Recensione
Trigun Maximum
9.0/10
Recensione di Kyoma Hooin
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Raramente si incontrano pietre miliari di questo calibro, specialmente nel deserto di certi generi e tipologie di manga, sorte dal nulla e con la stessa silenziosità sparite di colpo, o almeno così si pensava per noi italiani che seguivamo la Dynamic Italia. Fortunatamente un editore serio come la J-Pop si è presa l'onere di rieditare questo manga per intero, donandogli una fattura estetica superiore alla precedente, ma raggiungendo risultati nella traduzione diversi e sostanzialmente meno apprezzabili di quelli della Dynamic.
Si noti che Trigun/Trigun Maximu può essere considerata un' opera singola serializzata in due parti, data una evidente organicità di contenuti e un filo narrativo pressochè continuo.
Le premesse sceniche offerteci da Trigun vengono mantenute e arricchite in Trigun Maximum,
l'ambientazione, lo ricordiamo, è il risultato di un incrocio tra tematiche sci-fi (interazione uomo/forme di vita aliene)e un'azione al cardiopalma in uno scenario dai paesaggi inospitali e costumi locali sommariamente assimilabili a quelli di un western.
Nel mondo deserto la vita è una condanna, la violenza all'ordine del giorno e l'umanità è in un costante e raccapricciante perdita di sé stessa.
Vash, il nostro noto protagonista, verrà curato a tutto tondo dall'inizio alla fine, ricoprendo il ruolo di "salvatore" di questo pianeta, spalleggiato da una serie di personaggi ben caratterizzati e trattati ampiamente; nonostante ci si possa far ingannare dal lato fortemente "action" di questo manga, l'introspezione di protagonista, amici e nemici è qualcosa di pregiato e assolutamente non secondario.
Nota di merito va senza dubbio al coprotagonista, il reverendo Wolfwood, che, è il caso dirlo, contribuisce in maniera eclatante ad impreziosire il ruolo di Vash, essendone una sorta di figura complementare, amico e, scherzosamente parlando (ma neanche tanto), psicologo, incentivando profonde meditazioni sul senso delle sue azioni e di una vita immortale dedita alla sofferenza, dipanando problemi esistenziali cari solo ai migliori seinen.
Il ricorrente conflitto tra i due, sintetizzabile in un più prosaico confronto tra realismo e idealismo, mette in luce quelli che sono i limiti di Vash, dovuti alla sua natura e al modo in cui la sfrutta per gli altri, ponendo l'interrogativo su chi sia in fin dei conti il vero mostro in questo inferno di sabbia, coloro che perdono di giorno in giorno la propria umanità per tirare avanti, coloro che sopravvivono con tutti i mezzi possibili, o un messia pronto a farsi martoriare senza mezzi termini in nome dell'amore e capace di radere al suolo intere città in un attimo.
Continuano gli attacchi dei Gung-Ho Guns per ordine del fratello Knives, altra figura che verrà svelata in modo approfondito, evitando magistralmente che si finisca con la sconfitta del solito antagonista roso dall'odio verso tutto e tutti, riservandoci uno dei più bei finali mai scritti. Ma soprattutto verrà dato spazio ai plant, questa forma di vita chiave incompresa e più umana degli uomini stessi; verso la conclusione poi, questi ultimi non saranno più solo spettatori passivi o ignoranti, ma prenderanno in mano il proprio destino, spronati da questo uomo dal cappotto rosso che semina speranza al suo passaggio.
Il tratto approssimativo di Nightow non è dei più apprezzabili, ed il suo stile sembra avere poco a che fare con un manga. Le scene d'azione più volte saranno poco comprensibili, e nelle folli sparatorie difficilmente capirete quello che sta in realtà accadendo; resta oscuro se quest'ultimo sia un limite del disegnatore (probabilmente) o un espediente voluto per ricreare il senso di confusione scenica.
Queste citate in ogni caso rimangono le uniche pecche che troverete, se non siete ossessionati dal disegno plastico e longilineo allora ritenetevi fortunati. Per tutti gli altri fate un piccolo sforzo, probabilmente dopo il primo o il secondo volume sacrificherete il senso estetico (importantissimo, per carità, ma qui di secondo piano) per una trama curatissima nei dettagli e uno svolgimento ricco di suspense e colpi di coda, dove tutti i nodi (o quasi) vengono al pettine, per logica o intuizione.
