Recensione
GATE
4.0/10
Recensione di traxer-kun
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(Poco) fantasy e (molto) moe: ecco come è riassumibile Gate: Jieitai Kanochi nite, Kaku Tatakaeri, d'ora in poi semplicemente Gate, serie televisiva realizzata da A-1 Pictures e divisa in due split cour da dodici episodi l'uno, che nasce come adattamento dell'omonima light novel scritta da Takumi Ianai e illustrata da Kuroishi. Un canovaccio che oramai da alcuni anni è diventato prassi, per il quale molto (troppo) spesso le storie seguono strutture già ben definite e si scontrano con svariati ostacoli di adattamento - primo tra tutti l'assenza annunciata di un finale; ma vediamo ora il caso specifico, che - purtroppo - non è affatto positivo.
Protagonista della storia è Yōji Itami, giovane tenente delle Forze di Autodifesa giapponesi, che in un qualsiasi giorno d'estate si trova a dover far fronte a un fatto alquanto singolare: nel centro di Ginza a Tōkyō appare un misterioso portale, dal quale fuoriesce una schiera di cavalieri, orchi, draghi e innumerevoli altre creature che semina distruzione e morte, prima di essere respinta dalle forze militari. Una volta blindato il portale, i piani alti dell'esercito decidono di stanziare uno squadrone delle Forze giapponesi al suo interno, per soffocare sul nascere eventuali sortite future e in ultima istanza per cercare un contatto con le popolazioni che ci vivono: il tenente Itami, suo malgrado, si ritroverà a capo del piccolo plotone. Grazie alle conoscenze con alcuni abitanti effettuate al di là del portale arriverà così a esplorare e conoscere i misteri del "nuovo mondo".
Idealmente il soggetto - per quanto abusato dalla letteratura contemporary fantasy attuale - non è poi così malvagio, viste le possibilità pressoché infinite di sviluppo di una trama e di caratterizzazione del mondo; il problema è che Gate, di fantasy, ha poco o nulla. Per argomentare ciò, innanzitutto analizziamo il protagonista. Itami viene presentato come un ragazzo che ha da poco superato i trenta, un po' cinico ma di buon cuore, che afferma di fare il suo mestiere "solo per finanziare i passatempi", anche se in fondo in fondo lo apprezza: si direbbe quasi una figura "ispirata" (per non dire altro) a Yang Wenli di Legend of the Galactic Heroes, se non fosse che Itami è un otaku. Questo dettaglio, completamente inutile ai fini della vicenda ma su cui la stessa è impietosamente imperniata, ha come unico fine quello di permettere allo spettatore a sua volta otaku di simpatizzare per lui. Emerge dunque fin da subito il vero intento di Gate, il quale - come si potrà evincere dagli appena successivi sviluppi di trama - non è creare un prodotto fantasy ben definito, bensì semplicemente sfruttarne l'ambientazione per mettere insieme un improbabile coacervo di elementi moe di dubbio gusto, attraverso i quali circuire e lobotomizzare il target di pubblico cui è indirizzato. Le tre ragazze (in numero crescente) che accompagnano il protagonista e che ovviamente gli fanno il filo, non sono che meri simulacri da riempire di cliché ed elementi moe: il senso di protezione suscitato dalla maghetta taciturna e monoespressiva, i traumi strappalacrime dell'elfa dal doloroso passato e le nauseanti avances della semidea gothic lolita dalla vocetta insopportabile (sì, c'è una semidea goth loli) diventano il cardine dell'anime, che di fatto mette da parte tutto il resto per concentrare gran parte delle proprie risorse sul fanservice. Nei rari segmenti in cui la trama procede infatti sarà palese come gran parte dei personaggi siano assolutamente inutili ai fini dell'intreccio: l'anime, spingendo all'estremo l'enfasi sui tratti moe della storia e dei personaggi, diviene una caricatura grottesca (ma involontaria) di un universo fantasy del tutto privo di coerenza e approfondimento - in quanto semplicemente il suo scopo non è tale.
