Recensione
Toriton
5.0/10
Yoshiyuki Tomino è un nome che non ha bisogno di presentazioni: sono stati ben pochi i registi capaci di rivoluzionare l'industria anime e il genere robotico svecchiando in modo radicale il tokusatsu dal suo immobilismo, elaborando la teoria dei robottoni realistici, creando la più famosa e longeva serie robotica di sempre, inventando nuovi stilemi narrativi che saranno usati da altri studi e costituendo, con le sue opere maggiori, la principale fonte di ispirazione per diversi dei più famosi successi animati dell'ultimo ventennio. La caratura delle sue opere più famose, tutte o quasi made in Sunrise, che lo proiettano nell'olimpo dei migliori registi, fa però spesso dimenticare altri originali lavori che l'artista ha diretto, o scritto, prima di quel 1979 nel quale, sul canale Nagoya Broadcasting Network, debuttano le avventure di Amuro Ray e dell'RX-78. Non capolavori, ma opere di indubbio interesse che già, per tematiche mature o idee innovative (ad esempio la prima parodia d'autore del genere mecha, "L'imbattibile Daitarn 3", 1978), costruiscono le fondamenta della sua leggenda. Il debutto come regista titolare - dopo gli episodi singoli di "Astro Boy" - avviene con "Umi no Triton" o "Tritone del mare" (come l'adattamento italiano sia riuscito a ribattezzarlo "Toriton", basandosi sulla pronuncia giapponese di Tritone, rimane uno dei misteri più inquietanti della nostra penisola), basato sull'omonimo fumetto disegnato nel 1969 dal Dio dei manga Osamu Tezuka.
"Toriton" è la storia di un ragazzo, il Tritone/Toriton del titolo, che, scoperto di essere probabilmente l'ultimo superstite della razza dei tritoni, antichi abitanti di Atlantide, e aver ereditato da suo padre come arma un taglientissimo, indistruttibile pugnale di oricalco, inizia con la delfinessa Luka un fantastico viaggio per i mari in cerca di altri sopravissuti della sua razza, affrontando nel contempo gli emissari inviatigli contro dal malvagio Poseidone, che vuole estinguere la sua razza una volta per tutte. Soggetto avventuroso, semplice e d'effetto e che si presta idealmente a esplorare, anche in animazione, le tematiche care a Tezuka (l'amore per la natura e gli animali, il rispetto dell'ecosistema, i danni dell'inquinamento della civiltà umana): peccato dunque che la trasposizione, se ha una sua dignità nel periodo originale di trasmissione, oggi, nonostante gli elementi di richiamo, risulta purtroppo datata in modo irreparabile. Bisogna sempre saper contestualizzare, è vero, ma se la scuola di pensiero dice che un capolavoro o una bella opera rimangono tali in qualsiasi epoca, in questo caso tutto il tempo passato non si rivela particolarmente clemente con "Toriton".
L'aspetto grafico, estremamente vintage, e la cura tecnica non sono neanche terribili: fedeli ai dettami di Tezuka, i disegni si rivelano tanto semplici quanto dolci ed espressivi, le animazioni addirittura deliziose nella loro artigianale professionalità (è il periodo in cui anche le tecniche di animazione sono embrionali, realizzate nel modo più macchinoso e visivamente appariscente). Gli spunti narrativi, poi, sono notevoli: se già non bastassero di loro gli affascinanti (sulla carta) combattimenti tra Triton e i mostri di Poseidone (squali, cernie giganti o piovre mastodontiche nella miglior tradizione di Jules Verne), non mancano neppure temi molto maturi. Si può accennare ad esempio alle implicazioni psicologiche derivanti dalla futura unione del ragazzo e la sirenetta Pipiko, che dovrà consumarsi per poter un giorno ricostruire la civiltà dei tritoni, al background marino e mitologico, o all'impianto drammatico spesso tragicissimo, tipico di quegli anni, che si risolve nella facilità con cui, per enfatizzare il dramma, è dato vedere spesso morire (e con abbondanti flussi di emoglobina) personaggi positivi e "intoccabili" come donne, bambini e comprimari kawaii. Geniale poi il finale, inventato dallo stesso Tomino e in contrasto con quello originale di Tezuka, che spiazza nel suo rovesciamento dei ruoli di bene e male, desideroso di umanizzare il comportamento dei cattivi.
