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INTRODUZIONE
Hayao Miyazaki è quel genere di regista che stordisce lo spettatore di emozioni innanzitutto sensoriali. Per questo i suoi film d'animazione sono sempre difficili da incasellare secondo schemi prestabiliti, almeno per noi occidentali che da secoli accordiamo al logos il ruolo di protagonista: non tutto viene spiegato a chiare lettere. Soprattutto nelle sue ultime creazioni, come "Ponyo sulla scogliera" o "Il castello errante di Howl", il filo narrativo si perde spesso fra la meraviglia di suoni, colori e azioni mozzafiato.
"Si alza il vento" non può prescindere da questa impronta caratteristica del maestro, così come non può prescindere dal character design tipico dello Studio Ghibli (seppure declinato diversamente dai vari registi di volta in volta), che molti amano spassionatamente per la semplicità del tratto e la grande espressività, ma altri non sopportano, trovandolo insipido, caricaturale e infantile.
La scelta, per l'ennesima volta, di Joe Hisaishi quale compositore della colonna sonora del film, conferma la volontà del regista di portare avanti una tradizione ormai trentennale. C'è da dire che in questo caso Hisaishi, pur firmando un'opera di tutto rispetto e perfettamente intonata allo stile e ai momenti del film, non brilla per creatività. Esegue un buon compito ma apparentemente con minor passione rispetto ad altre indimenticabili sue produzioni.
Tutti questi elementi, così "cristallizzati" nei decenni pur se continuamente reinterpretati, costituiscono del resto la firma indiscussa del prolifico regista Hayao Miyazaki. Il quale, dopo quest'ultima fatica, ha annunciato il suo ritiro dal mondo dei lungometraggi animati, almeno per quanto riguarda la regia. Così, spingendo l'acceleratore su tutte le sue personalissime passioni (prima fra tutte il volo), con un pizzico di autobiografismo (il sogno degli aerei, la miopia, la malattia della madre) e con decine di richiami a tutte le sue opere passate ("Porco Rosso", "Laputa: il castello nel cielo", "Nausicaa", solo per citarne alcune) si congeda dal suo pubblico con un'opera sorprendente, capace di spiazzare perfino chi ne è fan di lungo corso.

GLI ELEMENTI DI NOVITA'
"Si alza il vento" racconta la storia di un uomo realmente esistito, Jiro Horikoshi, che sin da bambino coltivava il sogno di lavorare nel settore aeronautico. La narrazione si inserisce in un periodo storico preciso, gli anni fra le due guerre mondiali; in un luogo preciso, il Giappone; in un contesto sociale, culturale e artistico preciso anch'esso e influenzato dalle avanguardie e dai nazionalismi.
Stretta fra questi paletti, la trama deve necessariamente svolgersi in modo per lo meno "realistico". E difatti mai un film di Hayao Miyazaki è stato più ancorato alla realtà: nella sua lunga carriera il fantasioso maestro ha tratto ispirazione da luoghi, racconti, personaggi storici o mitologici, ma li ha sempre re-interpretati in chiave personale, secondo il proprio gusto e la propria visione delle cose. Li ha spogliati di tutti i loro elementi concreti per trasformarli in simulacri ideali e intangibili, spesso inseriti in tempi e luoghi indefiniti, perciò così potenti nello stimolare l'immaginario dello spettatore e così rispondenti alla sua scoppiettante creatività. Qui non poteva farlo e la cosa salta immediatamente agli occhi.
Ciò che accade è tremendamente vero nel dramma delle situazioni proprio perché è vera tutta l'ambientazione e le storie che vi si inseriscono. La sorte del vivere in quel tempo e in quel luogo è messa completamente a nudo nella sua ineluttabilità.
Anche se, ancora una volta come ne "Il castello errante di Howl", Miyazaki non raffigura in prima linea la violenza del conflitto armato, questa presenza incombe pesantemente per tutta la durata del film fino addirittura a diventarne la chiave per giungere alla conclusione.
