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Si preferisce un mondo con le piramidi o senza?
Si va a spasso per la realtà. Eppure le piramidi, per i più, non è comune vederle ogni giorno. Alcuni non le hanno mai viste.

Questa è una storia che nasce da circostanze verosimili. E ci parla di sogni: quand'è che l'uomo vede i propri sogni? Ma soprattutto, cos'è che rivede in essi? Se i sogni fossero degli incubi, questi arriverebbero a influenzare la vita della persona che li genera?
Un incubo non è diverso da un mostro. Nietzsche affermava che a riguardare troppo nell'abisso, anch'esso avrebbe voluto ricambiare lo sguardo di ricerca.

Il protagonista della pellicola sottoposta ad analisi, Si alza il vento, è realmente stato - anche in termini storici - un uomo profondamente influenzato dai propri sogni.
Uno scrittore diceva: "Le responsabilità cominciano nei sogni"; era Schwartz Delmore, che come testimonianza della propria affermazione ha lasciato un libro con lo stesso titolo. Miyazaki in fondo non ha fatto altro: lasciare un'ulteriore testimonianza per quella frase, se non anche aggiungendoci un appunto.
In questa pellicola, oltre all'immaginifico sottofondo di Joe Hisaishi, noto da tempo ai lavori passati tra le mani dello Studio Ghibli, si sente l'urlo nostalgico dell'ennesima, culminante manifestazione delle passioni del regista nipponico; la pellicola urla le realtà cominciano nei sogni.

Ciò lo rivediamo nel ritmo - più sotto andremo a considerarlo con maggiore attenzione - che l'opera trascina con sé: una storia raccontata a cavallo tra il mondo di Morfeo e quello degli uomini non può non parlarci di sogni.

Dopo una captatio benevolentiae del genere, mi concedo una brevissima pausa di digressione, ve lo giuro brevissima.
Affermo, con tutto l'amore che potrò proferire con le mie seguenti parole, di voler partecipare all'iniziativa "Si alza il vento, lancia in volo la tua recensione" di Animeclick.it. Affermo, con sicurezza addirittura maggiore, che vedrete come gradualmente questo recensire diverrà più un confessare amore.
Iniziamo. (A fare cosa? Chiaro: a sognare.)

L'uomo Horikoshi Jiro, protagonista, è un individuo realmente esistito, la cui storia perdura nelle pagine del libro di Tetsuo Hori e si dipana fino a raggiungere "Si alza il vento", prima in versione cartacea, più tardi animata. L'opera infatti vede il suo esordio con due volumi manga curati dallo stesso Hayao Miyazaki. Come dita euforiche che cercano di contenersi quando non possono far a meno di sfiorare i tasti di un piano, la storia, basata su una biografia reale, ripercorre le vicende del progettista Jirou, della sua volontà di voler partorire aerei, vederli fendere il cielo. Si potrebbe affermare che quindi il reale protagonista non sia egli, ma la straripante energia, memento della sua vita.

La trama si srotola intorno al desiderio di volare, inizialmente tradotto dal protagonista come ambizione a diventare pilota; a causa di una malattia agli occhi Jirou deve desistere, ed è quello il momento in cui concepisce il volo come fenomeno a cui vuole dare adito in maniera indiretta: decide, insomma, di voler progettare aerei, non più di guidarli. Ciò lo condurrà verso le vie di Tokyo, poi ancora ad abbandonare il suolo giapponese o ancora, per una serie di fortunate combinazioni del destino, a intessere un'intima corrispondenza con una donna di nome Nahoko.
Tuttavia, l'avvicendarsi è un pretesto, certo essenza del canovaccio, dal quale non si può prescindere, ma dal quale non è nemmeno possibile trarre un giudizio diretto. In altre parole l'intento narrativo non può procedere da solo, né può essere considerato una sezione a sé stante, poiché è solidamente e incredibilmente connesso all'ampiezza contenutistica, che progressivamente svela una ricchezza culturale disarmante e dannatamente calzante.
C'è a tutti gli effetti un variopinto ventaglio di agganci alla storia, a titoli e personaggi della realtà che ci è propria; Hugo Junkers, il terremoto del Kanto del 1923, "The Magic Mountain" di Thomas Mann, Die Winterreise di Schubert o, ancora, L'Isola dei Morti di Böcklin, affissa sul muro attorno al minuto 54, inquadrata di scorcio, eppur presente.