La sceneggiatura infatti è a dir poco risibile, talmente traballante e artificiosa da mettere seriamente in dubbio le capacità intellettive dell'autore: gli eventi si susseguono del tutto privi di ordine logico, i personaggi vengono introdotti e messi da parte a seconda delle esigenze, le forzature non si contano (come il fatto che i protagonisti imparino i vari idiomi delle popolazioni nel giro di qualche giorno) e il sottotesto politico a tratti fa rimpiangere i già patetici siparietti comici. Degna di nota anche l'agghiacciante fantasia con la quale sono stati inventati i nomi di alcuni personaggi - primo tra tutti quello della principessa "Piña Co Lada" -, talmente assurdi e terribili da strappare allo spettatore una liberatoria risata di pietà.
La sceneggiatura e i personaggi tuttavia non sono l'unico problema della serie: il comparto tecnico infatti non è da meno. Tralasciando forse solo una buona colonna sonora abbastanza funzionale alle scene in cui è inserita, le animazioni sono più volte altalenanti e insicure, la computer graphics è a tratti usata in modo alquanto eccessivo (come nelle scene con il drago), e soprattutto la regia è tra le più pietose e disastrate che abbia mai visto - ma seriamente, ci vuole impegno per mettere insieme un simile pastrocchio. Il regista - che da questo momento sarà evitato dal sottoscritto come la peste - assembla il materiale visivo con soluzioni a dir poco deliranti: non ha la benché minima conoscenza delle basi del montaggio, sprecando così diverse inquadrature e confondendo più volte l'ordine di campi lunghi e stretti - e viceversa - in un caotico groviglio di sequenze narrativamente incerte. Inoltre, evidentemente non conscio dell'esistenza del controcampo, preferisce frammentare l'immagine in tremendi (quanto inutili) split screen, a cui si aggiungono orripilanti tendine per le ellissi temporali (memorabile quella verticale del pallone da calcio nell'episodio 13), e innumerevoli altri raccordi "sperimentali" da far rabbrividire Edward Wood. Ciliegina sulla torta sono le trovate "postmoderniste", come l'"omaggio" ad Apocalypse Now di Coppola nell'episodio 6: una delle citazioni più inutili, contraddittorie e stupide che abbia mai visto in vita mia, dettata unicamente da un accumulo di dati ignorante e fine a se stesso.
Gate si dimostra quindi l'ennesimo prodotto-simulacro pensato unicamente per vendere tra determinate fette di pubblico, una fiera di banalità che si fa manifestazione del mercato odierno dei prodotti otaku, dove la narrazione si asservisce completamente agli elementi "di genere", capaci di attrarre immediatamente l'attenzione dei consumatori. L'esempio di come ormai le narrazioni siano passate inevitabilmente in secondo piano, a vantaggio di un nuovo criterio di apprezzamento che favorisce singoli elementi d'attrazione tristemente manieristici e consumistici.
Protagonista della storia è Yōji Itami, giovane tenente delle Forze di Autodifesa giapponesi, che in un qualsiasi giorno d'estate si trova a dover far fronte a un fatto alquanto singolare: nel centro di Ginza a Tōkyō appare un misterioso portale, dal quale fuoriesce una schiera di cavalieri, orchi, draghi e innumerevoli altre creature che semina distruzione e morte, prima di essere respinta dalle forze militari. Una volta blindato il portale, i piani alti dell'esercito decidono di stanziare uno squadrone delle Forze giapponesi al suo interno, per soffocare sul nascere eventuali sortite future e in ultima istanza per cercare un contatto con le popolazioni che ci vivono: il tenente Itami, suo malgrado, si ritroverà a capo del piccolo plotone. Grazie alle conoscenze con alcuni abitanti effettuate al di là del portale arriverà così a esplorare e conoscere i misteri del "nuovo mondo".