Ma le tragedie circostanziate assurgono anche a tragedie universali quando il terremoto del Kanto del 1923 può essere quello del Tohoku del 2011 (che ebbe luogo proprio durante la produzione del film), le guerre mondiali non differiscono dalle odierne guerre in Medio Oriente e la malattia in qualsiasi epoca e a qualsiasi latitudine comporta sempre le medesime sofferenze. È la lotta generica e primigenia dell'esistenza per la quale "bisogna vivere nonostante tutto" e assaporare le fugaci gioie di ogni singolo giorno, come decidono di fare i protagonisti.
Ne è la dimostrazione il fatto che Jiro non lotti e non cerchi di sfuggire alla sua sorte o di cambiare quella dei suoi aeroplani. Accetta quel che accade in maniera passiva, consapevole di non poter modificare lo stato delle cose, dando il meglio di sé soltanto dove sa di poter arrivare, pur con ottusità e a prescindere da tutto quello che succede intorno. È un protagonista ben diverso da Ashitaka o da Pazu, che si agitano tanto per i loro scopi. Jiro fa quello che può, come aiutare chi vicino a lui è in difficoltà, sperare che un giorno gli aeroplani siano usati per scopi civili, ma non crede in alcun modo di poter cambiare lo stato delle cose.
Diversamente, la donna amata lotta strenuamente e per tutto il tempo contro il proprio dramma, da classica eroina miyazakiana che non vuole arrendersi. Solo che è una lotta impari, anch'essa, una lotta che sembra addirittura fine a sé stessa e capricciosa in certi momenti. Più che ammirazione si prova commiserazione per lei.

Questa ricerca del reale fra l'altro è amplificata dai magnifici scenari disegnati, di un dettaglio stupefacente e frutto di una maestria ormai indiscutibile nel panorama dell'animazione. Ricchissimi di particolari e suggestivi grazie al sapiente uso di luci e colori, sono la giusta culla per questo tipo di narrazione. L'attenzione maniacale per la fedeltà storica ha portato a riprodurre con precisione millimetrica i mezzi di trasporto d'epoca, le strade e gli arredamenti, restituendoci "l'atmosfera" di quel periodo come difficilmente si pensa che un disegno animato possa fare.
Per non parlare delle sequenze epiche che coinvolgono centinaia di persone, di case, di oggetti tutti insieme nello stesso fotogramma: non si nota un solo movimento ripetitivo, meccanico o a scatti, la folla scorre fluida e realistica come se fosse interpretata da attori in carne e ossa. Non a caso queste scene si concentrano in momenti di alta tensione nella narrazione: nello stesso piccolo spazio hanno luogo centinaia di movimenti in contemporanea, proprio come accade nelle situazioni vere di panico generale, così che non si sa dove soffermare lo sguardo. Il movimento di massa così ben realizzato è talmente evocativo da lasciare col fiato sospeso, quasi si rimanesse soffocati dalla fiumana di gente in cammino. Come se fossimo lì accanto ai protagonisti, spintonati anche noi, a respirare lo stesso odore di fumo.

C'è poi un altro aspetto da prendere in considerazione, non completamente nuovo e già apparso in molte sue opere precedenti, ma qui certamente più sottile e nascosto, tanto quanto decisivo per conferire al film il suo realismo: l'imperfezione. Quella che rende così umani gli esseri umani e così nostro questo mondo a cui apparteniamo.
L'imperfezione intesa non come colpa o cattiveria o errore, ma imperfezione come dato di fatto dell'esistenza, come impossibilità di distinguere nettamente il bianco dal nero, come parte necessaria e complementare della perfezione. Come componente indissolubile della vita, quella vera.
Leitmotiv dell'intero film è infatti la perfezione dell'aereo al quale Jiro anela e l'imperfezione del modo in cui la sua invenzione sarà accolta dal mondo.
Ma c'è anche la perfezione nella genialità di Jiro dal punto di vista professionale e la sua imperfezione nel gestire l'aspetto relazionale e più intimo della sua vita, sia nei rapporti con la famiglia che nel rapporto con la donna che ama.