La storia infatti non è stata composta da Miyazaki in due ore e qualche minuto (durata della pellicola), al contrario essa per esser orchestrata ha richiesto un profondo studio, dando origine a passaggi e cavilli non ignorabili, che vengono appunto riassunti in una pellicola, ma che parlano per un'intera epoca. Ha dato origine a meravigliosi riscontri anche nella realtà: il regista ha iniziato un bizzarro scambio epistolare col nipote del Caproni, personaggio di rilievo per l'aeronautica, che Jirou nella pellicola riuscirà a incontrare solo in sogno. Ma che, d'accordo con quanto espresso più sopra, arriverà magicamente a manifestarsi nella sua realtà, seppur non fisicamente ma attraverso gli enormi cambiamenti che il protagonista apporta alla propria vita, sulla base dei propri desideri.

Del materiale pre e post visione ce n'è in misura copiosa, tanto da poter dedurre con facilità che la pellicola non si arresti con l'ultimo fotogramma, bensì essa è più concreta di quanto ci sembri dal sedile del cinema o, forse più comodamente, dalla sedia di casa nostra. Così com'è iniziata, quindi da vicende legate al reale, essa si scioglie e si snoda nella nostra realtà. Ciò che meglio va evidenziato è il modo in cui le nozioni storiche, sociali, arrivino fino a noi ramificandosi da una storia di cui siamo conseguenza diretta.
Va ribadito, infatti, che il materiale è così tanto che le produzioni laterali alla pellicola sono numerose, e hanno una profonda valenza per un'interpretazione più critica del film stesso. Ciò è verificabile anche con l'intervista di Gualtiero Cannarsi, offerta da Animeclick.it, grazie alla quale sono venuto a conoscenza della seguente affermazione di Miyazaki:
«Quando ho visto il film di Tarkovskij, Nostalghia, ho capito quanto questo sentimento potesse essere universale e condiviso, anche nei bambini. La nostalgia non è un privilegio degli adulti: è una delle rare caratteristiche che ci rendono umani. Umani e bambini. Vivendo, perdiamo, via via, qualcosa. È la vita. La vita diventa, per tutti, nostalgia».
Il regista decide di invadere la vita d'ogni persona, e di toccare quelle corde che muovono i mondi che dentro abbiamo in comune, da umani quali siamo.
Miyazaki, in altre parole, fa ricorso all'universalità. Usa del materiale che esce dallo schermo, che non è fatto di materia: "Si alza il vento" offre allo spettatore, grazie ai propri ritmi onirici e reali intersecati, un aggancio talvolta concreto, talvolta instabile, ma universale, afferrabile da chiunque.

Le dita sul piano continuano a sfregare sui tasti, a battere incessantemente, e sulla propria scia cogliamo un altro interessante fenomeno proprio a Si alza il vento. Quella che viene sperimentata nel film è infatti un'avvallata, profonda, arcana ricerca dell'uomo, in senso storico, sociale, emotivo. Un sentiero inequivocabilmente parallelo alla vita del regista, al suo condurre una passione all'estremo, l'animazione, sognata e costruita sulla traccia dei propri anni. Hayao Miyazaki, cultore del volo, amante del fumo, uomo di sogni, ha messo dentro all'opera degli stralci di sé.
E lo ha fatto (almeno, ha tentato) anche in senso meno figurato. Infatti, gli effetti sonori presenti in questo film sono stati creati da voci umane. Fatalità vuole che Miyazaki si sia proposto, e sia stato bocciato, per realizzare i suoni di una sequenza particolare.
Non essendoci riuscito, egli ha deciso di lanciare il suo appello lavorando completamente alla regia. La sua voce straripa da ogni scena, e come detto anche in precedenza, urla "dalle realtà cominciano i sogni".

Frutto di un simpatico scambio epistolare col nipote del Caproni, citato più sopra, è la minuziosità dei dettagli per ciò che concerne gli aerei. Il fenomeno nozionistico però s'allarga a contesti più generali, abbracciando uno spaccato di vita nipponica, sociale e storico. I disegni portano infatti addosso il segno concreto d'un lavoro sudato.

