Recensione
Uchū Kyodai
9.0/10
L'evento straordinario di due fratelli nello spazio farà senz'altro storia. È così che vengono percepite dal pubblico le vicende di Mutta e Hibito Nanba, la coppia di protagonisti del lungometraggio Uchū Kyōdai (宇宙兄弟 Fratelli nello spazio), diretto da Mori Yoshitaka e basato sull'omonimo manga di Koyama Chūya. Ogni evento straordinario ha un'origine speciale e richiede una lunga preparazione: la durata di oltre due ore della pellicola copre infatti il principio del sogno di due bambini di viaggiare insieme nello spazio e le difficoltà di questo lungo percorso per arrivare alla realizzazione delle proprie aspirazioni. Tutto è cominciato quando Mutta e Hibito, due fratellini dalla spiccata curiosità, si imbattono in un UFO. In quella notte stellata solcata da navicelle aliene e illuminata dalla Luna, si scambiano la promessa di raggiungere insieme il satellite che accompagna la Terra nel suo giro intorno al Sole e mai la lascia sola. Ci sono persone e persone e ognuna di queste ha tempi diversi di gestazione delle situazioni che la vita ci pone dinanzi: è così che mentre Hibito, il minore, ha sorpassato già la schiena del fratello ed è pronto a partire per la Luna, Mutta si è visto dare una pacca dal più piccolo mentre era intento a tenere i piedi ben saldi a terra, quando il cuore già era deciso a volare nell'immensità dell'universo. Razionalizzando il suo sogno di bambino, convinto che le persone mature non inseguono i desideri impossibili dei mocciosi che la sera di Natale scrivono la letterina e sperano che un pancione dalla barba bianca su una slitta trainata da renne gli impacchetti il futuro e glielo consegni sotto l'albero, Mutta lascia andare il suo Galaxy Express e prova a vivere la vita che a un uomo si confà. O almeno è così che pensava, fino a quando non è proprio da Hibito che riceve un'amara lezione: il futuro si costruisce mettendocela tutta e non rinunciando a ciò che si ama. E soprattutto, le promesse si mantengono, Mucchan!
«Dai ragazzo, parlami del grande razzo che vedi laggiù. Sai cosa lo alimenta? Che cosa lo innalza? Il cuore della gente, questo è il vero potere! E il coraggio degli astronauti. Ogni razzo in ogni singola missione è pieno di passione e determinazione. E poi, tutte le persone che instancabili lavorano dalla Terra, proprio loro e gli esperti così fieri, così pieni di conoscenze. Infine pensa a tutte quelle persone che sono lì col naso all'insù a guardare, colme di speranza e in preghiera. Rispetto. Questo è ciò che infiamma. Questo è ciò che accende il fuoco dentro e poi esplode e spedisce 200 tonnellate di metallo nello spazio.»
È Buzz Aldrin la voce di questa lunga battuta, che infiamma l'animo dello spettatore proprio come il 20 luglio 1969 accesero le speranza dell'uomo i primi passi che compì sul suolo lunare assieme al collega Neil Armstrong nella missione denominata Apollo 11. La confusione che Mutta prova dinanzi allo shuttle di Hibito in partenza per la Luna viene spazzata via dalle parole di Buzz, che seduto su una sedia da regista si gode l'affascinante spettacolo dell'umanità che cerca di superare sé stessa e di conquistare il suo futuro. Perché è di notte che dimorano i sogni, è di notte che si vede l'universo puntellarsi di luce e assumere le caratteristiche sembianze delle carte stellari, è di notte che la Luna solca il cielo e dà conforto nell'oscurità del presente. È alla notte che appartengono i primi passi nello spazio dei due fratelli, che sotto il manto trapunto di stelle correvano bambini fra un cratere e l'altro del satellite cantato da Leopardi nel suo "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia". E Mutta ha molto da errare prima di riuscire a toccare il cielo con un dito! Simbolo dell'umanità che si mette alla prova per progredire, così Mutta combatte contro i suoi complessi di inferiorità, contro le convenzioni che non credevano alle sue parole quando giurava di aver visto un UFO, contro gli esami, gli esaminatori e gli esaminandi della JAXA (Japan Aerospace Exploration Agency) che lo ostacolavano nella sua ascesa al cielo, contro quelli che non credevano in lui e contro sé stesso che non credeva di potercela fare. È nella promessa fatta a Hibito, nella promessa di un aniki verso il suo otouto che Mutta trova la forza di reagire e migliorarsi.