Idealmente il soggetto - per quanto abusato dalla letteratura contemporary fantasy attuale - non è poi così malvagio, viste le possibilità pressoché infinite di sviluppo di una trama e di caratterizzazione del mondo; il problema è che Gate, di fantasy, ha poco o nulla. Per argomentare ciò, innanzitutto analizziamo il protagonista. Itami viene presentato come un ragazzo che ha da poco superato i trenta, un po' cinico ma di buon cuore, che afferma di fare il suo mestiere "solo per finanziare i passatempi", anche se in fondo in fondo lo apprezza: si direbbe quasi una figura "ispirata" (per non dire altro) a Yang Wenli di Legend of the Galactic Heroes, se non fosse che Itami è un otaku. Questo dettaglio, completamente inutile ai fini della vicenda ma su cui la stessa è impietosamente imperniata, ha come unico fine quello di permettere allo spettatore a sua volta otaku di simpatizzare per lui. Emerge dunque fin da subito il vero intento di Gate, il quale - come si potrà evincere dagli appena successivi sviluppi di trama - non è creare un prodotto fantasy ben definito, bensì semplicemente sfruttarne l'ambientazione per mettere insieme un improbabile coacervo di elementi moe di dubbio gusto, attraverso i quali circuire e lobotomizzare il target di pubblico cui è indirizzato. Le tre ragazze (in numero crescente) che accompagnano il protagonista e che ovviamente gli fanno il filo, non sono che meri simulacri da riempire di cliché ed elementi moe: il senso di protezione suscitato dalla maghetta taciturna e monoespressiva, i traumi strappalacrime dell'elfa dal doloroso passato e le nauseanti avances della semidea gothic lolita dalla vocetta insopportabile (sì, c'è una semidea goth loli) diventano il cardine dell'anime, che di fatto mette da parte tutto il resto per concentrare gran parte delle proprie risorse sul fanservice. Nei rari segmenti in cui la trama procede infatti sarà palese come gran parte dei personaggi siano assolutamente inutili ai fini dell'intreccio: l'anime, spingendo all'estremo l'enfasi sui tratti moe della storia e dei personaggi, diviene una caricatura grottesca (ma involontaria) di un universo fantasy del tutto privo di coerenza e approfondimento - in quanto semplicemente il suo scopo non è tale.
La sceneggiatura infatti è a dir poco risibile, talmente traballante e artificiosa da mettere seriamente in dubbio le capacità intellettive dell'autore: gli eventi si susseguono del tutto privi di ordine logico, i personaggi vengono introdotti e messi da parte a seconda delle esigenze, le forzature non si contano (come il fatto che i protagonisti imparino i vari idiomi delle popolazioni nel giro di qualche giorno) e il sottotesto politico a tratti fa rimpiangere i già patetici siparietti comici. Degna di nota anche l'agghiacciante fantasia con la quale sono stati inventati i nomi di alcuni personaggi - primo tra tutti quello della principessa "Piña Co Lada" -, talmente assurdi e terribili da strappare allo spettatore una liberatoria risata di pietà.
La sceneggiatura e i personaggi tuttavia non sono l'unico problema della serie: il comparto tecnico infatti non è da meno. Tralasciando forse solo una buona colonna sonora abbastanza funzionale alle scene in cui è inserita, le animazioni sono più volte altalenanti e insicure, la computer graphics è a tratti usata in modo alquanto eccessivo (come nelle scene con il drago), e soprattutto la regia è tra le più pietose e disastrate che abbia mai visto - ma seriamente, ci vuole impegno per mettere insieme un simile pastrocchio. Il regista - che da questo momento sarà evitato dal sottoscritto come la peste - assembla il materiale visivo con soluzioni a dir poco deliranti: non ha la benché minima conoscenza delle basi del montaggio, sprecando così diverse inquadrature e confondendo più volte l'ordine di campi lunghi e stretti - e viceversa - in un caotico groviglio di sequenze narrativamente incerte. Inoltre, evidentemente non conscio dell'esistenza del controcampo, preferisce frammentare l'immagine in tremendi (quanto inutili) split screen, a cui si aggiungono orripilanti tendine per le ellissi temporali (memorabile quella verticale del pallone da calcio nell'episodio 13), e innumerevoli altri raccordi "sperimentali" da far rabbrividire Edward Wood. Ciliegina sulla torta sono le trovate "postmoderniste", come l'"omaggio" ad Apocalypse Now di Coppola nell'episodio 6: una delle citazioni più inutili, contraddittorie e stupide che abbia mai visto in vita mia, dettata unicamente da un accumulo di dati ignorante e fine a se stesso.
Gate si dimostra quindi l'ennesimo prodotto-simulacro pensato unicamente per vendere tra determinate fette di pubblico, una fiera di banalità che si fa manifestazione del mercato odierno dei prodotti otaku, dove la narrazione si asservisce completamente agli elementi "di genere", capaci di attrarre immediatamente l'attenzione dei consumatori. L'esempio di come ormai le narrazioni siano passate inevitabilmente in secondo piano, a vantaggio di un nuovo criterio di apprezzamento che favorisce singoli elementi d'attrazione tristemente manieristici e consumistici.