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"La città incantata" è una grandissima fiaba.
Questo è il sapore che mi ha lasciato uscendo dal cinema. Una grandissima fiaba nel miglior senso del termine, di quelle che quando sei bambino ti fanno innamorare per l'ambientazione magica e pittoresca, ma allo stesso tempo ti spaventano per via di una serie di inquietanti avvenimenti che non ti lasciano certo indifferente, ma che ti aiutano ad esorcizzare le tue paure.

"La città incantata" (titolo originale "Sen to Chihiro no Kamikakushi") è riuscita a vincere l'Orso d'Oro a Berlino nel 2002 e pure il premio Oscar per il miglior film d'animazione nel 2003, diventando il film che più ha contribuito al successo mondiale di Hayao Miyazaki, che aiuta tutt'oggi a sdoganare i pregiudizi sull'animazione giapponese.
Personalmente ho visto la nuova edizione passata nei cinema nel giugno 2014, ridoppiata per l'occasione, quindi non posso fare confronti col vecchio adattamento, ma quello che ho sentito non mi ha lasciato insoddisfatto.

Non parlerò della trama, che si può trovare ovunque, ma delle mie impressioni.
Come ho detto all'inizio ho trovato questo film molto fiabesco per come affronta la vicenda, a partire dalla piccola protagonista che affronta il suo processo di crescita, e che deve scontrarsi con delle vicende che le sembrano più grandi di lei. Le vere fiabe fanno anche paura, e uno spettatore bambino si trova a fronteggiare sullo schermo prima i genitori tramutati in disgustosi maiali (lo smarrimento e l'angoscia), poi un mostro melmoso reso con una tale abilità da far percepire il tanfo fino in sala (il ribrezzo), infine la voracità del senza volto che passa da aiutante a essere mostruoso che fagocita le persone (la paura). Questi elementi oscuri si mescolano con la vita dei bagni piena di voci e di colori, di personaggi bizzarri e simpatici, perlopiù ripresi dalla tradizione shintoista.
Ma "La città incantata" non è solo una favola per bambini. Questo perché Miyazaki non manca mai di inserire più livelli di lettura nei quali dà sfogo alla critica sociale. Ed ecco che gli abitanti del mondo parallelo, depredati del loro nome e quindi del loro libero arbitrio, diventano metafora dell'alienante società lavorativa giapponese. Chi non ha un lavoro non vale niente, tutti sono costretti a lavorare senza sosta per la spietata padrona, la cui avidità capitalista è ben rappresentata dal comportamento col quale gestisce i bagni e dall'attaccamento alle gemme preziose che esamina di continuo. Il film è farcito di elementi che nuotano in questo senso, dallo stakanovista lavoratore multibraccia delle fucine al comportamento del senza volto, che regala oro a tutti ma poi finisce per fagocitare coloro che lo accettano, accecati dal possesso. Si inserisce quindi un altro dei temi cari al regista, quello dell'innocenza dei bambini come cura per l'ipocrisia del mondo, infatti lo spirito è sempre spiazzato dal continuo rifiuto dei doni da parte di Chihiro, che sa di non farsene niente dell'oro, in quanto il suo interesse è quello di salvare genitori e amici.

A livello tecnico si è fatto un ottimo lavoro, i disegni e gli sfondi sono un piacere per gli occhi e le musiche di Joe Hisaishi non tradiscono le aspettative, e il tutto è ben amalgamato con le vicende della storia, riuscendo a supportarla molto bene.

Per quanto riguarda i difetti, ne ho trovati principalmente due. Uno è il ritmo, soprattutto tra la prima parte e la metà della storia, che risente di alcuni passaggi di eccessiva lentezza e che avrebbero potuto essere condensati in meno tempo, riuscendo meglio a gestire l'azione. L'altro è più soggettivo, ed è un problema di filtro culturale: tutto il mondo ricreato nel film si basa su dei e spiriti della cultura orientale, e a meno di un approfondita conoscenza personale si vengono a perdere tutti i rimandi e le origini delle molteplici creature presenti nel film.
Ma queste debolezze non turbano troppo il giudizio finale, "La città incantata" è un ottimo film d'animazione assolutamente sopra la media, uno dei maggiori capolavori di Miyazaki, la cui visione è raccomandata a tutti.