Recensione
Jinrui wa Suitai Shimashita
7.0/10
Recensione di Locke Cole
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Cinico idillio bucolico tinto delicatamente d'umorismo nero, "Jinrui wa Suitai Shimashita" è una di quelle rare opere d'animazione che riesce in maniera straordinariamente piacevole a non parlare di niente.
Delicata tanto nei toni quanto nei colori, la serie si muove per brevi accenni e desiste sin da subito dal prendersi seriamente, giocando con antifrastica ironia già tra il catastrofico titolo e la distesa rilassatezza della narrazione. Ciononostante non si tratta solo di una bella forma dalle tinte a pastello, ma "Jintai" sa essere sottile, aprendo tenui spiragli ad amare riflessioni, senza comunque rendere mai i toni opprimenti.
L'ossimorico intreccio s'avvolge intorno ad una bella mediatrice delle Nazioni Unite, un'indolente, dolce e ipocrita fanciulla innominata. Saltellando senza continuità temporale, la narrazione ci condurrà per la sua quotidiana e placida esistenza, in verità surreale e talvolta grottesca, un contrappunto fra comicità affilata e spensierata allegria.
Mentre la vecchia umanità è in declino, una nuova s'affaccia sul mondo, piccola, incomprensibile e inquietante, le fate: tremendamente volubili e rapide al tedio più angosciante, genuinamente e infantilmente crudeli, radicalmente edoniste e puramente amorali, sciocche e altrettanto brillanti, queste dolci e spaventose creature si svelano più profondamente come il parossistico riflesso dell'umanità. In una parola: folli.
Questi minuti esseri, capaci di discorrere su quanto v'è di più orrendo senza mutare la propria ridicola espressione, manovreranno sempre, più o meno distantemente, l'azione della malcapitata protagonista, precipitandola in paradossali scenari e distorcendone la quotidianità, un onirico calvario che solo grazie alla sua lievità d'animo e il consumato cinismo la ragazza riuscirà a sopportare.
Proprio la protagonista, punto di vista della narrazione, è il nodo dell'intera vicenda e la sua riuscita deve considerarsi il vanto della serie: sin troppo umana e visceralmente antieroica, l'innominata donzella si rivela un'efficace crasi tra il suo tenero sembiante e gli affabili modi con uno straordinario egoismo e disinteresse, sempre attenta al calcolo opportunistico della minimizzazione della fatica. In ciò si rivela particolarmente capace la doppiatrice, abile nel gestirne il registro vocale, modulandolo felicemente a seconda delle occasioni.
Intorno a lei si giostrerà un esiguo numero di personaggi secondari, rapidi ad uscir di scena in forza della brevità e discontinuità degli archi narrativi, tuttavia il tempo concessogli sarà sufficiente a dare il giusto tono alla scena e a delinearli nei loro caratteri fortemente unilaterali e peculiari: si ha così l'alternarsi sul palco di figure che vanno dall'ossessionata di storie di ragazzi che "sono più che amici" alla sonda spaziale che ha guadagnato l'autocoscienza, dal silenzioso assistente in camicia hawaiana al nonno sempre intento a lucidare interi arsenali di armi da fuoco.
In conclusione, "Jintai" è un'opera leggera (ma non troppo) e piacevole, tanto fugace quanto appagante esteticamente, in grado di farsi seguire fra battute taglienti e umorismo nonsense, capace di criticare ferocemente la società con il sorriso sulle labbra, con poche pretese e pienamente in grado d'appagare quelle che si pone.
Delicata tanto nei toni quanto nei colori, la serie si muove per brevi accenni e desiste sin da subito dal prendersi seriamente, giocando con antifrastica ironia già tra il catastrofico titolo e la distesa rilassatezza della narrazione. Ciononostante non si tratta solo di una bella forma dalle tinte a pastello, ma "Jintai" sa essere sottile, aprendo tenui spiragli ad amare riflessioni, senza comunque rendere mai i toni opprimenti.
L'ossimorico intreccio s'avvolge intorno ad una bella mediatrice delle Nazioni Unite, un'indolente, dolce e ipocrita fanciulla innominata. Saltellando senza continuità temporale, la narrazione ci condurrà per la sua quotidiana e placida esistenza, in verità surreale e talvolta grottesca, un contrappunto fra comicità affilata e spensierata allegria.
Mentre la vecchia umanità è in declino, una nuova s'affaccia sul mondo, piccola, incomprensibile e inquietante, le fate: tremendamente volubili e rapide al tedio più angosciante, genuinamente e infantilmente crudeli, radicalmente edoniste e puramente amorali, sciocche e altrettanto brillanti, queste dolci e spaventose creature si svelano più profondamente come il parossistico riflesso dell'umanità. In una parola: folli.
Questi minuti esseri, capaci di discorrere su quanto v'è di più orrendo senza mutare la propria ridicola espressione, manovreranno sempre, più o meno distantemente, l'azione della malcapitata protagonista, precipitandola in paradossali scenari e distorcendone la quotidianità, un onirico calvario che solo grazie alla sua lievità d'animo e il consumato cinismo la ragazza riuscirà a sopportare.
Proprio la protagonista, punto di vista della narrazione, è il nodo dell'intera vicenda e la sua riuscita deve considerarsi il vanto della serie: sin troppo umana e visceralmente antieroica, l'innominata donzella si rivela un'efficace crasi tra il suo tenero sembiante e gli affabili modi con uno straordinario egoismo e disinteresse, sempre attenta al calcolo opportunistico della minimizzazione della fatica. In ciò si rivela particolarmente capace la doppiatrice, abile nel gestirne il registro vocale, modulandolo felicemente a seconda delle occasioni.
Intorno a lei si giostrerà un esiguo numero di personaggi secondari, rapidi ad uscir di scena in forza della brevità e discontinuità degli archi narrativi, tuttavia il tempo concessogli sarà sufficiente a dare il giusto tono alla scena e a delinearli nei loro caratteri fortemente unilaterali e peculiari: si ha così l'alternarsi sul palco di figure che vanno dall'ossessionata di storie di ragazzi che "sono più che amici" alla sonda spaziale che ha guadagnato l'autocoscienza, dal silenzioso assistente in camicia hawaiana al nonno sempre intento a lucidare interi arsenali di armi da fuoco.
In conclusione, "Jintai" è un'opera leggera (ma non troppo) e piacevole, tanto fugace quanto appagante esteticamente, in grado di farsi seguire fra battute taglienti e umorismo nonsense, capace di criticare ferocemente la società con il sorriso sulle labbra, con poche pretese e pienamente in grado d'appagare quelle che si pone.