Peccato siano premesse incatenate da uno schematismo narrativo preistorico che, giudicato oggi, è semplicemente atroce, basato su canovacci sempre uguali che vedono Triton litigare con Pipiko per qualche futile motivo, quest'ultima fare l'offesa e andarsene, quindi venire minacciata dai sicari di Poseidone e infine essere salvata in extremis dall'eroe (o in alternativa i due stringono amicizia con una creatura, umana o animale, si interessano ai suoi problemi e infine affrontano ugualmente gli emissari nemici, e la cosa costerà la vita al loro amico). L'ironia del tutto verte sul fatto che, pur con questi schematismi ripetitivi, "Toriton" è una delle primissime serie animate a contemplare una continuity generale: pur con enorme, straziante lentezza (soprattutto per uno spettatore odierno), la storia si sviluppa gradualmente abbandonando il classico immobilismo delle puntate autoconclusive, col paradosso che sembra sia stato proprio questo ad aver originariamente decretato il suo flop agli ascolti, per la difficoltà degli spettatori di seguire una lunga storia ripartita in episodi settimanali. Veri o falsi i motivi della débâcle commerciale, il merito dell'intuizione spetta alla coppia Yoshiyuki Tomino/Yoshinobu Nishizaki, quest'ultimo boss della Office Academy che produce la serie e in procinto di usare lo stesso artifizio ne "La Corazzata Spaziale Yamato".
Al problema della sfiancante lentezza della serie bisogna poi aggiungere tutte le inevitabili ingenuità delle produzioni dell'epoca: l'estrema antipatia dei due piccoli eroi, data dalle loro voci squillanti e dal fatto che urlino per ogni cosa (anche dieci/dodici volte a puntata); il background oceanico per niente sfruttato (i fondali marini si presterebbero benissimo alla suggestione visiva grazie a barriere coralline, pesci multicolori, abissi, etc. ma sono liquidati con anonimi massi e rocce al punto che ogni oceano non ha elementi di differenziazione rispetto agli altri), e soggetti di episodi tanto intriganti sulla carta quanto superficiali nella resa (le riletture di "Moby Dick" e "Shadow over Innsmouth", la vicenda dell'archeologo che rinviene reperti della civiltà atlantidea, la nave fantasma). Ciliegine sulla torta l'accompagnamento musicale snervante, dato da tre brani prog/jazz in croce ripetuti ossessivamente, un cast di comprimari insignificante e dialoghi dal registro infantilissimo, resi ulteriormente terribili da interpretazioni vocali talmente surreali da sconfinare nel ridicolo (le meduse e i cavallucci marini alle dipendenze di Poseidone...). Insomma una tortura, che forse non sarà recepita come tale dal pubblico di bambini dell'epoca a cui era rivolta, ma dai loro successori sicuramente sì.
Non vi è dubbio che nel 1972 "Toriton" possa, per la sua morale ecologica, l'onnipresente vena drammatica e il suo bel finale, aver avuto una certa dignità, ma lo stile del fare animazione è talmente cambiato che, oggi, visioni simili a questa non reggono minimamente lo scorrere del tempo, rivelandosi pressoché inguardabili. Rimane una serie più o meno sconosciuta e di vago interesse solo per tominiani e tezukiani convinti, quelli che non vogliono perdere nulla dei loro autori preferiti. Gli altri, a meno non soffrano di sonnolenza, evitino. Nel 1979, sotto l'egida di Toei Animation, esce il lungometraggio che riassume l'intera serie TV, inedito in Italia.