Il volto dei due fratelli è quello di Oguri Shun e Okada Masaki, che rispettivamente interpretano Mutta dal capello afro e Hibito. Entrambi hanno pienamente superato la prova e sono riusciti a regalare qualcosa di sé ai personaggi. Ogurin ha mantenuto il misto di serietà e birichineria che contraddistingue Mutta, ma gli ha dato una bellezza che il personaggio di Koyama non ha. Mentre Okada ha conferito a Hibito una dolcezza oltre ogni dire. Se penso ai passi che i due attori hanno compiuto per arrivare a recitare in questo film, se penso a come recitavano all'epoca, quando Ogurin interpretava il tenebroso Rui Hanazawa di "Hana yori dango" e Okada il malaticcio Takuma Kakinouchi di "I give my first love to you", rimango ancor più affascinata dal lavoro fatto dietro ai due fratelli Nanba. Anche il resto del cast è stato bravo. Ho gradito in particolar modo Aso Kumiko nei panni della bella dal sorriso che emana freschezza Ito Serika, la fiamma di Mutta che insieme a lui intraprende la carriera aerospaziale.
La colonna sonora è evocativa. I Sigur Ros cantano "Hoppípolla" e la metafora dell'uomo che salta la pozzanghera, intesa come le difficoltà della vita, rimanda al salto che Hibito, il primo giapponese della storia ad aver messo piede sulla Luna, compie durante il suo primo viaggio; e rimanda anche ai salti di gioia che i due fratelli fanno una volta raggiunto lo spazio. "Mi sanguina il naso, ma io continuo. Mi sanguina il naso, ma io continuo." Nonostante gli abbattimenti, le frustrazioni, le volte in cui si è sospirato e si è pensato di non farcela; è in quei momenti che si è scelto di vivere il presente secondo per secondo, giorno per giorno si continua ad andare avanti. "Every teardrop is a waterfall" cantano invece i Coldplay alla fine del film, quasi a testimoniare il coinvolgimento che questo live action provoca. Uchū Kyōdai, infatti, sa essere commovente fino alle lacrime, soprattutto nel climax finale. La recitazione è stata di buon livello, anche per questo è risultato più semplice immedesimarsi nei personaggi. Non avendo conoscenze pregresse della storia - nel senso che non leggo il manga e nemmeno ho mai visto l'anime -, mi sono avvicinata a questo lungometraggio come una tabula rasa, pronta ad assorbire tutto quello che mi veniva proposto. E l'insieme presentato ha funzionato degnamente, anche perché il discorso che viene introdotto all'inizio trova la sua naturale conclusione nel finale, con la piena realizzazione degli ideali e dei sogni dei personaggi. Per questo motivo mi sento di consigliare a tutti la visione di questo live action, con la speranza che vi faccia volare verso la Luna, proprio come hanno fatto Mutta e Hibito.
«Dai ragazzo, parlami del grande razzo che vedi laggiù. Sai cosa lo alimenta? Che cosa lo innalza? Il cuore della gente, questo è il vero potere! E il coraggio degli astronauti. Ogni razzo in ogni singola missione è pieno di passione e determinazione. E poi, tutte le persone che instancabili lavorano dalla Terra, proprio loro e gli esperti così fieri, così pieni di conoscenze. Infine pensa a tutte quelle persone che sono lì col naso all'insù a guardare, colme di speranza e in preghiera. Rispetto. Questo è ciò che infiamma. Questo è ciò che accende il fuoco dentro e poi esplode e spedisce 200 tonnellate di metallo nello spazio.»