C'è la perfezione di Nahoko nell'accondiscendere, comprendere e prendersi cura di Jiro nonostante il suo comportamento (o proprio per quello?), ma l'imperfezione del suo destino ingiusto che rende persino l'amore triste e schiavo dei compromessi.
In breve c'è la perfezione di quegli ideali a cui i protagonisti aspirano, a cui qualsiasi uomo aspirerebbe, e poi c'è l'imperfezione onnipresente della vita reale. Quegli ideali sono irraggiungibili, è questa la vera novità: per la prima volta il mondo di Miyazaki non si risolve in un finale illusorio. Non si risolve neanche nel finale saggio di "Principessa Mononoke" o in quello ambiguo de "La città incantata". Non si risolve e basta, perché è irrisolvibile.

GLI ELEMENTI CARATTERISTICI
Miyazaki, però, resta pur sempre Miyazaki. Se per certi aspetti "Si alza il vento" appare così diverso da ciò a cui ci ha abituati, abbiamo già detto che per tutto il resto il film è probabilmente quello che ritrae più da vicino il suo universo, le sue idee e il suo modo d'essere.
Non poteva mancare, quindi, una frequentissima dimensione onirica in cui il regista dà libero sfogo alle sue fantasie più tipiche, alternando così due registri narrativi distinti. A ben vedere, però, l'aspetto immaginifico in questo film, proprio perché relegato a determinati istanti, esercita un ruolo ancora più potente. Il sogno è tale proprio (e soltanto) perché in opposizione alla realtà.
Il sogno è istinto, azione incalzante, passione debordante, colori vivaci e chiasso allegro "all'italiana". Addirittura, i personaggi al suo interno sono sempre perfettamente coscienti di trovarsi in una dimensione dove tutto è concesso. È come un'agognata valvola di sfogo alle costrizioni del mondo vero, ma anche il luogo incontaminato dove le idee prendono forma e dove si può sperare ancora di realizzarle.
La realtà invece è caratterizzata da costante stasi e formalità, sguardi persi nel nulla, lunghissimi silenzi e, soprattutto, calcoli infiniti. Si dipana tutta fra il lento consumarsi di una sigaretta e lo scrivere numeri su numeri. Niente è facilmente raggiungibile (al contrario del sogno dove qualsiasi stranezza è permessa nell'immediato), ogni piccola conquista è frutto di estenuanti elaborazioni, una lotta interiore portata avanti con paziente razionalità.
C'è una sola eccezione: l'innamoramento. La passività-da-rassegnazione può essere vinta soltanto per l'amata, fino a piangere addirittura, fino a mettersi in pericolo e mettere in pericolo ogni cosa per lei. Non eroicamente come Ashitaka, ma umanamente e fragilmente come Jiro Horikoshi.
L'innamoramento sembra essere in grado di conferire alla realtà, per brevissimi e fugaci istanti, tutte le magiche atmosfere e i colori del sogno. Non più interminabili silenzi seduto a una scrivania, ma parole, risate, cielo e natura, azione.
È forse questo il momento meno realistico e più idealistico di tutto il film, che farà battere il cuore di molti spettatori per la sua delicatezza e storcere il naso a tanti altri per la sua prevedibilità e romanticheria. E che costituisce un topos dell'intera filosofia miyazakiana, qui trattato con un'eccezionale sensibilità: la donna è la strenua combattente che sopporta in silenzio e offre appoggio e protezione a costo di sacrificare sé stessa, l'uomo è l'eterno bambino smarrito che necessita delle sue cure, della sua approvazione e del suo incoraggiamento come dell'ossigeno per respirare. Solo così lui può compiere grandi imprese e svolgere al meglio il proprio lavoro, che è poi ciò che lo nobilita.
È dunque solo l'ansia che fa correre e piangere Jiro? Oppure è terrorizzato come un bambino all'idea di perdere la sua àncora di salvezza e, di conseguenza, la possibilità di realizzare il suo sogno? Siamo sicuri che sia proprio Nahoko ad avere bisogno di quella mano stretta e non sia piuttosto Jiro, come lei ben sa, il primo a necessitarla? La donna è proprio l'anello di congiunzione tra la realtà e il sogno, ciò che permette a Jiro di portare avanti i suoi progetti senza perdersi nell'uno o nell'altro mondo.

