono affatto. Karneval, infatti, si nasconde dietro le maschere del proprio circo, per mostrare solo un grande aspetto di facciata, per rivelare un nulla di fondo.
È bene dunque riconoscere una serie per le proprie caratteristiche e potenzialità, ed è proprio questo che rende "Karneval" oggetto di delusione; poiché effettivamente, nel panorama dell'animazione nipponica attuale, sono poche le serie ad avere le carte in regola per realizzare un lavoro coi fiocchi.
E sono ancora meno quelle con le carte in regola, ma senza il Jolly: "Karneval" si posiziona esattamente tra le produzioni animate che ha tutte le carte, ma che le lascia coperte a prendere polvere.
Vorrei premere precisamente su questo: nessuno spettacolo di magia ha mai affascinato qualcuno senza rivelare gli assi nella propria manica. Le potenzialità che, dunque, possiamo trovare nei più variopinti e differenti aspetti dell'anime, vengono inquadrate da una prospettiva in bianco e nero, che non permette loro di innalzarsi e germogliare.
La principale caratteristica di cui la serie potrebbe vantarsi sono i disegni ed i costumi, affascinanti e talvolta eleganti, che risalgono ad un'epoca che s'incrocia tra il moderno ed il barocco. Il comparto musicale, descritto da un'OST che non si erge oltre media delle colonne sonore, dà il meglio di sé nella sigla d'apertura e nelle scene d'azione, in cui si riveste di una carica incalzante; la sigla finale fa sprofondare il giudizio: così come nel ritmo e nelle animazioni, è banale anche nel testo. La regia è confusa, a volte brilla e più volte annoia.
Il doppiaggio, impeccabile, esalta la bellezza - fisionomica e non - di ogni personaggio; bellezza che si perde quando la trama procede a tentoni, e così i personaggi la seguono, vagando in un vortice che li rende nient'altro che bambole dall'aspetto gradevole. In altri termini, il fenomeno della caratterizzazione dei personaggi procede in maniera direttamente proporzionale all'evoluzione della trama.
Non c'è dubbio, lo studio Manglobe ha solo approfittato di un materiale già corposo e ben progettato per ribaltarlo e renderlo uno specchio per allodole, anzi, per la massa e il fenomeno di diffusione commerciale.
In conclusione, cos'è Karneval? Leggendola con la stessa chiave che ci offre lo studio Mangolbe, si potrebbe definire "un carnevale dai colori spenti". In altre parole, una grandissima occasione sprecata.
L'esistenza del manga, già avviato in Giappone da diverso tempo, è sintomo di una storia carica di eventi, le cui basi sono già tracciate e le cui evoluzioni sono già impresse su carta, pronte ad essere trasposte su piano animato. Un sintomo che si manifesta in maniera malata, ossia con l'amara consapevolezza che tale occasione non verrà sfruttata.
Visionando velocemente la trama: "Nai è alla ricerca dell'uomo che lo ha allevato, egli è sparito all'improvviso, lasciando dietro di sé solo un braccialetto, che reca un simbolo riconducibile alla più potente organizzazione del paese, la fantomatica, Circus. Nai per una serie di circostanze si ritrova coinvolto con Gereki, un ragazzo, il quale per per tirare avanti fa il ladro e il borseggiatore. Ma è stato solo un incontro casuale? Ben presto i due vengono braccati."
Gli intenti dell'opera appaiono oscuri, a dirla tutta non appaiono affatto. Karneval, infatti, si nasconde dietro le maschere del proprio circo, per mostrare solo un grande aspetto di facciata, per rivelare un nulla di fondo.
È bene dunque riconoscere una serie per le proprie caratteristiche e potenzialità, ed è proprio questo che rende "Karneval" oggetto di delusione; poiché effettivamente, nel panorama dell'animazione nipponica attuale, sono poche le serie ad avere le carte in regola per realizzare un lavoro coi fiocchi.
E sono ancora meno quelle con le carte in regola, ma senza il Jolly: "Karneval" si posiziona esattamente tra le produzioni animate che ha tutte le carte, ma che le lascia coperte a prendere polvere.
Vorrei premere precisamente su questo: nessuno spettacolo di magia ha mai affascinato qualcuno senza rivelare gli assi nella propria manica. Le potenzialità che, dunque, possiamo trovare nei più variopinti e differenti aspetti dell'anime, vengono inquadrate da una prospettiva in bianco e nero, che non permette loro di innalzarsi e germogliare.
La principale caratteristica di cui la serie potrebbe vantarsi sono i disegni ed i costumi, affascinanti e talvolta eleganti, che risalgono ad un'epoca che s'incrocia tra il moderno ed il barocco. Il comparto musicale, descritto da un'OST che non si erge oltre media delle colonne sonore, dà il meglio di sé nella sigla d'apertura e nelle scene d'azione, in cui si riveste di una carica incalzante; la sigla finale fa sprofondare il giudizio: così come nel ritmo e nelle animazioni, è banale anche nel testo. La regia è confusa, a volte brilla e più volte annoia.
Il doppiaggio, impeccabile, esalta la bellezza - fisionomica e non - di ogni personaggio; bellezza che si perde quando la trama procede a tentoni, e così i personaggi la seguono, vagando in un vortice che li rende nient'altro che bambole dall'aspetto gradevole. In altri termini, il fenomeno della caratterizzazione dei personaggi procede in maniera direttamente proporzionale all'evoluzione della trama.
Non c'è dubbio, lo studio Manglobe ha solo approfittato di un materiale già corposo e ben progettato per ribaltarlo e renderlo uno specchio per allodole, anzi, per la massa e il fenomeno di diffusione commerciale.
In conclusione, cos'è Karneval? Leggendola con la stessa chiave che ci offre lo studio Mangolbe, si potrebbe definire "un carnevale dai colori spenti". In altre parole, una grandissima occasione sprecata.