In particolare da consigliare ad un pubblico di una certa maturità e in grado di apprezzare tematiche serie, senza cliché e topos di varia sorta, senza un milligrammo di fanservice e comicità surreale, solo narrazione e introspezione fine a se stessa, dramma concitato e tanto riso amaro, perché no, in fondo Vash, anche in questo triste mondo dimenticato da dio, lo spazio per ridere riesce a trovarlo.
Si noti che Trigun/Trigun Maximu può essere considerata un' opera singola serializzata in due parti, data una evidente organicità di contenuti e un filo narrativo pressochè continuo.
Le premesse sceniche offerteci da Trigun vengono mantenute e arricchite in Trigun Maximum,
l'ambientazione, lo ricordiamo, è il risultato di un incrocio tra tematiche sci-fi (interazione uomo/forme di vita aliene)e un'azione al cardiopalma in uno scenario dai paesaggi inospitali e costumi locali sommariamente assimilabili a quelli di un western.
Nel mondo deserto la vita è una condanna, la violenza all'ordine del giorno e l'umanità è in un costante e raccapricciante perdita di sé stessa.
Vash, il nostro noto protagonista, verrà curato a tutto tondo dall'inizio alla fine, ricoprendo il ruolo di "salvatore" di questo pianeta, spalleggiato da una serie di personaggi ben caratterizzati e trattati ampiamente; nonostante ci si possa far ingannare dal lato fortemente "action" di questo manga, l'introspezione di protagonista, amici e nemici è qualcosa di pregiato e assolutamente non secondario.
Nota di merito va senza dubbio al coprotagonista, il reverendo Wolfwood, che, è il caso dirlo, contribuisce in maniera eclatante ad impreziosire il ruolo di Vash, essendone una sorta di figura complementare, amico e, scherzosamente parlando (ma neanche tanto), psicologo, incentivando profonde meditazioni sul senso delle sue azioni e di una vita immortale dedita alla sofferenza, dipanando problemi esistenziali cari solo ai migliori seinen.
Il ricorrente conflitto tra i due, sintetizzabile in un più prosaico confronto tra realismo e idealismo, mette in luce quelli che sono i limiti di Vash, dovuti alla sua natura e al modo in cui la sfrutta per gli altri, ponendo l'interrogativo su chi sia in fin dei conti il vero mostro in questo inferno di sabbia, coloro che perdono di giorno in giorno la propria umanità per tirare avanti, coloro che sopravvivono con tutti i mezzi possibili, o un messia pronto a farsi martoriare senza mezzi termini in nome dell'amore e capace di radere al suolo intere città in un attimo.
Continuano gli attacchi dei Gung-Ho Guns per ordine del fratello Knives, altra figura che verrà svelata in modo approfondito, evitando magistralmente che si finisca con la sconfitta del solito antagonista roso dall'odio verso tutto e tutti, riservandoci uno dei più bei finali mai scritti. Ma soprattutto verrà dato spazio ai plant, questa forma di vita chiave incompresa e più umana degli uomini stessi; verso la conclusione poi, questi ultimi non saranno più solo spettatori passivi o ignoranti, ma prenderanno in mano il proprio destino, spronati da questo uomo dal cappotto rosso che semina speranza al suo passaggio.
Il tratto approssimativo di Nightow non è dei più apprezzabili, ed il suo stile sembra avere poco a che fare con un manga. Le scene d'azione più volte saranno poco comprensibili, e nelle folli sparatorie difficilmente capirete quello che sta in realtà accadendo; resta oscuro se quest'ultimo sia un limite del disegnatore (probabilmente) o un espediente voluto per ricreare il senso di confusione scenica.
Queste citate in ogni caso rimangono le uniche pecche che troverete, se non siete ossessionati dal disegno plastico e longilineo allora ritenetevi fortunati. Per tutti gli altri fate un piccolo sforzo, probabilmente dopo il primo o il secondo volume sacrificherete il senso estetico (importantissimo, per carità, ma qui di secondo piano) per una trama curatissima nei dettagli e uno svolgimento ricco di suspense e colpi di coda, dove tutti i nodi (o quasi) vengono al pettine, per logica o intuizione.
In particolare da consigliare ad un pubblico di una certa maturità e in grado di apprezzare tematiche serie, senza cliché e topos di varia sorta, senza un milligrammo di fanservice e comicità surreale, solo narrazione e introspezione fine a se stessa, dramma concitato e tanto riso amaro, perché no, in fondo Vash, anche in questo triste mondo dimenticato da dio, lo spazio per ridere riesce a trovarlo.