SPOILER
Eppure, piano piano nel corso della trama, anche il sogno viene contaminato dalle imperfezioni della realtà. Forse perché Jiro cresce e matura grazie alla donna che ama, forse perché anche la realtà viene poco a poco influenzata dalla positività del sogno nel momento in cui Jiro si avvicina al realizzarlo.
Il punto di contatto fra i due mondi però, invece di costituirne il momento di equilibrio, rappresenta quello della disgregazione: nella vita vera non si può avere tutto. L'anello di congiunzione si spezza, perché ha esaurito la sua funzione: la donna può finalmente gettare le armi e arrendersi al destino, avendo accompagnato il proprio uomo all'apice del sogno tanto agognato. Da adesso in poi per Jiro inizia una nuova esistenza.
E nel momento in cui tutto ciò avviene, la preoccupazione e lo smarrimento dipinto sul volto di Jiro, lo sguardo rivolto altrove, i capelli mossi dal vento invisibile, il silenzio di questa consapevolezza, sostituiscono la gioia e la baldoria che ci aspetteremmo. In modo emblematico le persone che lo attorniano devono richiamare la sua attenzione addirittura scrollandolo per un braccio. Il percorso di formazione del nostro protagonista è giunto al termine: sogno e realtà, da adesso in poi, non saranno più così disgiunti.
È tutto finito. Miyazaki ci scaraventa senza troppi complimenti nella scena finale in cui ogni cosa è confusa: passato, presente e futuro, mondo reale e mondo ideale, ormai non ci sono più distinzioni di sorta. Non ci sono spiegazioni che tengano, non ci sono perché, non ci sono ragioni: semplicemente è accaduto, semplicemente accade, così come accade di essere al mondo, di respirare e di costruirsi il proprio percorso fra le genti.
Bisogna solo vivere, cogliere il momento e lasciarsi andare al vento che si alza ad accompagnare le nostre esistenze: il vento costante che fa arrivare lontano le passioni, il vento impetuoso che distrugge senza poter essere fermato, il vento dolce che sospinge fra le braccia dell'amata, il vento imprevedibile che ci porta dove vuole contro la nostra volontà, il vento lieve delle piccole cose che danno gioia. Un alito di vento capriccioso che anima tutte le nostre vite.

CONCLUSIONI
Un lungometraggio di grande spessore, sia a livello tematico che di realizzazione tecnica e, soprattutto, di encomiabile sensibilità e rigore storico. Non è di certo un film per tutti, né tantomeno il classico cartone animato per famiglie.
È rivolto prevalentemente a un pubblico adulto disposto ad affrontare tematiche mature, ma ancora capace di meravigliarsi e commuoversi come i bambini. Lo spettatore ideale per questa pellicola è la persona senza preconcetti, non per forza fan sfegatato di Miyazaki, un adulto qualsiasi semplicemente disposto a lasciarsi rapire e trascinare dall'atmosfera suggestiva del film.
Il mio voto è 10, ma so di essere di parte perché adoro i lavori sfornati dallo Studio Ghibli e il tipo di percezioni che mi regalano. Magari sarà 8 per chi ama un altro Miyazaki e non apprezzerà fino in fondo la "svolta realista" del maestro. Potrebbe essere 6 per coloro che in un lungometraggio preferiscono character design più elaborati e suspense da thriller rispetto allo slice of life che contraddistingue quest'opera.
Ma dare meno di 6 a un lavoro di questo tipo credo francamente che sarebbe un abbaglio. Vorrebbe dire, a prescindere che sia piaciuto o meno nei contenuti e nel suo svolgersi, negarne innanzitutto l'incredibile valore documentale e l'impegno realizzativo. Come ho detto spesso per i film dello Studio Ghibli: anche soltanto a guardare i meravigliosi scenari disegnati c'è sempre da rimanere incantati.