Necessaria una nota positiva sull'adattamento italiano dell'epoca, basato su un doppiaggio superlativo assolutamente identico, nei timbri vocali e nella musicalità della voce, ai seiyuu dell'epoca (che fosse poi colpa di questi ultimi per il pessimo lavoro in originale è un altro discorso). Anche il senso delle frasi, come sempre semplificato, non fa perdere di una virgola il significato dei dialoghi originali, presentando addirittura nomi fedeli. Per questo, una volta tanto, consiglio di rimediare quest'ultimo, piuttosto che l'unica versione subbata esistente in inglese, martoriata da un'assoluta mancanza di punteggiatura nei sottotitoli che rende, se possibile, ancora più punitiva la visione.
"Toriton" è la storia di un ragazzo, il Tritone/Toriton del titolo, che, scoperto di essere probabilmente l'ultimo superstite della razza dei tritoni, antichi abitanti di Atlantide, e aver ereditato da suo padre come arma un taglientissimo, indistruttibile pugnale di oricalco, inizia con la delfinessa Luka un fantastico viaggio per i mari in cerca di altri sopravissuti della sua razza, affrontando nel contempo gli emissari inviatigli contro dal malvagio Poseidone, che vuole estinguere la sua razza una volta per tutte. Soggetto avventuroso, semplice e d'effetto e che si presta idealmente a esplorare, anche in animazione, le tematiche care a Tezuka (l'amore per la natura e gli animali, il rispetto dell'ecosistema, i danni dell'inquinamento della civiltà umana): peccato dunque che la trasposizione, se ha una sua dignità nel periodo originale di trasmissione, oggi, nonostante gli elementi di richiamo, risulta purtroppo datata in modo irreparabile. Bisogna sempre saper contestualizzare, è vero, ma se la scuola di pensiero dice che un capolavoro o una bella opera rimangono tali in qualsiasi epoca, in questo caso tutto il tempo passato non si rivela particolarmente clemente con "Toriton".
L'aspetto grafico, estremamente vintage, e la cura tecnica non sono neanche terribili: fedeli ai dettami di Tezuka, i disegni si rivelano tanto semplici quanto dolci ed espressivi, le animazioni addirittura deliziose nella loro artigianale professionalità (è il periodo in cui anche le tecniche di animazione sono embrionali, realizzate nel modo più macchinoso e visivamente appariscente). Gli spunti narrativi, poi, sono notevoli: se già non bastassero di loro gli affascinanti (sulla carta) combattimenti tra Triton e i mostri di Poseidone (squali, cernie giganti o piovre mastodontiche nella miglior tradizione di Jules Verne), non mancano neppure temi molto maturi. Si può accennare ad esempio alle implicazioni psicologiche derivanti dalla futura unione del ragazzo e la sirenetta Pipiko, che dovrà consumarsi per poter un giorno ricostruire la civiltà dei tritoni, al background marino e mitologico, o all'impianto drammatico spesso tragicissimo, tipico di quegli anni, che si risolve nella facilità con cui, per enfatizzare il dramma, è dato vedere spesso morire (e con abbondanti flussi di emoglobina) personaggi positivi e "intoccabili" come donne, bambini e comprimari kawaii. Geniale poi il finale, inventato dallo stesso Tomino e in contrasto con quello originale di Tezuka, che spiazza nel suo rovesciamento dei ruoli di bene e male, desideroso di umanizzare il comportamento dei cattivi.
