Recensione
K: Return of Kings
7.0/10
La serie di tredici episodi di K: Return of Kings, andata in onda nella stagione autunnale dell'anno 2015, si ricollega perfettamente al film K: Missing Kings, che si conferma essere il collante fra la prima e la seconda serie di K. Senza aver guardato il film, di cui ne consiglio la previa visione, non si comprende bene la situazione presentata nell'incipit di K: Return of Kings. Troviamo tutto esattamente come l'avevamo lasciato: l'HOMRA ha riacquistato vigore con la nascita del nuovo Re Rosso nella piccola Anna, e continua imperterrito a trascinare sul campo di battaglia la squadra governativa del SCEPTER 4, capitanata dal Re Blu Munakata Reisi. Nel frattempo il nuovo clan dei JUNGLE, guidato dal misterioso Re Verde Hisui Nagare, fa il suo saluto ai restanti re attraverso lo spadaccino Mishakuji Yukari, e presenta un piano rivoluzionario che minaccia l'incolumità dell'intera razza umana. A questo punto ci si domanda dove sia finito il protagonista, ossia il Re Argento Isana Yashiro. Tutti aspettano il suo ritorno, in particolar modo i membri del minuscolo clan che gli si è formato intorno: Yatogami Kuroh e Neko conducono un'estenuante ricerca dell'amico perduto. Sarà proprio con il ritorno di Shiro che la spirale di eventi inizierà a girare vorticosamente...
K: Return of Kings lascia un po' da parte i personaggi della prima stagione per dare spazio ai nuovi arrivati, presentati già in K: Missing Kings: i membri del JUNGLE. In quella che sembra essere la stanza di una casa per le bambole, il Re Verde e i suoi fedeli amici trascorrono il tempo mangiando, giocando, facendosi la manicure, e infine approntando le bozze dei prossimi attacchi. All'inizio appare tutto così finto e artificioso, ma successivamente quest'unione si rivela essere più profonda di quello che ci si aspettava, facendo in modo che affezionarsi ai JUNGLE non sia di per sé impossibile. Rilasciando il potere che risiede nel Dresden Slate, antica pietra rappresentante la fonte dell'aura dei Re e delle loro Spade di Damocle, finora protetta e controllata dall'ormai defunto Re Oro Kokujōji Daikaku, i Verdi mirano a conferire all'umanità la capacità di decidere del proprio futuro, senza che nessuno imperi con un ordine precostituito sul destino di tutti. Per diversi anni essi hanno aspettato con ansia che arrivasse il momento giusto, l'occasione per liberare il proprio arsenale e impossessarsi del potere che cambierà la storia del mondo intero. È soprattutto la figura di Hisui Nagare a catalizzare l'attenzione per tutto il corso della serie. Antagonista dalle molteplici sfaccettature, che sembra sempre camminare sul filo del rasoio, riesce a incuriosire e a tenere alta la tensione, dove invece c'è una stagnazione nella caratterizzazione di Shiro e compagni.
La storyline della prima serie di K era confusa, molte cose non furono spiegate in maniera adeguata. Lasciava un senso di perdita, come se mancasse un importante tassello per arrivare a capire. Mi domandavo in continuazione se mi fossi persa qualche passaggio, perché molte cose non mi erano chiare. Ciò che mi rimase impresso fu semplicemente un anime tecnicamente bello da vedere e con un character design davvero benedetto. Tuttavia il dubbio che volesse dire altro restò tutto. K: Return of Kings, invece, ha avuto abbastanza senso dall'inizio alla fine, nonostante alcune situazioni siano state affrontate frettolosamente e lasciate un po' a sé stesse, ma direi che nel punto in cui è terminato ha fatto il possibile per una serie di tredici puntate con un comparto personaggi così variegato, e che in fin dei conti non mira ad essere null'altro di quello che è. K però non ha perso il suo solito vizio di alternare episodi carichi di azione e colpi di scena con altri in cui non succede niente di niente, se non discorsoni lunghi che rasentano l'ovvio e che annoiano lo spettatore. In questo conserva la sua natura di cattivo slice of life, per contro se in quegli episodi di intermezzo avesse arricchito la caratterizzazione dei personaggi, i cui legami sono rimasti a volte abbozzati, avrebbe guadagnato senz'altro qualche punto in più. Ma parlare con i se e con i ma non giova a nulla.
Dal punto di vista tecnico si mantiene su livelli alti, almeno per quello che io posso capire di animazione. Molto fluide e chiare le scene di combattimenti e sapiente uso delle alte luci orientate sul rosso e il blu, marchio di fabbrica di K. Il chara design strizza con forza l'occhio alle ragazze, presentando una sfilata di modelli vestiti alla moda, che anche quando combattono non perdono nemmeno un minimo della loro finezza, pur se a sentire Mishakuji Yukari l'unico elegante è lui! Ma anche per i maschietti c'è un bel po' di fanservice, con riprese nemmeno poi tanto casuali sul basso ventre di Neko e Awashima. C'è pure tanto moe con la dolcissima Anna, che in alcune parti avrei voluto stringere forte forte a me. Il miglioramento più evidente è avvenuto nella colonna sonora, già valida nella prima stagione, che in alcuni punti è stata più che perfetta col suo sound techno. Non mi usciva più da testa il tema delle battaglie fra Nagare e Anna, o fra Iwa e Munakata. Anche l'opening e l'ending sono entrambe belle, pur se per gusto personale preferisco Kai, l'ending dei CustomiZ. Tuttavia, nel video dell'opening mi è piaciuta tantissimo la scelta di sincronizzare il testo di Asymmetry di Yui Horie con la bocca di Anna, come se stesse cantando in playback.
