Recensione
To LOVE Ru
5.0/10
Può capitare di chiedersi se tutto a questo mondo abbia un perché. Esistono infatti dei motivi se ad indicare lo stop dei semafori c'è il colore rosso e le auto da Formula 1 hanno quella forma. A volte però questo perché mi sfugge, e guardando la pila di diciotto volumi di To Love Ru sullo scaffale mi è venuto da chiedermi “Perché l'ho comprato?”. Quindi, di conseguenza, di riflettere sulla sua utilità.
A lettura conclusa, con quel non-finale, con questo vuoto che mi ha lasciato dentro, non posso che augurare a questo prodotto di massa, a questo accalappia-lettori di "Jump", il peggior destino possibile. Sì, perché To Love Ru in realtà non è niente, o meglio, non è un manga, ma solo un volantino, uno spot per vendere qualche "Jump" in più con tette e chiappe al vento. Sembrerà crudele ciò che scrivo, ma in realtà non lo è. L'opera di Kentaro Yabuki, autore di Black Cat, e di Saki Hasemi, sceneggiatrice di più o meno nulla, in realtà non ha colpe particolari, essendo di fatto sfruttata dalla rivista per i suoi scopi, pilotata dal pubblico nei suoi eventi, cotta e servita a puntino come un Happy Meal. Per questo poco me la prendo con i due autori, essendo solo due burattinai al servizio dei lettori-ameba e della redazione con il simbolo dello Yen negli occhi.
Perché tutto questo? Intanto To Love Ru non ha una storia. Presenta un incipt non dissimile da quello di Lamù, e da lì si diramano eventi e personaggi vari, alcuni azzeccati, altri molto meno e ripresi da decine di stereotipi pre-esistenti e già collaudati in circa due miliardi di prodotti simili, come la sorellina materna, la capoclasse tsundere rompimaroni, la riccona snob con la tipica risata "Ooh-ohoho" e via discorrendo.
La sua struttura episodica non sarebbe affatto un difetto, se solo le storie presentassero un minimo di varietà, ma ciò non avviene. La ripetitività e i déjà vu dilagano in To Love Ru dopo una decina di volumi, quando a quel punto ti rendi conto che il manga non va e non vuole andare da nessuna parte perché "Ai lettori giapponesi va bene così". Per loro è stata infatti solo una distrazione ecchi tra un Naruto e un One Piece, con eventi tutti uguali nella forma come nella sostanza, con Rito che finisce puntualmente tra i seni e le gambe di qualcuna delle sue amiche, con le ragazze che si spogliano nei modi più disparati, tra acidi alieni e aggeggi del solletico (Wow, eccitante!). Ma per noi italiani che abbiamo comprato diciotto volumi cosa è stato? A cosa ci ha portato e cosa ci lascia To Love Ru? Di nuovo quella parolina magica che inizia per enne.
L'aspetto grafico ovviamente attira, è il suo scopo principale. Yabuki è bravissimo a disegnare forme femminili, in particolare quando si svestono. E nessuna si salva, dalla prorompente Lala alla loli sorella Mikan con due centimetri di seno (eccitante!), passando per l'inutile fiamma del protagonista, Sairenji. Il triangolo amoroso poi formato da Rito, Lala e Sairenji è tra le cose più patetiche che mi sia capitato di leggere. Lui che è innamorato della sua perfetta compagna di classe si dichiara per sbaglio all'aliena, scatenando così il suo superficiale amore adolescenziale. L'evoluzione della situazione (dopo valanghe di episodi cretini, ovviamente), rasenta il patetico per quanto tutto viene trattato con estrema superficialità, con Lala che vuole farsi da parte nonostante lo ami sempre di più, con quell'altra demente che non fa nulla e con lui che non si decide. Insomma una sorta di famiglia Boccasana dove tutti si vogliono bene e nessuno lotta per qualcosa. Voi direte, nulla di nuovo, poi alla fine il protagonista decide. Lascio a voi la simpatica sorpresa finale, e non mi si vanga a dire "Non è finito, devi leggere il porno-sequel To Love Ru Darkness" e bla bla; no, io To Love Ru ho letto e To Love Ru giudico, e dico che il finale è un insulto all'intelligenza e ai soldi spesi per una serie lunga quanto Yu Yu Hakusho. E la postilla dei due autori alla conclusione del tutto non fa che confermare la mia teoria del manga-volantino pilotato e manovrato per tentare di accontentare tutti, rendendolo così un prodotto senza coraggio, senz'anima.