È Buzz Aldrin la voce di questa lunga battuta, che infiamma l'animo dello spettatore proprio come il 20 luglio 1969 accesero le speranza dell'uomo i primi passi che compì sul suolo lunare assieme al collega Neil Armstrong nella missione denominata Apollo 11. La confusione che Mutta prova dinanzi allo shuttle di Hibito in partenza per la Luna viene spazzata via dalle parole di Buzz, che seduto su una sedia da regista si gode l'affascinante spettacolo dell'umanità che cerca di superare sé stessa e di conquistare il suo futuro. Perché è di notte che dimorano i sogni, è di notte che si vede l'universo puntellarsi di luce e assumere le caratteristiche sembianze delle carte stellari, è di notte che la Luna solca il cielo e dà conforto nell'oscurità del presente. È alla notte che appartengono i primi passi nello spazio dei due fratelli, che sotto il manto trapunto di stelle correvano bambini fra un cratere e l'altro del satellite cantato da Leopardi nel suo "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia". E Mutta ha molto da errare prima di riuscire a toccare il cielo con un dito! Simbolo dell'umanità che si mette alla prova per progredire, così Mutta combatte contro i suoi complessi di inferiorità, contro le convenzioni che non credevano alle sue parole quando giurava di aver visto un UFO, contro gli esami, gli esaminatori e gli esaminandi della JAXA (Japan Aerospace Exploration Agency) che lo ostacolavano nella sua ascesa al cielo, contro quelli che non credevano in lui e contro sé stesso che non credeva di potercela fare. È nella promessa fatta a Hibito, nella promessa di un aniki verso il suo otouto che Mutta trova la forza di reagire e migliorarsi.
Il volto dei due fratelli è quello di Oguri Shun e Okada Masaki, che rispettivamente interpretano Mutta dal capello afro e Hibito. Entrambi hanno pienamente superato la prova e sono riusciti a regalare qualcosa di sé ai personaggi. Ogurin ha mantenuto il misto di serietà e birichineria che contraddistingue Mutta, ma gli ha dato una bellezza che il personaggio di Koyama non ha. Mentre Okada ha conferito a Hibito una dolcezza oltre ogni dire. Se penso ai passi che i due attori hanno compiuto per arrivare a recitare in questo film, se penso a come recitavano all'epoca, quando Ogurin interpretava il tenebroso Rui Hanazawa di "Hana yori dango" e Okada il malaticcio Takuma Kakinouchi di "I give my first love to you", rimango ancor più affascinata dal lavoro fatto dietro ai due fratelli Nanba. Anche il resto del cast è stato bravo. Ho gradito in particolar modo Aso Kumiko nei panni della bella dal sorriso che emana freschezza Ito Serika, la fiamma di Mutta che insieme a lui intraprende la carriera aerospaziale.
La colonna sonora è evocativa. I Sigur Ros cantano "Hoppípolla" e la metafora dell'uomo che salta la pozzanghera, intesa come le difficoltà della vita, rimanda al salto che Hibito, il primo giapponese della storia ad aver messo piede sulla Luna, compie durante il suo primo viaggio; e rimanda anche ai salti di gioia che i due fratelli fanno una volta raggiunto lo spazio. "Mi sanguina il naso, ma io continuo. Mi sanguina il naso, ma io continuo." Nonostante gli abbattimenti, le frustrazioni, le volte in cui si è sospirato e si è pensato di non farcela; è in quei momenti che si è scelto di vivere il presente secondo per secondo, giorno per giorno si continua ad andare avanti. "Every teardrop is a waterfall" cantano invece i Coldplay alla fine del film, quasi a testimoniare il coinvolgimento che questo live action provoca. Uchū Kyōdai, infatti, sa essere commovente fino alle lacrime, soprattutto nel climax finale. La recitazione è stata di buon livello, anche per questo è risultato più semplice immedesimarsi nei personaggi. Non avendo conoscenze pregresse della storia - nel senso che non leggo il manga e nemmeno ho mai visto l'anime -, mi sono avvicinata a questo lungometraggio come una tabula rasa, pronta ad assorbire tutto quello che mi veniva proposto. E l'insieme presentato ha funzionato degnamente, anche perché il discorso che viene introdotto all'inizio trova la sua naturale conclusione nel finale, con la piena realizzazione degli ideali e dei sogni dei personaggi. Per questo motivo mi sento di consigliare a tutti la visione di questo live action, con la speranza che vi faccia volare verso la Luna, proprio come hanno fatto Mutta e Hibito.