Peccato siano premesse incatenate da uno schematismo narrativo preistorico che, giudicato oggi, è semplicemente atroce, basato su canovacci sempre uguali che vedono Triton litigare con Pipiko per qualche futile motivo, quest'ultima fare l'offesa e andarsene, quindi venire minacciata dai sicari di Poseidone e infine essere salvata in extremis dall'eroe (o in alternativa i due stringono amicizia con una creatura, umana o animale, si interessano ai suoi problemi e infine affrontano ugualmente gli emissari nemici, e la cosa costerà la vita al loro amico). L'ironia del tutto verte sul fatto che, pur con questi schematismi ripetitivi, "Toriton" è una delle primissime serie animate a contemplare una continuity generale: pur con enorme, straziante lentezza (soprattutto per uno spettatore odierno), la storia si sviluppa gradualmente abbandonando il classico immobilismo delle puntate autoconclusive, col paradosso che sembra sia stato proprio questo ad aver originariamente decretato il suo flop agli ascolti, per la difficoltà degli spettatori di seguire una lunga storia ripartita in episodi settimanali. Veri o falsi i motivi della débâcle commerciale, il merito dell'intuizione spetta alla coppia Yoshiyuki Tomino/Yoshinobu Nishizaki, quest'ultimo boss della Office Academy che produce la serie e in procinto di usare lo stesso artifizio ne "La Corazzata Spaziale Yamato".
Al problema della sfiancante lentezza della serie bisogna poi aggiungere tutte le inevitabili ingenuità delle produzioni dell'epoca: l'estrema antipatia dei due piccoli eroi, data dalle loro voci squillanti e dal fatto che urlino per ogni cosa (anche dieci/dodici volte a puntata); il background oceanico per niente sfruttato (i fondali marini si presterebbero benissimo alla suggestione visiva grazie a barriere coralline, pesci multicolori, abissi, etc. ma sono liquidati con anonimi massi e rocce al punto che ogni oceano non ha elementi di differenziazione rispetto agli altri), e soggetti di episodi tanto intriganti sulla carta quanto superficiali nella resa (le riletture di "Moby Dick" e "Shadow over Innsmouth", la vicenda dell'archeologo che rinviene reperti della civiltà atlantidea, la nave fantasma). Ciliegine sulla torta l'accompagnamento musicale snervante, dato da tre brani prog/jazz in croce ripetuti ossessivamente, un cast di comprimari insignificante e dialoghi dal registro infantilissimo, resi ulteriormente terribili da interpretazioni vocali talmente surreali da sconfinare nel ridicolo (le meduse e i cavallucci marini alle dipendenze di Poseidone...). Insomma una tortura, che forse non sarà recepita come tale dal pubblico di bambini dell'epoca a cui era rivolta, ma dai loro successori sicuramente sì.
Non vi è dubbio che nel 1972 "Toriton" possa, per la sua morale ecologica, l'onnipresente vena drammatica e il suo bel finale, aver avuto una certa dignità, ma lo stile del fare animazione è talmente cambiato che, oggi, visioni simili a questa non reggono minimamente lo scorrere del tempo, rivelandosi pressoché inguardabili. Rimane una serie più o meno sconosciuta e di vago interesse solo per tominiani e tezukiani convinti, quelli che non vogliono perdere nulla dei loro autori preferiti. Gli altri, a meno non soffrano di sonnolenza, evitino. Nel 1979, sotto l'egida di Toei Animation, esce il lungometraggio che riassume l'intera serie TV, inedito in Italia.
Necessaria una nota positiva sull'adattamento italiano dell'epoca, basato su un doppiaggio superlativo assolutamente identico, nei timbri vocali e nella musicalità della voce, ai seiyuu dell'epoca (che fosse poi colpa di questi ultimi per il pessimo lavoro in originale è un altro discorso). Anche il senso delle frasi, come sempre semplificato, non fa perdere di una virgola il significato dei dialoghi originali, presentando addirittura nomi fedeli. Per questo, una volta tanto, consiglio di rimediare quest'ultimo, piuttosto che l'unica versione subbata esistente in inglese, martoriata da un'assoluta mancanza di punteggiatura nei sottotitoli che rende, se possibile, ancora più punitiva la visione.