Si ride, ogni tanto, non lo metto in dubbio, ed è per questo che non stronco To Love Ru in modo severo. Ciò non toglie che non sono queste le serie che fanno del bene al mondo manga, fondate e portate avanti non dagli autori, ma dall'odore dello Yen, il manga industriale di cui parlavo nella recensione dell'eccezionale King of Bandit Jing. E l'odore dei soldi, come quello del pesce, a lungo andare, puzza.
A lettura conclusa, con quel non-finale, con questo vuoto che mi ha lasciato dentro, non posso che augurare a questo prodotto di massa, a questo accalappia-lettori di "Jump", il peggior destino possibile. Sì, perché To Love Ru in realtà non è niente, o meglio, non è un manga, ma solo un volantino, uno spot per vendere qualche "Jump" in più con tette e chiappe al vento. Sembrerà crudele ciò che scrivo, ma in realtà non lo è. L'opera di Kentaro Yabuki, autore di Black Cat, e di Saki Hasemi, sceneggiatrice di più o meno nulla, in realtà non ha colpe particolari, essendo di fatto sfruttata dalla rivista per i suoi scopi, pilotata dal pubblico nei suoi eventi, cotta e servita a puntino come un Happy Meal. Per questo poco me la prendo con i due autori, essendo solo due burattinai al servizio dei lettori-ameba e della redazione con il simbolo dello Yen negli occhi.
Perché tutto questo? Intanto To Love Ru non ha una storia. Presenta un incipt non dissimile da quello di Lamù, e da lì si diramano eventi e personaggi vari, alcuni azzeccati, altri molto meno e ripresi da decine di stereotipi pre-esistenti e già collaudati in circa due miliardi di prodotti simili, come la sorellina materna, la capoclasse tsundere rompimaroni, la riccona snob con la tipica risata "Ooh-ohoho" e via discorrendo.
La sua struttura episodica non sarebbe affatto un difetto, se solo le storie presentassero un minimo di varietà, ma ciò non avviene. La ripetitività e i déjà vu dilagano in To Love Ru dopo una decina di volumi, quando a quel punto ti rendi conto che il manga non va e non vuole andare da nessuna parte perché "Ai lettori giapponesi va bene così". Per loro è stata infatti solo una distrazione ecchi tra un Naruto e un One Piece, con eventi tutti uguali nella forma come nella sostanza, con Rito che finisce puntualmente tra i seni e le gambe di qualcuna delle sue amiche, con le ragazze che si spogliano nei modi più disparati, tra acidi alieni e aggeggi del solletico (Wow, eccitante!). Ma per noi italiani che abbiamo comprato diciotto volumi cosa è stato? A cosa ci ha portato e cosa ci lascia To Love Ru? Di nuovo quella parolina magica che inizia per enne.
L'aspetto grafico ovviamente attira, è il suo scopo principale. Yabuki è bravissimo a disegnare forme femminili, in particolare quando si svestono. E nessuna si salva, dalla prorompente Lala alla loli sorella Mikan con due centimetri di seno (eccitante!), passando per l'inutile fiamma del protagonista, Sairenji. Il triangolo amoroso poi formato da Rito, Lala e Sairenji è tra le cose più patetiche che mi sia capitato di leggere. Lui che è innamorato della sua perfetta compagna di classe si dichiara per sbaglio all'aliena, scatenando così il suo superficiale amore adolescenziale. L'evoluzione della situazione (dopo valanghe di episodi cretini, ovviamente), rasenta il patetico per quanto tutto viene trattato con estrema superficialità, con Lala che vuole farsi da parte nonostante lo ami sempre di più, con quell'altra demente che non fa nulla e con lui che non si decide. Insomma una sorta di famiglia Boccasana dove tutti si vogliono bene e nessuno lotta per qualcosa. Voi direte, nulla di nuovo, poi alla fine il protagonista decide. Lascio a voi la simpatica sorpresa finale, e non mi si vanga a dire "Non è finito, devi leggere il porno-sequel To Love Ru Darkness" e bla bla; no, io To Love Ru ho letto e To Love Ru giudico, e dico che il finale è un insulto all'intelligenza e ai soldi spesi per una serie lunga quanto Yu Yu Hakusho. E la postilla dei due autori alla conclusione del tutto non fa che confermare la mia teoria del manga-volantino pilotato e manovrato per tentare di accontentare tutti, rendendolo così un prodotto senza coraggio, senz'anima.
Si ride, ogni tanto, non lo metto in dubbio, ed è per questo che non stronco To Love Ru in modo severo. Ciò non toglie che non sono queste le serie che fanno del bene al mondo manga, fondate e portate avanti non dagli autori, ma dall'odore dello Yen, il manga industriale di cui parlavo nella recensione dell'eccezionale King of Bandit Jing. E l'odore dei soldi, come quello del pesce, a lungo andare, puzza.