A proposito della qualità dell'immagine, non vi sono incertezze da denunciare; da tenere in considerazione sotto una luce positiva sono invece i momenti di maggior tensione sentimentale, per cui viene riservata una cura che supera il livello mantenuto in media - livello comunque altissimo, se non lodevole.
I visi sono addolciti, i lineamenti sono tipici dello studio di produzione, tanto da riecheggiare nei precedenti titoli dello Studio Ghibli.
Però, solo nell'aspetto tecnico si segue lo stesso alito di vento portato avanti da quella che può definirsi un'era (Miyazaki ha creato, nell'animazione, quella che effettivamente può essere definita tale).
L'individuo più avvezzo a Miyazaki saprà sicuramente riconoscere che in questa pellicola l'idea del fantastico e dell'onirico viene sovvertita rispetto ai suoi precedenti lavori; in questo caso, l'ancora della realtà non viene abbandonata in nessun caso alla mareggiata. Ciò che viene invece utilizzato è un ritmo denso, ma per niente pesante, proprio come l'aria d'un sogno, che mescola nella giusta misura la dimensione onirica e quella della veglia.

V'è la presenza inoltre di qualche siparietto di stampo vagamente disneyano, come la sequenza di Jirou in rincorsa con l'aereo di carta, conclusa con gag, in cui gli stessi disegni aggiungono qualche dettaglio di parvenza caricaturale. Mai, però, ci si allontana da "la favola dell'animazione" in cui perdersi è piacevole, quella sensazione in cui non si sperimenta un effetto di straniamento quando la logica o la razionalità sembrano leggermente sbiadirsi (ma, ripeto, mai scomparire completamente). Si alimentano anzi piacevoli sentimenti, e calde atmosfere avvolgono lo spettatore come coperte.
La Disney è anche indirettamente coinvolta per la bizzarra - ma non spiacevole - presenza di Steven Alpert, produttore esecutivo del marchio, in qualità di doppiatore del personaggio Kastrup.

La musica non è di parte, ed anch'essa viene trattata da diverse inquadrature.
Viene data una colonna sonora alla vita dei personaggi, come nell'ascolto del Die Winterreise; ne viene data una anche allo spettatore, composta dal celebre Joe Hisaishi, perfettamente amalgamata all'idillio delle atmosfere, nella quale colonna s'alternano suoni dall'assemblaggio che ha una forte funzione di trasporto emotivo. Scendendo d'un gradino ancor più nel soggettivo, ho sentito che questi suoni riproducessero vagamente quello che potrebbe essere il potenziale suono del vento: delicato, talvolta più burrascoso, alle volte inaspettato e impetuoso, acuto, vigoroso, energico! La natura del suono è infatti spesso modulata da flauti e violini: associar loro gli attributi appena espressi risulta immediato.

Ciò che risuona nelle nostre teste è il rumore del vento? O il richiamo delle voci di Schubert e della sua amena Winterreise, al minuto 52 della pellicola? Può darsi che il silenzio che udiamo sia proprio il rumore che il vento produce. Quando i titoli di coda si allontanano, il video s'arresta, e tutto è scomparso, abbiamo i dubbi tra le mani e il tempo per sgusciarli con calma.
Ciò che è il valore di punta del film è proprio la sperimentabilità nella vita della serie. La possibilità di accogliere concretamente nuovi spazi, generare cambiamenti intorno a noi, e aggiungere ai filtri dei nostri occhiali una lente diversa, con l'impronta di Hayao Miyazaki, e a sua volta dei nomi a cui lui s'è rimesso. Dopotutto, per voi che state leggendo questa recensione, Si alza il vento sembra ormai lontano, come un sogno fatto qualche ora precedente, di cui si coglie qualche nesso e qualche stralcio, ma nei nasi e nelle vie del nostro corpo ne viaggia ancora l'essenza.
Simultanea alla musica, che scivola sulla pelle dell'attento astante, la tela della trama si compone come un dipinto in creazione: qua si forma una chiazza, là ve n'è un'altra, e gradualmente, musica in orchestra, si raggiunge l'apice con l'ultima spennellata: quella che dà origine al disegno completo e che, dunque, permette di rivalutare i giudizi espressi man mano, per ogni tratto precedente.

Squisitamente definita è l'idea di armonia che congiunge ogni aspetto presentato. La regia miyazakiana ha ricreato una dimensione in cui, come gli stessi protagonisti, è impossibile non abbandonarsi alla dolcissima confusione dei sogni alternati alla veglia.
Come se il regista si fosse preso la briga di poggiare sulle mani degli spettatori (e fare forza perché loro potessero accogliere) quella porzione di realtà trasognante eppure zuccherosa che nella visione ci cattura. Non distante dalla sensazione che, al tempo, Giacomo Leopardi ha lasciato nel verso che chiude il canto de "L'Infinito".