Anche se ci sono stati dei miglioramenti rispetto alla prima serie, a cui avrei dato una sufficienza stiracchiata, K: Return of Kings presenta ancora dei difetti, perciò più del discreto non posso spingermi. Tutto sommato si è lasciato guardare, mi ha anche appassionata sul finale, pur se la conclusione non mi ha appagata del tutto. Non so se in futuro realizzeranno altro di K, forse dovrebbero pensare a un bel prequel, anche perché spesso pure in questa serie sono stati citati eventi e persone di un passato di cui ancora si conosce troppo poco. Io aspetto.
K: Return of Kings lascia un po' da parte i personaggi della prima stagione per dare spazio ai nuovi arrivati, presentati già in K: Missing Kings: i membri del JUNGLE. In quella che sembra essere la stanza di una casa per le bambole, il Re Verde e i suoi fedeli amici trascorrono il tempo mangiando, giocando, facendosi la manicure, e infine approntando le bozze dei prossimi attacchi. All'inizio appare tutto così finto e artificioso, ma successivamente quest'unione si rivela essere più profonda di quello che ci si aspettava, facendo in modo che affezionarsi ai JUNGLE non sia di per sé impossibile. Rilasciando il potere che risiede nel Dresden Slate, antica pietra rappresentante la fonte dell'aura dei Re e delle loro Spade di Damocle, finora protetta e controllata dall'ormai defunto Re Oro Kokujōji Daikaku, i Verdi mirano a conferire all'umanità la capacità di decidere del proprio futuro, senza che nessuno imperi con un ordine precostituito sul destino di tutti. Per diversi anni essi hanno aspettato con ansia che arrivasse il momento giusto, l'occasione per liberare il proprio arsenale e impossessarsi del potere che cambierà la storia del mondo intero. È soprattutto la figura di Hisui Nagare a catalizzare l'attenzione per tutto il corso della serie. Antagonista dalle molteplici sfaccettature, che sembra sempre camminare sul filo del rasoio, riesce a incuriosire e a tenere alta la tensione, dove invece c'è una stagnazione nella caratterizzazione di Shiro e compagni.
La storyline della prima serie di K era confusa, molte cose non furono spiegate in maniera adeguata. Lasciava un senso di perdita, come se mancasse un importante tassello per arrivare a capire. Mi domandavo in continuazione se mi fossi persa qualche passaggio, perché molte cose non mi erano chiare. Ciò che mi rimase impresso fu semplicemente un anime tecnicamente bello da vedere e con un character design davvero benedetto. Tuttavia il dubbio che volesse dire altro restò tutto. K: Return of Kings, invece, ha avuto abbastanza senso dall'inizio alla fine, nonostante alcune situazioni siano state affrontate frettolosamente e lasciate un po' a sé stesse, ma direi che nel punto in cui è terminato ha fatto il possibile per una serie di tredici puntate con un comparto personaggi così variegato, e che in fin dei conti non mira ad essere null'altro di quello che è. K però non ha perso il suo solito vizio di alternare episodi carichi di azione e colpi di scena con altri in cui non succede niente di niente, se non discorsoni lunghi che rasentano l'ovvio e che annoiano lo spettatore. In questo conserva la sua natura di cattivo slice of life, per contro se in quegli episodi di intermezzo avesse arricchito la caratterizzazione dei personaggi, i cui legami sono rimasti a volte abbozzati, avrebbe guadagnato senz'altro qualche punto in più. Ma parlare con i se e con i ma non giova a nulla.
Dal punto di vista tecnico si mantiene su livelli alti, almeno per quello che io posso capire di animazione. Molto fluide e chiare le scene di combattimenti e sapiente uso delle alte luci orientate sul rosso e il blu, marchio di fabbrica di K. Il chara design strizza con forza l'occhio alle ragazze, presentando una sfilata di modelli vestiti alla moda, che anche quando combattono non perdono nemmeno un minimo della loro finezza, pur se a sentire Mishakuji Yukari l'unico elegante è lui! Ma anche per i maschietti c'è un bel po' di fanservice, con riprese nemmeno poi tanto casuali sul basso ventre di Neko e Awashima. C'è pure tanto moe con la dolcissima Anna, che in alcune parti avrei voluto stringere forte forte a me. Il miglioramento più evidente è avvenuto nella colonna sonora, già valida nella prima stagione, che in alcuni punti è stata più che perfetta col suo sound techno. Non mi usciva più da testa il tema delle battaglie fra Nagare e Anna, o fra Iwa e Munakata. Anche l'opening e l'ending sono entrambe belle, pur se per gusto personale preferisco Kai, l'ending dei CustomiZ. Tuttavia, nel video dell'opening mi è piaciuta tantissimo la scelta di sincronizzare il testo di Asymmetry di Yui Horie con la bocca di Anna, come se stesse cantando in playback.
Anche se ci sono stati dei miglioramenti rispetto alla prima serie, a cui avrei dato una sufficienza stiracchiata, K: Return of Kings presenta ancora dei difetti, perciò più del discreto non posso spingermi. Tutto sommato si è lasciato guardare, mi ha anche appassionata sul finale, pur se la conclusione non mi ha appagata del tutto. Non so se in futuro realizzeranno altro di K, forse dovrebbero pensare a un bel prequel, anche perché spesso pure in questa serie sono stati citati eventi e persone di un passato di cui ancora si conosce troppo poco. Io aspetto.