Ed io penso lo stesso, ad oggi, esser scaraventato via dalla tempesta è piacevole, quando Si alza il vento.

Insomma, fare presa in senso fisico, stimolare i sogni, generare farfalle nel petto, è un lavoro i cui strumenti sono rari da trovare ed utilizzare. Si alza il vento è capace di armeggiare con essi in maniera magistrale. Tanto che quando gli aerei volavano nel cielo, nella pellicola, mi è sembrato di scivolare nello schermo. "Se adesso questo aereo sbucasse fuori dallo schermo, e ci raggiungesse?", per noi crederlo sarebbe come ammettere di star sognando. Eppure, il fatto stesso di interrogarsi su di esso è sintomo di una riflessione spinta dalla visione del film.
Inoltre, per noi che ne abbiamo i mezzi, e siamo testimoni della storia di Jirou, perché non farlo? Perché non sognare? Ad esempio alla prima visione della pellicola mai avvenuta venne mostrato un treno che arrivava alla stazione. L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat.[/b] Non era nient'altro che un treno in avvicinamento, eppure la gente iniziò a dimenarsi per la sala, urlando, cercando di fuggire e spaventata a morte.
Da allora le pellicole hanno fatto strada. Alla prima visione di Una tomba per le lucciole, titolo del medesimo regista, sono stati resi disponibili dei salvagente affianco ad ogni sedile. Alla visione di Si alza il vento non c'è stato bisogno di tutto questo. Il mezzo tramite cui "entrare" nella visione è l'uomo stesso, nel suo avere in comune a tutti gli altri l'essere vivo, il provare dei desideri, degli amori. La pellicola si fa da sé, e diventa, nella rappresentazione del sogno e della vita, sogno stesso.

Il sogno è, come nostalgia, prerogativa dell'essere umano, universale, tanto da infrangere barriere costituite da razze o età. È per questo che consiglierei il film a un target ampissimo. La mia recensione è rivolta a chiunque sia ancora capace di sognare. E, nella stessa misura, lo consiglio a chi non sogna più, o sogna un giorno sì e dieci no.
Perché la pellicola nasconde da qualche parte, per ognuno di noi, la possibilità di trovare in esso qualcosa ch'è nostro. Il contrario, il fatto di non trovarvi nulla in cui riflettersi, non è fatto plausibile.
Perché? La risposta è sopra i nostri occhi; chi dal basso, chi dall'alto, chi nel mezzo delle nuvole, ha sperimentato la brezza del cielo intorno a sé.
La stessa familiare, calda, indescrivibile sensazione del sentire il vento. La similitudine migliore che mi riesce citare, per descriverlo, è quella del come esser trasportati dal vento, appunto. Non ha un effettivo riscontro nella realtà, così come un'emozione non ha con sé una controparte concreta, non possiamo toccarla: eppure, eppure, è qui il bello! Il sentire, nell'accezione più profonda del verbo, l'emozione che parte dalla nostra testa e si diffonde per l'epidermide.
Un aereo nel cielo, che lo solletica.

Per essere più conciso, e un po' più concreto, si parla (quasi) dello stesso momento in cui il nipote del Signor Caproni, in una delle fasi dello scambio epistolare, ha ricevuto indietro la foto di Miyazaki, con la lettera che lo rassicurava del fatto che gli fosse arrivato un libro importantissimo da lui spedito, di cui esistevano poche copie e da cui è stata tratta enorme ispirazione per partorire il film.

Quando qualcosa ci raggiunge in profondità, noi lo facciamo nostro. È la volontà dell'uomo, spesso, di attirare a sé ciò che ama.
Così come il protagonista voleva magneticamente portare tra le proprie braccia le ali di mille aerei, che aveva nella propria testa, o le mani della donna della sua vita.

Così come quella lettera del Caproni, ricolma di sentimenti, questa è la mia lettera ad ogni spettatore, e non, di Si alza il vento.
Gli aeroplani sono sogni bellissimi, ma maledetti, dice il Caproni, tutti inghiottiti dal cielo. Nonostante sia conscio del loro destino, il protagonista Jirou continua a voler costruire nuovi aerei, a voler amare la propria donna malata.
L'intera, totale, completa recensione, che più profondamente è proprio questo, solo un'altra forma di dire "Ti amo", si esplica pressappoco così. Dalla cima fino al fondo. E con un'intera frase, ripetuta tra ogni spazio, ogni lettera, parola:
Le vent se lève! Il faut tenter de vivre.